Catecumeni, Credo e preghiera dei fedeli

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Don Ubaldo è molto preoccupato: è arrivato un signore dall’Albania che chiede di diventare cristiano. È una cosa meravigliosa, dice fra sé e sé, ma è tutto così nuovo per lui, abituato ai suoi bambini, al catechismo, al limite ai genitori che sono sempre più difficili da gestire… Ma questa novità lo destabilizza. Si farà aiutare dalla signora Caterina, devota e attenta, pronta a seguire questo signore per la catechesi.

Ma con un catecumeno le cose si fanno complicate, pensa don Ubaldo: ha saputo che lo deve congedare dopo l’omelia. Ma che stranezza! Pensa tra sé: lo abbiamo accolto, ammesso al catecumenato e ora lo mandiamo via durante la messa, davanti a tutti. Cosa penserà la gente? E come la prenderà Bledar, il signore in questione?

Celebrare questo rito ha una funzione soprattutto pedagogica. Quando un bambino inizia a scrivere, lo lasciamo scarabocchiare, ma poi gli chiediamo di mettere in ordine le lettere e le vocali per formare le frasi.

Così è con le persone che si avvicinano alla fede. È logico che esse all’inizio partecipino a tutta la liturgia. La prima fase di questo approccio è a tutta la messa. Ad un certo punto, però, non si è più spettatori, ma discepoli in cammino verso Gesù e bisogna mettere “le cose a posto”, cioè sistemare la relazione con la liturgia, che non è più di semplice spettatore, ma di credente. È un approccio per gradi: il catecumeno può sopportare solo il peso della parte che riguarda l’ascolto, l’insegnamento, la Parola.

Il secondo aspetto di questo Rito del congedo è più strettamente misterico e sacramentale, viene chiamata la «disciplina dell’arcano». La seconda parte della messa, infatti, chiede una relazione sacramentale con Gesù. È la parte in cui i credenti si mettono in relazione filiale con Dio chiamandolo Padre. Ma Paolo precisa che questo non è possibile se non nello Spirito Santo e i catecumeni non hanno ancora ricevuto lo Spirito Santo. Quindi, come non possono dire il Padre nostro, così non possono nemmeno accostarsi ai divini misteri. Non possono dire Padre nostro nella fede, vivendo l’abbandono filiale a Dio, perché appunto non hanno ancora ricevuto lo Spirito Santo. Vivere il Rito del congedo vuol dire vivere questo senso del mistero.

Pensiamo al fatto che, se ho un oggetto prezioso e antico, se ho un vaso di cristallo pregiato, non lo regalerò ad un bimbo di cinque anni, ma aspetterò che egli cresca, perché possa capire e proteggere questo dono. Così è dei sacramenti.

Il congedo non manda via i catecumeni, ma li rispetta, li accomiata accompagnandoli nella fede. Le parole sono di amore e rispetto: «Caro Bledar, va’ in pace e il Signore sia sempre con te».

L’iniziazione ai misteri, infatti, chiede che si viva la dimensione del mistero. Prima di gustarlo bisogna saper aspettare. Don Ubaldo, non temere quindi di congedare il tuo catecumeno: è un gesto di rispetto per lui e per l’assemblea.

Dopo il congedo del catecumeno, l’assemblea proclama la sua fede con il Credo: un catecumeno non può proclamare una fede che sta ancora conoscendo; lo farà il sabato santo mattina, nei riti preparatori.

Noi recitiamo il Credo frettolosamente, senza ormai far più caso alle parole delle fede con le quali strutturiamo la nostra vita spirituale.

Io ho capito la grandezza di questo momento proprio nei riti preparatori con i catecumeni che singhiozzano commossi, mentre riescono a mala pena a sussurrare: «Credo in Dio, Credo in un solo Signore Gesù Cristo, Credo nello Spirito Santo, credo la Chiesa… Credo la risurrezione della carne».

Che passaggio forte e solenne: l’assemblea in piedi, dopo aver ricevuto la parola di Dio, canta, proclama, grida al mondo la sua fede! E lo fa insieme, pur dicendo ognuno singolarmente “Credo”. Non diciamo “Crediamo”: l’atto di fede è sempre personale e unico; eppure diciamo insieme la nostra fede, perché nella mia pochezza avrò sempre bisogno dei miei fratelli per vivere in pienezza la mia fede.

Chiude questa parte della liturgia la preghiera universale dei fedeli, cioè dei battezzati, che esprimono la loro adesione a Cristo innalzando al Padre preghiere e suppliche.

Don Ubaldo trema sempre un po’ quando le preghiere le preparano le catechiste o i ragazzi. A volte fanno delle mini omelie, oppure si rivolgono a Gesù Cristo o alla Madre di Dio o ai santi. Sa che dovrebbe spiegare loro come si fanno, ma non ha ancor trovato il tempo per approfondire con loro la liturgia e anche le preghiere dei fedeli. Così ogni tanto alza gli occhi al cielo e chiede perdono per quelle preghiere che nessuno ascolta più, che sono stucchevoli o sociologiche, che mescolano ringraziamenti a suppliche personali.

L’intenzione della preghiera dei fedeli è una proposta a cui dovrebbe seguire il silenzio dell’assemblea che poi risponde con un ritornello o con il silenzio stesso. Don Ubaldo potrebbe anche proporre di ascoltare in silenzio, senza dire nulla; oppure limitare la preghiera ad una antica litania che dice semplicemente: per il papa, Kyrie eleison; per il vescovo; per coloro che ci governano; per i tribolati… senza aver la pretesa di suggerire a Dio cosa debba fare, ma per invitare l’assemblea a farsi vicina con la preghiera ai fratelli.

La successione delle preghiere è teologica. Si prega per le necessità della Chiesa, per i governanti e la salvezza di tutto il mondo, per quelli che si trovano in particolari necessità, per la comunità locale. Nulla di privato, perché l’eucaristia è sempre e solo la Pasqua di Cristo sul mondo intero e sulla Chiesa tutta.

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