Celebrare da soli?

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In questo tempo di crisi dovuta alla diffusione del contagio di coronavirus, si è sviluppata in Germania (e non solo) una discussione tra coloro che sono contrari alle messe celebrate dal solo sacerdote senza i fedeli e coloro che sono invece favorevoli. L’agenzia “KNA” nel portale “katholisch.de” e l’emittente “Domradio” di Colonia hanno ripreso il dibattito mettendo a confronto le loro opinioni. Tra i contrari riportiamo qui il parere di tre liturgisti: Albert Gerhards (Bonn), Benedikt Kranemann (Erfurt) e Stephan Winter (Osnabrück/Münster); tra i favorevoli, il liturgista Winfried Haunerland (Monaco di Baviera) e il prof. di teologia dogmatica e liturgia Helmut Hoping, dell’università di Freiburg.

I tre liturgisti sopra citati scrivono che «le Chiese devono mettere in pratica le raccomandazioni scientifiche e aderire alle misure di protezione definite dallo Stato» e sottolineano che le «messe fantasma» in cui il sacerdote celebra da solo non corrispondono alla comprensione odierna della liturgia.

Alcuni liturgisti sono contrari

«In collaborazione con gli organismi dello Stato, le Chiese devono perciò urgentemente chiarire in che modo può continuare ad essere garantito il servizio rituale ai bisognosi, ai malati e ai morenti. Gli operatori pastorali devono infatti poter continuare il loro servizio – adattandosi alle rispettive situazioni – per quanto possibile».

La «funzione rappresentativa della comunità» non può essere costituita in modo credibile da una sola persona. «Se la messa continua ad essere celebrata in parrocchia la domenica, non è soltanto il sacerdote a renderla credibile in maniera significativa, ma solo una presenza della comunità, per quanto piccola».

I tre liturgisti sottolineano: «Se nell’attuale momento non dovesse essere possibile neppure questo, tutti coloro che sono uniti con il battesimo al sacerdozio comune devono cercare per quanto possibile delle modalità di ascolto comune della parola di Dio e di preghiera».

Secondo Gerhards, Kranemann e Winter, si potrebbe utilizzare per risvegliare e promuovere il «potenziale spirituale» presente nelle famiglie, nelle cerchie di amici, in cui «soprattutto i media digitali dovrebbero essere usati in modo creativo».

«Nel migliore dei casi, la crisi potrebbe eventualmente contribuire ad arricchire gli incontri liturgici, che si spera presto di poter nuovamente celebrare, perché consentono di scoprire e attivare carismi e doni che sonnecchiano». Le immagini delle persone che in Italia cantano e fanno musica sui balconi avrebbero in questo senso «un carattere profetico» (fonte KNA, 18 marzo 2020).

Celebrare da soli

Parere diverso del liturgista prof. Winfried Haunerland

Il prof. Winfried Haunerland, di Monaco di Baviera, ha espresso invece il suo parere favorevole alle messe celebrate senza popolo in un’intervista, che qui riportiamo, diffusa dall’emittente DomRadio di Colonia, il 18 marzo 2020.

Cosa pensa delle dichiarazioni dei liturgisti Albert Gerhards, Benedikt Kranemann e Stephan Winter?

Sono rimasto sconcertato e afflitto appena le ho lette. Stimo molto i tre colleghi. Ma, a mio parere, ciò che dicono non risponde all’attuale situazione. Qui infatti non si tratta di una proprietà patrimoniale dei preti. Non si tratta di loro diritti.

Piuttosto, a mio parere, in questa difficile situazione si tratta del fatto che la Chiesa anche adesso deve cercare di fare ciò che il Signore le ha comandato: «Fate questo in mia memoria». E ciò in questa difficile situazione può ovviamente avvenire soltanto anche quando singoli sacerdoti, almeno la domenica, ma forse anche quotidianamente, celebrano da soli.

Ma il concilio Vaticano II afferma che la liturgia viene celebrata congiuntamente e pubblicamente da tutti i battezzati. Il concetto di «celebrazione privata» non è una contraddizione in termini?

Sì, in realtà non esiste alcuna effettiva celebrazione privata perché la messa è sempre celebrazione di tutta la Chiesa. Naturalmente, con questa espressione viene chiarito che esiste una spiritualità in cui la messa è intesa anche come un esercizio individuale di pietà. Se il sacerdote la intende solo per se stesso, può anche essere qualcosa di individualistico, come se fosse una cosa sua privata.

Ma non è questo il punto attualmente. Si tratta piuttosto di come alcuni possono ancora fare, in maniera rappresentativa, ciò che la comunità e la Chiesa nel suo insieme non possono compiere in forma appropriata in questo momento.

Se definiamo la comunità locale come portatrice della liturgia, cosa significa allora ciò in relazione alle numerose trasmissioni streaming in cui i fedeli non sono presenti, ma siedono davanti al teleschermo e possono insieme partecipare alla celebrazione la messa? 

Ci troviamo in una situazione eccezionale in cui normalmente soltanto singole persone, malati, che forse non possono recarsi in Chiesa e che cercano intenzionalmente di collegarsi alla messa celebrata in Chiesa. Ciò avviene in ogni ospedale, quando le messe vengono trasmesse. Ciò avviene adesso in una forma effettivamente straordinaria, che non può essere la regola, collegandosi col luogo dove la messa viene celebrata.

Non è la stessa cosa come le celebrazioni sul posto. Non è la vera partecipazione sacramentale. Non possiamo dare la comunione. Sì, è così. Ma è questo che nell’ora attuale per molti costituisce la possibilità, proprio in questa difficile situazione, di rimanere spiritualmente uniti tra loro ed essere rafforzati nella preghiera.

Possiamo pur sempre pregare stando a casa. È quanto fanno molti fedeli. Ci sono molte iniziative che invitano a farlo. La diocesi di Colonia, per esempio, ogni sera fino al Giovedì Santo suona le campane. Che significato hanno questi segni?  

Penso che proprio in questo momento, in cui, come dice la Cancelliera tedesca Merkel, dobbiamo evitare i contatti sociali diretti, dovremmo coltivare lo stesso la dimensione comunitaria cercando altre modalità. Ciò significa anche che noi, come Chiesa e come cristiani, dobbiamo cercare di ricordarci a vicenda e sostenerci gli uni gli altri.

E se io so che anche altri pregano in questo momento come me o che recitano come me questa o quella preghiera, allora mi unisco anche ad una comunità più grande che naturalmente esiste anche senza il segno. Ma noi viviamo anche di segni che tengono vivo qualcosa dentro di noi.

La celebrazione pubblica dei giorni pasquali è attualmente in forse. Alcuni fedeli si accordano per festeggiarla a casa in un piccolo gruppo. La Chiesa domestica dei primi tempi del cristianesimo sta attualmente vivendo una rinascita?

Credo che per noi cristiani sia sempre stato importante ed è per questo che dobbiamo sempre riprendere a pregare non da soli, ma anche insieme. Il fatto che in questo momento si possa vivere e pregare insieme avviene soprattutto nelle comunità cristiane e nelle famiglie, grazie a Dio anche nelle comunità religiose.

Se sia saggio riunire ancora piccole comunità occorre giudicarlo dal punto di vista igienico. Io credo che ciò sia piuttosto pericoloso.

Il parere di un teologo dogmatico

Anche secondo il parere del teologo dogmatico di Freiburg, Helmut Hoping, la messa senza il popolo è legittima, non solo durante la crisi del coronavirus. Hoping è un diacono permanente. Dal 2006 fino al 2014 è stato consulente teologico della commissione liturgica della Conferenza episcopale tedesca e, dal 2000, è professore ordinario di dogmatica e di liturgia presso la facoltà teologica dell’università di Freiburg.

La pandemia del coronavirus – afferma – obbliga le Chiese locali a fermare la loro vita liturgica. Ma non tutte le diocesi sono disposte a sospendere le celebrazioni liturgiche. Solo due esempi: l’arcidiocesi di Freiburg trasmette ogni giorno celebrazioni di messe dalla cattedrale in diretta streaming; l’arcidiocesi di Amburgo chiede ai sacerdoti di celebrare, se necessario, la messa da soli, in rappresentanza dei fedeli che non vi possono partecipare.

I tre liturgisti criticano ora aspramente le celebrazioni della messa celebrate dai sacerdoti a porte chiuse. Si parla addirittura di «messe fantasma» che non corrispondono alla comprensione attuale della liturgia. Gli autori si richiamano al n. 7 della costituzione Sacrosanctum concilium riguardante la liturgia dove si dice: «il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra». A loro parere ciò viene interpretato così: la liturgia viene «celebrata congiuntamente e pubblicamente da tutti i battezzati».

La missa sine populo da loro incriminata non è certamente la forma basilare della celebrazione eucaristica, ma per il Concilio è una forma legittima. Infatti tutte «le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa» (SC, 26) «da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata» (ib 27).

Celebrare da soli

E il Codice di diritto canonico scrive: «Sempre memori che nel mistero del Sacrificio eucaristico viene esercitata ininterrottamente l’opera della redenzione, i sacerdoti celebrino frequentemente; anzi se ne raccomanda vivamente la celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza dei fedeli, è un atto di Cristo e della Chiesa, nella cui celebrazione i sacerdoti adempiono il loro principale compito» (§ 904).

I tre liturgisti vedono in questo una concezione della liturgia non più adatta ai tempi. Per la celebrazione individuale del sacerdote essi usano l’espressione spregiativa di «messa privata» o «celebrazione privata», che né il Concilio né il diritto canonico conoscono. Una messa in diretta streaming che un sacerdote celebra con un chierichetto o un organista a causa della pandemia del coronavirus non può essere paragonata a una messa celebrata in un angolo come facevano i preti nel medioevo che celebravano negli altari laterali per le povere anime del purgatorio. Oggi dire che i sacerdoti considerano l’eucaristia come «loro proprietà personale» sarebbe del tutto fuori luogo.

Il testo della costituzione sulla liturgia utilizzato per la loro comprensione liturgica, cita Mt 18,20: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì io sono in mezzo a loro». Quindi non conta il numero dei presenti per una celebrazione comunitaria. Nella celebrazione eucaristica domenicale in cui la comunità generalmente si riunisce dovrebbero, se possibile, in uno stato di emergenza a cui ci costringe la pandemia coronavirus, prendere parte due o tre fedeli.

Naturalmente Mt 18,20 vale anche e soprattutto per la preghiera e l’ascolto della parola di Dio, ad esempio in famiglia o quando due o tre persone in una Chiesa recitano i Vespri, che siano trasmessi o meno attraverso i media. Nessuno afferma che la funzione rappresentativa nell’Ecclesia orans avvenga solo attraverso il sacerdote. Ciò che impressiona è l’avversione di questi liturgisti verso le celebrazioni della messa, in cui i sacerdoti, nel caso della pandemia di coronavirus, celebrano per gli altri. In definitiva, la loro proposta è di abolire tutte le messe e di unirsi come popolo di Dio in preghiera e nell’ascolto della parola di Dio. Ma, per una Chiesa che ha il suo centro vitale nella celebrazione dell’eucaristia, è una proposta profondamente irritante che tocca l’identità della Chiesa cattolica.

Sono completamente d’accordo con loro quando chiedono, di fronte alla pandemia del coronavirus, di «risvegliare e promuovere un potenziale spirituale nelle famiglie e nelle reti di comunicazione sociale» e utilizzare l’uso creativo dei «media digitali». Il fenomeno di una «Chiesa digitale» non è nuovo. I fedeli impossibilitati a partecipare fisicamente alla messa, da molto tempo possono, con profitto spirituale, prendervi parte attraverso la televisione o l’internet (Church on the Screen). Le possibilità di una Ecclesia orans a dimensione universale non sono certamente state ancora esaurite; possa la celebrazione dell’eucaristia – sacramento per eccellenza della presenza fisica – giungere attraverso la «Chiesa digitale» fino ai suoi confini.

In effetti, l’eucaristia è sempre stata celebrata per coloro che non possono parteciparvi fisicamente. La pandemia di coronavirus richiede soluzioni non convenzionali. Naturalmente sarebbe auspicabile trasmettere non solo celebrazioni dell’eucaristia, ma anche dei Vespri o altri servizi mediali della celebrazione della Parola di Dio. La celebrazione della Parola di Dio nell’attuale emergenza al posto delle messe individuali in streaming a porte chiuse è tuttavia motivata da una ben nota critica alla comprensione cattolica dell’eucaristia e del sacerdozio come si trova nei testi del Concilio, se non si leggono selettivamente. Ma la pandemia di coronavirus non si presta a ricavarne un capitolo teologico.

L’opinione del card, di Colonia, Rainer M. Woelki

Sul problema delle messe celebrate senza il popolo e le trasmissioni attraverso i social media è intervento anche il card. Rainer M. Woelki, di Colonia. Ha scritto una lettera ai fedeli della diocesi in cui afferma che «situazioni straordinarie richiedono soluzioni straordinarie!… Questo vale anche per la vita della Chiesa. Chi avrebbe mai pensato che avremmo dovuto sospendere la celebrazione pubblica della messe! E ora ci vediamo costretti a farlo – non solo per una disposizione statale, ma soprattutto per amore del prossimo. Infatti, non possiamo cercare la vicinanza di Dio nella nostra liturgia e nello stesso tempo mettere a rischio la salute del nostro prossimo. Perciò, con dispiacere rinunciamo alle celebrazioni delle messe pubbliche. Nessuno di noi pensa che sia bene, ma solo pochissime persone irragionevoli non lo accettano. Si tratta di un digiuno molto speciale che ci viene chiesto. Ma questo digiuno ci induce, nello stesso tempo, a riflettere profondamente sulle forme in cui viene vissuta la nostra fede.

Non è come se dovessimo smettere del tutto di pregare perché in questo momento non possiamo farlo comunitariamente. Molte cose sono possibili e significative anche ora…

Io ricevo tante domande sulle trasmissioni della messa in televisione, radio e internet. Chi attraverso i media segue in diretta il servizio liturgico che viene celebrato, può seguire in concreto interiormente ciò che viene celebrato stando sul posto. In questo modo uno può partecipare espressamente a questa celebrazione ed essere presente senza trovarsi con la comunità del luogo dove si celebra. Non si tratta affatto di una trovata ideata in occasione della crisi del coronavirus, ma di un mezzo che da decenni ha dato buoni risultati specialmente per gli anziani, i malati, le persone fragili che non avrebbero altra possibilità di partecipare alla celebrazione.

Celebrare da soli

Al momento della comunione essi rimangono naturalmente a casa loro, perché impossibilitati ad muoversi. Ma ciò che la comunione opera – cioè l’unione intima con Cristo – è possibile anche se i fedeli che stanno a casa in questo momento si orientano con tutto il loro essere a Cristo rivolgendosi a lui nella preghiera. È ciò che tradizionalmente viene chiamata la “comunione spirituale”.

Sono pochissime le persone che attualmente compaiono nelle trasmissioni delle celebrazioni: il sacerdote, un ministrante, un lettore e soltanto due o tre fedeli nei banchi. Si può ancora chiamare questa una comunità eucaristica? Ricordiamoci: è Cristo il vero attore nella liturgia e agisce sotto forma del suo corpo mistico, cioè la Chiesa in unione con lui – sono i fedeli in quanto membri di Cristo loro capo. Perciò la messa con i fedeli è la forma normale…

Tuttavia ci sono eccezioni quando si verificano “ragioni serie”. In questo caso, un sacerdote può celebrare anche da solo. E chi vorrebbe negare che in questo momento non ci siano “ragioni serie”? Ma facciamo in modo che il sacerdote – quando è possibile – non sia solo all’altare, ma che vi siano almeno un paio di persone che intervengono a questa celebrazione. Attualmente non è possibile fare diversamente. Così mettiamo in pratica simbolicamente ciò che il Concilio afferma circa la celebrazione dell’eucaristia: «Le azioni liturgiche non sono di natura privata, ma celebrazioni della Chiesa»…

Lo sappiamo tutti e lo sperimentiamo in prima persona quando ci sediamo davanti allo schermo a casa anziché in chiesa con le nostre sorelle e fratelli: “sarebbe bello diversamente”. Ma “bello” in questo momento viene dopo “ragionevole” e “responsabile”.

Per favore, cercate di capirmi bene. Certamente dobbiamo trarre il meglio da questa situazione, ma essa è e rimane una situazione eccezionale. Ci fa comprendere proprio per questa sua unicità quale grande dono ci viene fatto nella comunità eucaristica. Io desidero ardentemente di poter celebrare e vivere l’eucaristia assieme a molti fedeli – soprattutto adesso che ci avviciniamo alla Pasqua…


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