Il destino del canto liturgico

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musica liturgia

Quando e come ritorneremo a celebrare le messe di “prima”? Come e quando le scholae cantorum torneranno ad animare pienamente le nostre liturgie? Sono le domande che mi vengono rivolte in questo tempo e che mi sto personalmente ponendo.

Pandemia e canto

Per un periodo molto lungo che si sta, pur diversamente, protraendo, le misure di contenimento della pandemia hanno determinato e stanno determinando forti restrizioni delle facoltà ecclesiali. Non è tuttora poca cosa assistere alle privazioni che caratterizzano tanti momenti celebrativi così potenzialmente carichi di gioia o mestizia e speranza per le persone, le famiglie, la gente, quali la prima comunione, la confermazione, le esequie e, ovviamente, tutte le celebrazioni delle solennità del tempo liturgico.

In questo tempo di impedimenti e di regole – giustamente da rispettare – meglio possiamo comprendere quanto la vita della Chiesa trovi la sua fondamentale espressione nella liturgia, potendo donare gioia e consolazione a tante persone.

Parto dalla costatazione di quanto la musica sia fortemente diminuita nelle nostre chiese. Cantori e animatori del canto assembleare si sono, per lo più, completamente fermati: non poter partecipare col coro alla liturgia ha significato interrompere anche l’esercizio canoro individuale e le prove. Alcuni gruppi corali hanno cercato di trasformare le modalità formative, rivedendo gli organici delle sezioni di voci e attrezzandosi per prove periodiche online. La tecnologia ha reso, in qualche modo, possibile ripassare il repertorio in videoconferenza, ovvero studiare brani, fare prove per sezioni e fare riscaldamento vocale, pur di mantenere motivazioni e legami di fraternità tra cantori.

La presenza e il culto

Ma possiamo facilmente verificare come nulla possa sostituire la freschezza dell’incontro in cui si canta in presenza, insieme, contemporaneamente, seguendo il gesto del maestro. Ancor più avvertiamo la mancanza della partecipazione del gruppo e dell’empito spirituale che può manifestarsi solo nella piena partecipazione alla celebrazione liturgica in sé.

Il culto, seguito alla televisione o trasmesso in streaming, mi lascia purtroppo l’impressione del pallore. Certamente ho avuto modo di vedere sul monitor liturgie corrette ed esemplari, ma mi sono apparse inevitabilmente povere, perché, oltre che prive di partecipazione comunitaria, totalmente prive di musica propria.

Ho notato come le antifone del messale non vengano neppure lette o vengano sostituite da canti generici: altrimenti sono recitate frettolosamente e in maniera monocorde. È divenuto chiaramente tutto più difficile, ma forse si può fare meglio. La cena del Signore chiede sempre tanta cura e arte celebrativa, al punto da farla parlare da sé, senza tanti gesti, senza tante spiegazioni verbali e scelte discrezionali del celebrante.

Ripensare il proprio ruolo

Ci sono tuttavia direttori di coro, cantori e organisti che, a fronte della situazione, stanno seriamente mettendo in discussione la propria missio nella Chiesa: stanno rivedendo le modalità di relazione e di prova e ripensando lo stesso significato dell’essere un coro. Sono e siamo tutti ovviamente consapevoli che la circolazione del virus – emesso dal respiro – può aumentare con l’esercizio del canto e con la posizione di prossimità fisica (che tuttavia resta una necessità “tecnica” per una buona fusione delle voci).

Questi maestri sanno – come tutti noi sappiamo ormai – quali sono le difficoltà che bisogna affrontare: quali sono le precauzioni da prendere per la sanificazione degli ambienti e persino per debellare la possibile persistenza del virus sui fogli di carta pentagrammata. Non manca e non mancherà perciò senso di responsabilità nel mettere in sicurezza chi compone il coro e in particolare quei cantori a maggiore rischio per età o per pregresse patologie.

Ma pur privi di certezze – neppure virologi ed esperti riescono evidentemente a darne! – direttori, cantori e organisti, non attendono altro che di ritornare a cantare, a provare, a preparare nuovi canti, a mettersi al servizio della misteriosa elevazione spirituale che il Signore ci offre attraverso la musica e il canto.

È troppo forte e umano il desiderio di ricominciare, dopo un lungo periodo di silenzio e di isolamento. Io lo sento. Sento che molti, con grande senso di responsabilità, si preoccupano della buona riuscita della pratica musicale che in questi mesi si è inevitabilmente indebolita, per potersi mostrare all’altezza alla ripresa.

Non dimentichiamo, inoltre, che i cori sono gruppi di socialità e nuclei buoni di comunità: sono riusciti a formarsi e a svilupparsi anche nelle zone più lontane e periferiche delle diocesi, nelle piccole frazioni non raggiunte normalmente dai concerti. La schola cantorum parrocchiale è dunque in grado di riportare entusiasmo e spirito di collaborazione nella comunità più ampia.

La fine dell’anno liturgico

La parte finale di questo anno liturgico e quella iniziale del prossimo saranno ancora segnate dalle misure anti-pandemiche. Il canto liturgico – come ho scritto – risulta ancora trascurato e di molto ridotto.

Dobbiamo necessariamente riprendere con motivazioni e con coraggio, così come qualcuno sta già mostrando: dopo gli incontri di riflessione e di programmazione dei consigli pastorali, si stanno riprendendo nelle parrocchie tutte le attività. Mi sento di rivolgere un sentito appello: la musica e il canto della liturgia non possono e non devono diventare l’ultimo dei problemi, urge la ripresa canora, la sacra liturgia necessita del canto!

Papa Francesco, nel tempo della pandemia, ci ha esortato ad apprezzare la bellezza. Ha detto: ho ricevuto una lettera di un gruppo di artisti: ringraziavano per la preghiera che noi abbiamo fatto per loro. Vorrei chiedere al Signore che li benedica perché gli artisti ci fanno capire cosa è la bellezza, e senza il bello il Vangelo non si può capire. Preghiamo un’altra volta per gli artisti. (Cappella Santa Marta, omelia della celebrazione eucaristica, 7 maggio 2020). Dunque: Senza il bello il Vangelo non si può capire.

I cantori con gli organisti e i direttori di coro hanno una parte fondamentale nell’espressione della dimensione della bellezza liturgica. C’è un grande bisogno di loro: si tratta di tornare a respirare a pieni polmoni, con fiducia, con speranza, col canto: questo ha la proprietà insostituibile di commuovere il cuore e di facilitare la meditazione. Trascurare o persino perdere la dimensione musicale e canora della liturgia, significherebbe privarci della manifestazione della gioia che può venire unicamente da voci umane riunite in assemblee orientate e interpretate dal canto dalla schola cantorum.

Forse la vita fisica può resistere senza la musica, ma la persona integrale non può vivere senza le sette note, tanto meno il credente nella liturgia del rendimento di grazie.

  • Monsignor Tarcisio Cola è Presidente dell’Associazione Italiana Santa Cecilia per la Musica Sacra.
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Un commento

  1. Carlo Alberto Ulivieri 30 novembre 2020

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