Fermarsi per vivere la Messa

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sospendere messe

La seconda ondata della pandemia ha riaperto con veemenza una parentesi che con superficialità pensavamo ormai chiusa. In effetti siamo costretti in questi giorni a confrontarci nuovamente con sfide e interrogativi importanti frutto della svolta epocale che stiamo vivendo, la quale non lascia incolumi i credenti di ogni fede e in particolare i cristiani.

Mentre eravamo intenti a riprendere con ansia e meticolosità la nostra agenda personale ed ecclesiale la pandemia ci ha nuovamente imposto un momento di pausa[1]: fermarsi per ripartire. Ci vuole coraggio per ripartire, ma soprattutto per fermarsi, per riconoscere senza timore le proprie incapacità e limiti. Ma è proprio nel vuoto “inutile” delle nostre insufficienze che lasciamo spazio alla creatività dello Spirito Santo: per riscoprirci in modo nuovo presenza evangelica, istituzione sensibile e modello di umanità.

Il limite e la sosta

Se è vero che il Covid-19 ci ha sottratto la possibilità di esprimere al meglio il nostro essere discepoli di Gesù (attraverso la liturgia, la catechesi e l’attività caritativa), nello stesso tempo ci sta consegnando nuovi motivi per vivere la scelta cristiana con maggiore radicalità: «Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla»[2]. In particolare, la proposta di mons. Derio Olivero in merito alla sospensione delle Messe per circa due settimane necessita un’attenta lettura alla luce del già paventato disastro sanitario in Calabria.

Questa associazione può rendere esplicita la sfida che la pandemia ci consegna se ci lasciamo aiutare dalle parole che mons. Oscar Romero pronunciò nella sua ultima omelia prima di essere sparato: «Che questo corpo immolato, che questo sangue sacrificato per gli uomini siano alimento per noi, affinché anche noi offriamo il nostro corpo alla sofferenza e al dolore, come Cristo, non per noi stessi, ma per dare segni di giustizia e pace al nostro popolo» (La messa incompiuta, Edizioni Dehoniane, Bologna 2014,75). Ci soffermiamo all’ambito liturgico, cifra sintetica del nostro essere credenti in Gesù Cristo, poiché esso celebra il cuore della fede che professiamo: il dono di se stesso per amore.

Nonostante le restrizioni e il periodo di pausa che la pandemia ci impone non finisce il donarsi libero e amorevole del Signore: non soltanto nelle celebrazioni liturgiche ma anche sopra i diversi altari scomodi. I numerosi – troppi! – corpi “donati” di questi mesi (non soltanto delle vittime, ma anche dei medici, infermieri, volontari ecc.) ci ricordano che la Messa è in-finita (card. Carlo Maria Martini).

L’alterità del tempo

Ci risulterà vuoto questo difficile anno che stiamo affrontando solo se restiamo ripiegati attorno alle nostre pretese e ai nostri recenti pastorali, sordi alla domanda: «sapete valutare questo tempo?» (Lc 12,56). È tempo in cui «essere cristiani non significa innanzitutto difendere i propri diritti, quanto lottare per i diritti di tutti» (mons. Derio Olivero). È un tempo che richiede con urgenza cristiani pronti a vivere la S. Messa che da sempre celebrano nella comodità di un cristianesimo a volte imborghesito: pronti cioè a rompere il circolo vizioso del vivere per se stessi a scapito dei più deboli, non solo nell’America latina di Romero, ma anche nell’Italia e nella Calabria di oggi.

Se è servita una pandemia a far riemergere in noi cittadini la necessità e l’intervento dello Stato vuol dire che in realtà siamo stati complici muti. Conniventi di un impoverimento sanitario causato anche dai nostri silenzi e soprattutto dall’esserci assuefatti alla logica del chiedere per favore quello che è un sacrosanto diritto del cittadino.

Dietro ogni impoverimento – non solo sanitario – esiste una precisa e capillare logica di profitto che rispecchia quel vivere per sé stessi che Romero denunciava a costo di perdere la vita. Dietro ogni impoverito c’è un arricchito che vive accanto a noi, magari supportato dal nostro consenso e dal nostro voto elettorale all’uscita dalla S. Messa.

Calabria

Ecco perché il martirio di Romero non fu provocato da un vago assistenzialismo pauperistico – che nella Chiesa a volte riemerge – ma dalla coraggiosa denuncia delle cause dell’impoverimento che sono provocate da un sistema corrotto – nel caso della Calabria “masso mafioso” – ma anche dalla complicità irresponsabile di ciascuno.

Stupisce ancora di più questa irresponsabilità se consideriamo che la Calabria sia una delle regioni con il più alto numero di battezzati e con una intensa tradizione di fede e pratica ecclesiale. Quale spaccatura nella trasmissione della fede?

A Pinerolo si torneranno a celebrare migliaia di Messe, recupereremo gli appuntamenti perduti del nostro fitto calendario pastorale, ma speriamo che questa pandemia continui a farci sentire la scomodità della Messa incompiuta dei corpi “sacrificati” di questi giorni: ci spingano a proseguirla sugli altari poco adorati delle scelte responsabili per “la giustizia e la pace del nostro popolo”.


[1] Interessante a tal proposito la citazione di Etty Hillesum: “Bisogna accettare le proprie pause”, fatta su SettimanaNews da Marco Gallo.

[2] Papa Francesco, Omelia Pentecoste, 31 maggio 2020.

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