Giovedì santo: allerta donna

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Dopo la piccola riforma di una sola rubrica del messale romano, relativa al rito della lavanda dei piedi nella Missa in Coena Domini del giovedì santo, non hanno certo portato chiarezza le parole del prefetto, card. Sarah. Ma bisogna riconoscere che Sarah è stato misurato e moderato, mentre chi cerca di “sostenerlo” mostra una concezione della liturgia, ma soprattutto della Chiesa piuttosto preoccupante. E, sotto a tutto questo, emerge una sostanziale e anche confessata misoginia. Voglio riportare qui sotto alcuni stralci di una intervista di p. J. Fessio, sj, che dimostrano una “mancanza di tatto” e una “insofferenza verso la riforma” veramente sorprendente. Ecco il testo, a cui alterno, qua e là, i miei commenti, che rivolgo al padre in un dialogo aperto, sincero e con qualche necessaria ironia.

Il sacerdote gesuita e fondatore della Ignatius Press, padre Joseph Fessio, sj, è intervenuto suggerendo con scetticismo che i permessi sono spesso fraintesi venendo considerati requisiti: «Ovviamente dovrebbe essere chiaro che si tratta di un permesso, non di un requisito», ha dichiarato, «ma anche questa chiarezza non influirà su ciò che accade realmente».

È vero che è stato dato un permesso e non un obbligo, ma non si tratta di un permesso “anonimo” – come la possibilità di calpestare le aiuole o di fumare in stanze riservate – ma abbiamo ora la possibilità di «corrispondere meglio ad una Chiesa fatta non solo da uomini, ma anche da donne». Questa non è “solo un permesso”, ma “una grande possibilità”. Ma il p. Fessio non ne vuole sapere.

«Ecco una situazione simile della quale possiamo già vedere i risultati: quando è stato dato il permesso per le ministranti dell’altare, era un permesso dato ai vescovi, non direttamente ai sacerdoti (ovvero se un vescovo sceglieva così poteva permettere la pratica nella diocesi). Era chiaro nel decreto che nessun sacerdote doveva avere per forza delle ministranti dell’altare, anche se il vescovo aveva dato il permesso. Cosa si è fatto? Molti vescovi hanno insistito affinché l’uso regolare delle chierichette fosse normativo per tutte le Messe».

Quando sento parlare in questo modo delle “chierichette” mi preoccupo seriamente. Che bisogno c’è di “guardarsi dalle ministranti”? Dove sta il problema? Perché, anche in questo caso, piuttosto che vedere la maggiore possibilità di avere “intorno all’altare” ragazze e ragazzi al servizio del Vangelo e del culto, bisogna salvarsi dietro uno “scaricabarile di competenze”, nascondendo la propria paura delle donne dietro al piccolo codice di diritto canonico? Il codice non è fatto per “coprire le vergogne”, ma per servire la Chiesa, né più né meno di una ministrante. Anzi, tra il codice di diritto canonico e una ragazzina che serve all’altare non si dovrebbe avere alcun dubbio su chi debba prevalere. Se si reagisce in questo modo spaventato e difensivo, ma anche arrogante e aggressivo, si crea nella Chiesa un problema in più. Quando sento parlare così di liturgia io penso sempre a quel bravo vicario padovano che diceva: «Prima di occuparsi di liturgia bisogna fare almeno per 10 anni il camionista»! Se si associa con tanta facilità la lavanda dei piedi riformata alle chierichette intorno all’altare, secondo me, si ha davvero bisogno di un bel camion.

Quanto alla sostanza, p. Fessio ha aggiunto che «il rito della lavanda dei piedi non è mai un requisito. Il Diritto Canonico parla di duodecim viri, non di duodecim homines». «Ovviamente, in quanto legislatore supremo, il papa può (in teoria) modificare la legge in qualsiasi modo desideri», ha riconosciuto p. Fessio, «ma il prototipo è ovviamente l’Ultima cena in cui Gesù lava i piedi non dei suoi discepoli, non di persone scelte a caso tra la folla, ma degli apostoli, e dice loro che dovranno lavarsi i piedi a vicenda. Ciò vuol dire che i ministri ordinati dovrebbero seguire questo esempio tra di loro, il che è probabilmente il motivo per il quale, anche se le prove per il rito nella Chiesa delle origini sono molto esigue, sappiamo che nell’XI secolo il papa lavava i piedi dei suddiaconi. Sicuramente dal periodo di Trento (XVI secolo) al 1955 il rito non è stato parte della messa».

Qui il p. Fessio riesce a inanellare, in 8 righe, una vera collezione di perle. Prima di tutto, una prova di “pura obbedienza”, da vero gesuita. Se il papa dice bianco, ed è nero… ma questo, detto non nel 1500, ma nel 2016, è quanto meno singolare. E questa categoria del “legislatore supremo”, che viene applicata con disinvoltura a Cristo e al Papa fa veramente venire la pelle d’oca. Ma non basta: poi il nostro padre Gesuita si lancia in una bella dimostrazione di sapienza biblica e poi di sapienza liturgica, ma con questo esito un poco sorprendente. Sembra pensare – il nostro biblista e liturgista – che la rappresentazione migliore della Lavanda compiuta da Gesù sarebbe “il papa con i suddiaconi”: si vede come Fessio abbia a cuore il primato della periferia e la Chiesa in uscita. E, anche qui, ci si consola con il rimedio dei rimedi: se il papa, che è il supremo legislatore, cambia la rubrica della lavanda, tu, per obbedirgli puoi fare due cose. O ti avvali della facoltà di chiamare solo maschi denudati nel piede, oppure ti avvali della facoltà di denudarti della Lavanda dei piedi. Così fai anche un sacrificio, perinde ac cadaver!

«Una cosa è certa», ha dichiarato p. Fessio. «C’è una “dissonanza simbolica”, o una mancanza di connessione. L’umiltà e il servizio di cui Gesù dà un esempio sono una cosa che ogni cristiano deve a chiunque. Nonostante questo, l’origine storica dell’esempio è il fatto che Gesù lava i piedi dei 12 apostoli. Cercare di rendere il gesto più “inclusivo” di quello che ha fatto Gesù non fa altro che confondere l’immagine storica».

Il p. Fessio, come un grande musicista, ha lasciato l’accordo più forte proprio per il finale. Perché alla fine non riesce più a trattenersi e tocca il punto vitale e viscerale della questione. Poiché la lettera del papa e il Decreto del prefetto fanno leva sulla “pienezza del significato” della lavanda dei piedi, perché possa essere capace di significare un servizio e una misericordia davvero “per tutti”, proprio qui Fessio si ribella: e arriva a parlare di problemi di “dissonanza simbolica” e di “mancanza di connessione”. Ma dove sarebbe, secondo lui, la “dissonanza”? Me lo chiedo sul serio. Fessio sembra intendere la cosa in questo modo: Gesù va compreso – necessariamente – come un papa che lava i piedi ai suddiaconi… se già uno volesse lavarli agli accoliti, non seguirebbe la vera storia e il vangelo; ma nemmeno se fossero solo dei lettori, non si sarebbe più in regola… ancora ancora forse si potrebbe tollerare qualche laico, ma solo se maschio e potenzialmente “ordinabile”. Maschi già sposati, no. E donne? Non se ne parla proprio. Se tu metti le donne, a piede nudo (di piede ne basta uno, con tutte e 5 le dita nude!) allora sei fuori dalla “tradizione apostolica”. Ora qui tutto diventa evidente, finalmente: la lavanda non c’entra niente. La contestazione è sulla Chiesa – che può essere solo autoreferenziale – e sul rapporto con il mondo – che deve restare “oltre la balaustra”: capisco bene?

Pubblicato il 18 marzo 2016 nel blog: Come se non

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2 Commenti

  1. Giorgia Gariboldi 24 marzo 2016
  2. Franca 23 marzo 2016

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