II Per annum: “Rimasero”

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Felice la scelta di porre fin dall’inizio del cammino ordinario della Chiesa il racconto della vocazione del giovane Samuele da parte di YHWH e della chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù. La vita del credente è la risposta ad una chiamata, la chiamata a un rapporto intimo col Signore Gesù, qualunque piega possa prendere la vita quotidiana quale espressione personale del proprio carisma nella sequela di Gesù.

Il “richiesto”

[Nel santuario di Silo, Anna, la mamma di Samuele]… disse [al sacerdote Eli]: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto (wayyittēn YHWH lî ‘et ‘še’ēlātî ‘āšer šā’altî). Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore (hû’ šā’ûl laYHWH«E si prostrarono là davanti al Signore» (1Sam 1,26-28)… «Frattanto il fanciullo Samuele cresceva presso il Signore» (1Sam 2,21b). «Invece il giovane Samuele andava crescendo ed era gradito al Signore (“buono”/ôb ‘im YHWH) e agli uomini» (1Sam 2,26). «Il giovane Samuele serviva (mešārēt) il Signore alla presenza di Eli» (1Sam 3,1). È martellante la ripetizione della radice š’l/chiedere, come si stesse parlando di “Shaul/Richiesto”, invece di “Samuele/Dio ascolta”…

Ci sono tutte le premesse e le carte in regola perché il giovane Samuele abbia un rapporto profondo con YHWH. Vive e dorme nel tempio di Silo (nel 1040 a.C. circa), a stretto contatto col sacerdote Eli. Questi è un valido sacerdote di YHWH, anche se non immune da errori. Scambia la preghiera sommessa e affranta della sterile Anna per la preghiera di un’ubriaca (cf. 1Sam 1,14) per poi ricredersi e benedirla.

Egli però è sconsolato e molto deluso per il comportamento peccaminoso e volgare dei due figli Ofni e Fineès, che disonoravano YHWH non ammoniti dovutamente dal padre (cf. 1Sam 3,13). Confiscano violentemente con forchettoni a tre punte la carne offerta dai fedeli mentre ancora sta cuocendo (cf. 1Sam 2,13ss) e vanno a letto con le donne che prestano servizio all’ingresso della tenda del convegno (cf. 1Sam 2,23). Un uomo di Dio predirà a Eli la morte contemporanea dei due figli degeneri (cf. 1Sam 34).

La Parola rara

L’età di Eli era molto avanzata, gli occhi gli si erano indeboliti, la luce della lampada di YHWH non era ancora spenta (cf. 1sa, 3,1ss) ma, dall’insieme delle cose, sembra ridotta ormai al lumicino.

Non fa meraviglia che, in un’atmosfera crepuscolare come questa, Samuele cresca buono e gradito a Dio e agli uomini, ma che purtroppo la parola di YHWH fosse “rara/preziosa/yāqār” e le visioni non fossero frequenti. Stupisce, ma non meraviglia, che Samuele, pur passando il giorno e la notte nel tempio vicino a YHWH e al sacerdote Eli non avesse ancora conosciuto esperienzialmente YHWH (erem yāda’ ‘et-YHWH). Samuele serviva (mešārēt) YHWH senza “conoscere” YHWH! Non conosceva YHWH perché non «gli era stata ancora rivelata (yiggāleh) la parola di YHWH». Il servizio liturgico di Samuele si presume corretto e premuroso, gentile col sacerdote e rispettoso verso YHWH e i pellegrini. Ma tutto questo non significa ancora “conoscere” YHWH.

Parla!

Nel crepuscolo la parola di Dio è rara, preziosa. La parola non si fa vedere. Non si svende. Attende tempi migliori, gente più disponibile. Non si gettano le perle ai porci. Serve un cambio di rotta. Dai sacerdoti ai profeti. Nella notte YHWH chiama per due volte Samuele, e per due volte egli torna a dormire dopo aver dato piena disponibilità al sacerdote Eli. Alla “terza” occorrenza di un evento, giorno ecc. nella Bibbia normalmente succede qualcosa di decisivo, una svolta.

Alla terza chiamata del ragazzo (1Sam 3,8: na’ar = dai tredici ai ventotto anni circa), infatti, Eli comprende che è YHWH che “convoca a sé/qārā’ le” il giovane. Eli si fa mediatore vocazionale per Samuele. Lo aiuta a percepire nella voce misteriosa la voce di YHWH che lo convoca a sé per un servizio più intenso, intimo, posto su basi diverse e più solide di un puro “stare” nel tempio e uno statico e “monotono”, quasi automatico, crescere con YHWH (cf. 2,21.26). Un servizio che non si prolunga di padre in figlio per discendenza dinastica, col rischio non peregrino di diventare qualcosa di scontato e burocratico, impiegatizio.

La parola di YHWH rivela il cuore di YHWH. È una sua scelta “rivelarla/glh”, toglierle il velo dell’invisibilità divina, la custodia del silenzio, per svelarla a orecchie umane. Essa esce dal Silenzio del Principio, dalla Sorgente della parola e del suo senso, raggiunge le orecchie dell’uomo per penetrare nel suo cuore, il sacrario dell’intelligenza, della volontà e delle decisioni volitive e affettive, la sede della vita cosciente.

La parola vince il silenzio, porta la voce, esprime un senso e una chiamata, una direzione. Rivela e chiama. Svela e interpella. La parola chiede la dignità dell’ascolto, perché essa esce da un cuore e «sale al cuore» (cf. Ger 3,16, 7,31; 19,5; 32,35; Ez 14,3.7; 38,10, Sir 32,11) per comunicarsi ad esso…

Il tuo servo è in ascolto!

E YHWH “venne/wayyābō’”, si piazzò in piedi/wayyityaṣṣāb” e “gridò/wayyiqrā’. È YHWH che prende l’iniziativa, perché nessuno può darsi una vocazione, autocandidarsi a una chiamata. Samuele è chiamato all’ascolto pieno di ossequio, e lui lo esprime con slancio, su dettatura dell’anziano mediatore vocazionale: «Parla, perché (è) ascoltante il tuo servo/dabbēr kî šōmēa’ ‘abdekā” (v. 9)».

Nell’emozione Samuele si dimentica persino di chiamare Dio col suo nome, YHWH, come gli aveva suggerito Eli… Così l’ascolto risulta vicinissimo alla parola, diventando la qualifica stessa di Samuele, che si dimentica di essere un soggetto (io/’ānî), per identificarsi con un atteggiamento vitale continuo, che lo costituisce nella sua vera identità in stretto rapporto con il suo Signore, a un “tu”: un “tuo servo/servitore/ministro/ufficiale”.

Samuele è in ascolto di una parola, qualunque parola YHWH voglia “rivelargli/svelargli”. Una parola senza contenuto, un messaggio senza allegato preciso e ben identificato. Lo statuto di Samuele sarà l’ascolto, l’attenzione a una parola che lo aiuterà a discernere i tempi e i momenti, gli uomini e i re…

Una chiamata all’ascolto. Una chiamata che, all’inizio, si ferma al nome, ripetuto con amore due volte, perché il momento è decisivo. Una chiamata che riempie il nome di “ascolto”, colmando il nome di Samuele di una identità nuova. Samuele/Šemûēl, “Dio ascolta” sarà un uomo che «ascolta Dio».

L’ascolto attento “pende dalle labbra” dell’Amato, del padrone, del Signore. Per questo «Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto/fece cadere a terra/welō’ hippîl ‘arāh una sola delle sue parole».

Chi non lascia cadere a terra le sue parole? YHWH o Samuele? Tutte e due? Sembrerebbe YHWH, che “compie” le sue parole, sventando una loro malaugurata infecondità. Ma YHWH ha ormai fatto corpo unico col suo servo.

Sarà un grande profeta, non indenne da errori, ma decisivo nelle svolte cruciali a cui il popolo di Israele andrà incontro. Un profeta che ascolterà YHWH, e solo a malincuore “ascolterà” le richieste innovative e “pericolose” del popolo («Gli dissero [tutti gli anziani]: “Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli”. Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: “Dacci un re che sia nostro giudice”») (1Sam 8,5-6).

Che cosa cercate?

Sono le prime parole di Gesù di Nazaret, Verbo incarnato, nel vangelo secondo Giovanni. Sono rivolte ai due discepoli di Giovanni il Battezzatore/il Testimone che si sono messi alla sua sequela/ēkolouthēsan.

Cosa cercate nella vostra esistenza? cosa riempie il vostro cuore? – domanda Gesù all’inizio della sua vita pubblica. Chi cerchi?, domanderà Gesù risorto a Maria Maddalena nel “giardino/kēpos” nuovo, più che genesiaco (cf. Gv 20,15).

I due uomini avevano sentito dire dal loro maestro che Gesù era l’Agnello di Dio, l’agnello pasquale segno di redenzione (cf. Es 12,46; Gv 19,36), l’agnello mite, afono (cf. Ger 11,19) che, senza processo, è portato a morire innocente a favore della comunità disgregata e ancorata ai rigidi criteri di valutazione propri della legge della retribuzione (cf. Is 53,8).

Giovanni il Testimone “aveva guardato dentro/emblepsas” il cuore di Gesù, l’Inviato del Padre e aveva già intravisto l’«Agnello, in piedi/arnion estēkos, come immolato» (Ap 5,6), vinto ma Vittorioso, risorto sopra le macerie della vecchia Gerusalemme e della grande prostituta Babilonia.

Giovanni il Testimone “se ne stava in piedi/eistēkei” il terzo giorno della settimana inaugurale del Messia (Gv 1,19.29.35.43; 2,1). Egli non è lo Sposo, ma è l’amico dello Sposo, “colui che sta in piedi/ho estēkōs” (Gv 3,29), ascolta, esulta alla voce dello Sposo che deve crescere, mentre lui deve diminuire (cf. Gv 3,29-30). Questo fatto è gioia “compiuta/piena/peplērōtai)” per l’amico (cf. Gv 3,29).

Giovanni il Testimone «vede dentro» (Gv 1,36), «ascolta» (3,29), «parla» (1,36), «parla in modo rivelatorio» (1,37). I discepoli del Testimone si mettono-in-cammino-dietro l’Agnello, seguono le indicazione del loro mediatore vocazionale. Il Testimone aiuta i discepoli a chiarire il desiderio profondo del loro cuore.

Gesù si volta, li “contempla/theasamenos” mentre sono ancora in cammino e poi rivolge loro la domanda chiave della vita: «Che cosa cercate?» (1,38). Non chiede cosa vogliano fare, ma che cosa desiderano mettendosi in ricerca.

Dove rimani?

«Maestro» – gli rispondono i due senza interpellarlo per nome – «cerchiamo il luogo “dove tu rimani di continuo/pou meneis”» (v. 38). Dove appoggi la tua vita, le tue scelte, le tue fatiche e le tue gioie? dov’è la sorgente della tua luce? da dove nasce il magma del tuo amore? dove abita il Silenzio da cui esce la tua Parola? da dove trai il tuo esistere, il tuo sguardo limpido, il cuore retto, la parola ferma ma accogliente? dov’è la Sorgente nativa del tuo Avvento, il Padre del tuo essere Figlio accogliente?

«Venite e vedrete/opseste» – risponde loro il Maestro. Avete seguito il Testimone, venite dal Testimoniato. Avete ascoltato la voce, venite e ascoltate la Parola. Avete guardato alla lampada, venite alla Luce. Avete ascoltato l’amico dello Sposo, che ha preparato tutto il necessario per la gioia delle nozze. Venite allo Sposo, venite alle nozze dell’Agnello! «Chi è inesperto venga qui!» – invita Donna Sapienza (Pr 9,4) i suoi discepoli. Essa ha preparato il bestiame macellato, il vino, il pane. «Abbandonate l’inesperienza e vivrete» (Pr 9,6a) – esorta chi potrebbe essere tentato di colmare il proprio desiderio profondo accettando l’invito di Donna Follia che la scimmiotta (cf. Pr 9,13-18).

La voce è calda, attrae. L’uomo è fermo, affidabile. Erano quasi le quattro del pomeriggio, la giornata volgeva al termine, bisognava decidere prima del buio.

Rimasero

«Rimasero/emeinan».

Rimasero quel giorno, quello spicchio di giorno e forse anche la notte. Anche Giacobbe passò la notte nel luogo in cui capitò. Era “maestoso/terribile/nôrāh”, la “porta del cielo/ša’ar haššāmāyim”, “la casa di Dio/bêt ‘Ĕlōhîm” e lui non sapeva che lì c’era YHWH (cf. Gen 28,16-19). Egli «chiamò quel luogo “Betel/bêt-’Ēl”» (Gen 28,19), «la casa di Dio».

Rimasero e intravidero dove Gesù aveva la sua abitazione stabile, dove “rimaneva”. Lui era nel Padre, e il Padre in lui (cf. Gv 17,21). Il Padre era la sua casa dalle molte dimore (cf. Gv 14,2).

Andrea trova il fratello Simone, gli partecipa subito la scoperta fatta insieme all’“altro discepolo”: «Abbiamo trovato il messia» atteso da secoli dal popolo di Israele – gli dice –, il compimento delle nostre speranze, la pace del nostro desiderio.

Chi ha sperimentato la mensa di Donna Sapienza, la casa dove Gesù rimane per sempre, si fa missionario-testimone, mediatore vocazionale. Ha incontrato lo Sposo, il figlio, l’Amato. Non ha incontrato una dottrina, una regola morale, una pura torah istruttiva, ma impotente. «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus caritas est 1).

E Andrea conduce/ēgagen Simone da Gesù. La fratellanza umana si fa comunione spirituale, condivisione della scoperta decisiva della propria vita.

Gesù fa scivolare su Simone lo stesso sguardo penetrante che Giovanni il Battezzatore Testimone aveva posato su di lui: «Lo guardò dentro in profondità/empblepsas» (v. 42; cf. v. 36). Uno sguardo, una voce, un incontro che cambia una vita, cambia una missione. Dopo essere stato uno che ascolta, Simone (gr. Simōn dall’ebr. Šim’ōn < šāma’, ascoltare) diventerà Pietra posta sul Fondamento unico che è Gesù Cristo (cf. 1Cor 3,11).

Un incontro che ti cambia la vita.

Un volto, un cuore, una voce.

La luce.

Il desiderio appagato.


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