Liturgia: ars celebrandi non restaurandi

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Partiamo da una domanda: che cos’è la liturgia? La liturgia è culmen et fons[1] di tutta l’attività della Chiesa e per mezzo di essa viene esercitato il sacerdozio di Cristo che associa la sua santa Chiesa, la manifesta e la implica[2], per ritus et praeces, perché si compia la sua stessa glorificazione e offra al Padre il culto perfetto. In sintesi, è la contemporaneità del sacerdozio di Cri­sto.

È, quindi, azione salvifica che rimane nei se­coli e che viene riproposta nel tempo della Chiesa, attraverso segni sen­sibili, voluti da Cristo stesso.

Ecco perché, per comprendere il valore della messa, ha spiegato papa Francesco in un’intervista a La Stampa, «dobbiamo innanzitutto capire allora il significato biblico del “memoriale”. Esso non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma li rende in certo modo presenti e attuali». Ogni eucaristia quindi è un passaggio pasquale. La messa, infatti, non è un sentire qualcosa ma un convenire dei fratelli nell’esperienza di Cristo risorto.

Il teologo Bruno Forte in Trinità come storia si domanda: «Il Dio dei cristiani è un Dio cristiano? Questa domanda, in apparenza paradossale, nasce spontanea se si considera il modo con cui molti cristiani si raffigurano il loro Dio». Parafrasando la sua stessa domanda, dovremmo tutti chiederci: le nostre liturgie sono autenticamente cristiane? Sono trasparenza dell’Invisibile? Riflesso personale di quel Volto che si manifesta nei santi segni? Penetrano la profondità del mistero o sono accentuazioni dell’enfatico e, non di rado, si manifestano amorfe e massificanti? Il rito esprime la verità del suo significato oppure si lascia imprigionare dalla spettacolarizzazione che nella sontuosità dei paramenti a volte ripropone desueti estetismi barocchi? Le nostre liturgie portano Dio all’uomo e l’uomo a Dio in Cristo?

La dimensione più profonda dell’arte del presiedere dovrebbe essere quella di fare apparire il mistero e far scomparire il proprio io. “In alcuni – annota il papa – si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa […]. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi (EG 99)”. E, se vogliamo conservarci fedeli alla verità, bisogna dire che nelle nostre liturgie si apprezzano non poche tentazioni autocelebrative che teatralizzando l’evento non di rado esaltano il ministro a discapito del Mistero. Quando invece dovrebbe valere per il liturgo la parola di Giovanni il precursore: “Oportet illum crescere, me autem minui” (Gv 3,30).

“La liturgia – diceva Romano Guardini – è sì emozione, ma dev’essere un’emozione sotto strettissimo controllo”. Le emozioni sono fenomeni articolati che includono un’interazione tra fattori soggettivi e oggettivi, filtrate dai sistemi neurali/ormonali, che possono dare genesi, se non ispezionate, a sensazionalismi emotivi, fino ad un misticismo tipicamente autoreferenziale, la cui efficacia può essere agevolmente soggetta alle incrinature proiettive o deliranti di sindrome paranoidee acute.

La dignità della liturgia di cui si parla a sproposito – contestando addirittura il papa – non è posa, ma segno di un’investitura e riverenza amorosa che richiama al mistero.  La messa – ama dire spesso il papa – è rifare il calvario, non è uno spettacolo» ridotto a luogo di fruizione estetica. Il deterioramento della qualità liturgica della messa produce un offuscamento del primato di questa, rispetto alle pratiche devozionali di una religiosità individuale, allergica alle forme istituzionalizzate dell’elaborazione cristiana.

Alla luce di queste considerazioni dobbiamo seriamente esaminarci su tutte le degenerazioni che viviamo e, talvolta, coltiviamo, esteriormente, in nome di un vago aggancio al cosiddetto religioso.

Dio e la liturgia

Secondo alcuni sociologi del sacro, la causa più profonda della crisi che ha scombinato la Chiesa dimora nell’oscuramento della priorità di Dio nella liturgia. Anzi, per essere più precisi, come diceva A. Del Noce, una sacralizzazione della secolarizzazione ha usurpato il tempio di Dio. La stessa secolarizzazione, segno distintivo del nostro tem­po, è postulatoria di una fede purificata dalle ecchimosi di un sacro confuso e pluralistico, che, nell’ostentare una rimonta della trascendenza, consegue l’effetto di inculcare abbagli di trascendenza e nostalgie di assoluto.

I post-cristiani, cioè quanti nella turbolenta vicenda di un mon­do in travaglio, scossi da tante suggestioni della vita, manipolati da in­flussi psico-sociali, presi da visioni della vita in lettura secolare, esclu­sivamente terrena, sono profondamente in crisi di fede, postulano una reinterpretazione più genuina e veritiera della proposta evangelica.

Dunque, la stessa crisi del cristianesimo si offre come nuova opportunità per riproporre la questione di Dio. C’è però la richiesta di un Dio vivo, personale che chiarisce ogni mistero e scioglie ogni ambiguità.

Ecco la mansione fondamentale della liturgia nell’età secolare: rendere presente il Dio umano in una società senza Dio, essere la sua epifania in mezzo agli uomini. Una delle priorità del Convegno delle Chiese d’Italia a Firenze è quella di essere pervenuti alla consapevolezza che la concretizzazione del nuovo umanesimo in Gesù Cristo non può astrarsi dalla natura intensamente umana della liturgia.

Infatti, nella liturgia tutto ha senso, tutto è via al mistero, tutto è dono, è vita. Ora, è proprio l’attuale fenomenologia culturale della liturgia che provoca la riflessione teologica a rimettere in gioco la comprensione della differenza qualitativa del cristianesimo come luogo di una ripresa della questione dell’essenza. Una retta visione della liturgia suppone sempre una teologia di riferimento sia in campo cristologico che ecclesiologico.

Con un linguaggio semplice e schietto e con una visione dell’universalità della Chiesa papa Francesco, convinto che è a partire da come viviamo la liturgia che costruiamo il futuro di Dio, per la risignificazione cristiana della stessa, o meglio per arginare derive banalizzanti le verità del mistero, ha promulgato il motu proprio Traditionis custodes.

Non entro nel merito del documento non sono né un liturgista né un canonista, ma sono convinto, condividendo le preoccupazioni del pontefice, che la liturgia deve essere più capita, partecipata, vissuta. E per capire la liturgia, la via privilegiata è evangelizzarla. Con molto reali­smo si constata che non pochi nelle nostre assemblee che pur vor­rebbero essere più inseriti nella vita della fede, di fronte allo svolger­si dell’evento liturgico sono come assenti perché non sanno quello che fanno.

Alla luce di queste considerazioni mi domando: anziché lavorare, come saccenti con la livrea dei maestri, perché non ci impegniamo a recuperare il senso della profezia per passare da una liturgia levitica ad una profetica che la rende consapevole della sua intenzionalità soteriologica?

In un tempo come il nostro, dove l’ermeneutica della comprensione è attraversata dagli oncogeni di una severa ipossia comunicativa, che il filosofo austriaco F. Ebner individua nella caduta della parola, è fuori luogo ascoltare le becere proteste risorgimentali dei conservatoristi che in nome non della tradizione ma del tradizionalismo, vivendo in maniera asettica la logica dell’Incarnazione, auspicano forme di restaurazione, soprattutto nell’ambito della liturgia, che oggi apparirebbero, indagate con l’epistemologia del senso, desuete ed enfisematose.

Un’attenta analisi alle connotazioni storiche assunte dal movimento cristiano lascia emergere addirittura la fragilità semantica del termine cristianesimo.

Il Concilio Vaticano II, riscoprendo l’essenza teolo­gica e antropologica della liturgia, ha raccomandato un lin­guaggio opportuno. Si sa infatti che le parole non sono soltanto indicative, ma anche induttive o formatrici di una mentalità e di una prassi corrispondente. La riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire dalla prassi storica.

Traditionis custodes e la tradizione

Alla luce di queste riflessione il vero attentato alla tradizione non è Traditionis custodes, ma il constatare che le dissociazioni liturgiche – per dirla con l’idioma degli psichiatri – permangono soprattutto dove la comunità non è rigenerata dall’ecclesiologia conciliare e la liturgia non è ancora divenuta culto dell’intera famiglia di Dio. Il limite al momento più sentito nell’assimilazione degli insegnamenti conciliari è la carenza della formazione liturgica dei fedeli e della formazione giuridica dei pastori.

Avrebbe dovuto sorprendere invece e suscitare reazione – per i propositi di restaurazione –, il motu proprio del 2007 Summorum Pontificum, dove si osava affermare che l’intero quadro della liturgia pre-conciliare, non solo il Messale, ma anche il Rituale e molti aspetti del Pontificale, non essendo mai stati abrogati, potevano essere legittimamente usati, sia pure a certe condizioni, nella Chiesa post-conciliare. Ars restaurandi non ars celebrandi!

Il popolo ha diritto a celebrazioni liturgiche comprensibili, non alienanti ma liberanti, non magiche ma profonde, che esprimano la finalità vera e lo spirito autentico della liturgia, e non gli stati umorali o isterie del celebrante. Narrare in liturgia – secondo il papa – è percepire nella trama degli eventi una sporgenza di senso che apre alla ricerca della verità.

La funzione clericale di leadership è, invece, scaduta, non è più ac­colta. Non è rifiutato il prete ma il suo modo di esserlo. Ed è, in fondo, una grazia, una crescita. È una strada che, aperta da papa Francesco, nella forza dello Spirito, ci invita a conversione.

L’auspicio del papa è lavorare a servizio del popolo di Dio per riscoprire la bellezza di incontrare il Signore nella liturgia e così avere la vita nel suo nome. Così l’anima della liturgia riemergerà prepotente dalla sua immersione nel mondo, nella quale è chiamata a testimoniare la salvezza di Dio e a celebrare la speranza dell’uomo nel contesto di una Chiesa che si fa mondo per chiamare il mondo a comunione, al­l’ipostasi con Dio, alla liberazione progressiva, totale e definitiva, al­la divinizzazione della carne del mondo nella carne di Cristo. «La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia» (EG, 24).

Oggi il problema è declericalizzare la liturgia per autenticarla. Forse il termine può dare incomodo o originare ambiguità, ma include un’intensa validità e significazione.

Il papa è convinto che nella costruzione della strategia di senso, la liturgia si introduce nella progettualità dell’esistenza, accendendo una fede che si fa forma di vita, cogliendo il suo servizio culturale come affiliazione ad un modo diverso di essere uomini e donne di una realtà composita dal punto di vista dei sistemi di riferimento.

È vero che non si può vivere un’autentica liturgia senza che questa procuri educazione sociale, ma è vero, pu­re, ed è molto bello se lo assumiamo, che vivere bene le liturgie è già un principio di socializzazione, di elevazione, di educa­zione.

L’imperativo del motu proprio sta nel ridurre la complessità ed è duplice: in primis, invita a non sciupare la più grande ric­chezza posta dal Concilio nelle nostre mani; ma soprat­tutto manifesta il desiderio di una rigenerazione spiri­tuale di pastori e fedeli, che non può avvenire se si pre­scinde dal rinnovamento effettivo della liturgia.


[1] Cf. SC, 10.
[2] Cf. SC, 7; 26.

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Un commento

  1. SAVIO GIRELLI 2 agosto 2021

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