Lorenzo Perosi

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centenario

A 150 anni dalla nascita del prete musicista Lorenzo Perosi, il maestro Simone Baiocchi – coordinatore del segretariato compositori della Associazione Italiana Santa Cecilia (AISC Roma) – risponde ad alcune domande di ricostruzione della ricchissima figura del compositore di musica liturgica e sacra, oltre che strumentale (domande a cura di Giordano Cavallari).

  • Maestro, vuole ripercorrere le tappe della formazione e della vita musicale di Lorenzo Perosi?

Si può dire che Lorenzo Perosi venne a contatto con la musica appena vide la luce, il 21 dicembre del 1872. Suo padre Giuseppe (1842-1908) era organista del duomo di Tortona e prese parte attiva al movimento ceciliano di riforma della musica sacra che sorse in Italia verso la fine dell’800 e che si organizzò nell’Associazione Italiana Santa Cecilia. Lorenzo si trovò avviato alla musica sin da piccolissimo e fu proprio il padre a guidarlo ed indirizzarlo nel percorso di studi.

Nel 1890, appena diciottenne, venne inviato a Montecassino per lo studio del canto gregoriano e per svolgere funzione di insegnante di solfeggio ai monaci. Subito dopo questa esperienza, sempre su interessamento di suo padre, iniziò a studiare composizione con il maestro Michele Saladino (1835-1912), dapprima per corrispondenza e poi frequentando, per un anno scolastico, il conservatorio “Verdi” di Milano, ove Perosi conseguì il compimento medio del corso di composizione, sostenendo le prove d’esame nel luglio 1892.

Nel 1893, grazie al sostegno del conte Francesco Lurani (1857-1912), suo amico e mecenate, si recò a Ratisbona per frequentare la scuola superiore di musica sacra fondata da Franz Xavier Haberl (1840-1910). Al rientro da Ratisbona arrivarono i primi impegni professionali che lo condussero alla progressiva affermazione nel panorama musicale italiano.

Nel 1894 soggiornò a Imola per un anno come maestro di canto degli alunni del seminario e qui scelse di vestire l’abito da chierico, iniziando il suo percorso in preparazione al sacerdozio. Su segnalazione di padre Angelo De Santi (1847-1922) fu presentato al cardinal Giuseppe Sarto (1835-1914) appena nominato patriarca di Venezia e da questi venne scelto come nuovo maestro della Cappella Marciana, in sostituzione di Giovanni Tebaldini (1864-1952) che era passato a dirigere la Cappella del Santo di Padova. Durante il periodo veneziano il nome di Perosi iniziò ad affermarsi sempre più, sia per le novità compositive che per il lavoro di riforma della Cappella Marciana da lui promosso.

Nel 1898 ci fu la grande svolta: su suggerimento di Domenico Mustafà (1829-1912), soprano evirato e direttore perpetuo della Cappella Sistina, Papa Leone XIII lo nominò condirettore perpetuo della Cappella Musicale Pontificia assieme allo stesso Mustafà. Dopo un periodo di circa due anni in cui mantenne sia la direzione di Venezia che quella di Roma, Perosi si trasferì definitivamente a Roma.

In questi anni la sua popolarità raggiunse l’apice, consacrandolo ad un successo mai visto prima per un sacerdote musicista. Compose in modo inarrestabile, producendo innumerevoli pagine di musica sacra e anche lavori di notevole importanza nell’ambito della musica cameristica e sinfonica.

Attorno al 1904, una grave forma di disturbo mentale iniziò ad affiorare, progressiva, e nell’arco di pochi anni lo precipitò in una condizione di sofferenza da cui non riuscì più completamente a riprendersi. Morì a Roma il 12 ottobre del 1956.

La malattia e la musica
  • Senza troppo indagare nel suo vissuto personale, può dire quali conseguenze ebbe la malattia in ambito creativo-musicale?

La malattia psichica sconvolse profondamente l’animo del Perosi. Fu diagnosticata dai medici dell’epoca quale “delirio schizofrenico con sdoppiamenti di personalità”[1]. Tale patologia lo allontanò per molti anni dall’attività musicale di direttore.

Tuttavia, pur tra alterne vicende, il disagio psichico non interruppe mai totalmente il flusso creativo: l’attività compositiva era per lui una sorta di esigenza fisica. La creatività in Perosi era come un corso d’acqua dirompente e vivo, inarrestabile, che – se vogliamo – tuttora sgorga ancora fresco dall’animo dell’autore a noi, in modo generoso e abbondantissimo.

La malattia psichica ad un certo punto si farà gravissima, tanto da determinarne l’interdizione giuridica. Tale provvedimento fu un atto necessario, volto a tutelare l’illustre paziente, sia negli aspetti economici che nella produzione artistica, poiché in preda a deliri che ne turbavano anche l’orientamento artistico, minacciò più volte di distruggere i suoi lavori e ne impedì le esecuzioni: riteneva che la sua musica non valesse nulla e che il suo linguaggio non fosse più adeguato alle nuove tendenze che andavano affermandosi agli inizi del XX secolo.

  • A quali generi di opere liturgiche e sacre si è dedicato Lorenzo Perosi?

Il primo Perosi, dal punto di vista compositivo, fu impegnato sul fronte della produzione musicale per la liturgia: messe, mottetti e tutte quelle pagine facili, a due o tre voci, destinate alle scholæ cantorum amatoriali che stavano nascendo in quegli anni.

Si andava così formando un repertorio nuovo che conobbe particolare fortuna e che fu pubblicato nei fascicoli “Melodie sacre” ad opera della calcografia Musica Sacra di Milano, editore Bertarelli, tra il 1897 e il 1908[2]. Dal 1897 iniziò a dedicarsi anche al genere dell’oratorio, una forma musicale non liturgica, in cui mise in musica episodi dei vangeli e dell’antico testamento con l’intento di evangelizzare attraverso la conoscenza della figura di Cristo (qui l’Oratorio La Risurrezione di Cristo del 1898).

Quasi contemporaneamente a questa fase, ne avviò una molto particolare e non meno importante, che vide Perosi dedicare attenzione alla musica sinfonica e cameristica. Questo periodo iniziò a delinearsi con la composizione del “Tema variato” per orchestra del 1902, forse il primo lavoro di rilievo in tale versante, a cui seguirono le nove suite dedicate alle diverse città italiane con cui l’autore ebbe un particolare rapporto.

Tra il 1928 e il 1931 è avvenuta la produzione dei quartetti e dei quintetti per archi. Si tratta di una sorta di profluvio unico, come ha giustamente notato il musicologo Sandro Cappelletto nella relazione tenuta durante il convegno perosiano dello scorso novembre a Tortona: una quantità che nessun altro autore nella storia della musica ha prodotto in così breve tempo, ossia 18 quartetti e 4 quintetti in tre anni.

Spiritualità e stile
  • Cosa è possibile dire, secondo lei, della sua spiritualità, attraverso l’espressione musicale?

La musica di don Lorenzo Perosi nasce da un cuore di sacerdote e mira al cuore della gente. È una musica che non vuole stupire i dotti o meravigliare gli accademici, ma che piuttosto desidera parlare a tutti. Nella produzione liturgica si percepisce il rispetto e l’adesione intima per ciò che accade nel rito: è una musica che ha la forza di “mettere in ginocchio” chi l’ascolta.

Per quanto riguarda la produzione degli oratori (salmi e cantate) si avverte un diverso afflato, evidentemente libero dalle esigenze del rito: da questa produzione emerge un Perosi che non distoglie nemmeno per un attimo il suo sguardo da Dio invitando dolcemente l’ascoltatore a guardare nella stessa direzione.

Anche nella musica da camera e nelle suite per orchestra si percepisce un pensiero meditativo ed uniforme, rivolto alle cose “di lassù”: pur muovendosi nella descrizione delle città a lui legate – o nel fluire della scrittura quartettistica su cui aleggiano discrete e solenni le dediche alle persone scomparse a lui care – emerge sopra tutto il senso di gratitudine a Dio per i doni della vita e, in particolare, per il dono della musica.

Questa sua postura dell’anima emerge evidente nei tempi lenti, specie nei quartetti, ove il lirismo domina il discorso e indirizza anche l’ascoltatore a guardarsi dentro. Il panorama spalancato dalla musica di Perosi è sconfinato: benché solcato dalla sofferenza psichica, conserva, nel suo eloquio, gemme di speranza che consentono una risposta fiduciosa al dramma umano, da lui vissuto da fratello di ogni uomo e di ogni donna nel dolore.

  • Può spiegare, anche ai non musicisti, le caratteristiche dello stile perosiano?

Lo stile perosiano è appunto molto personale, originale, come solo accade nei grandi compositori. Nel suo linguaggio riveste particolare importanza lo studio e la frequentazione del canto gregoriano e della polifonica classica: dunque la conoscenza di quelle radici che sono fondamentali per il nutrimento e la crescita di un qualsiasi autore che, ancora oggi, desideri offrire il proprio contributo alla musica liturgica e sacra.

Perosi non fu un gregorianista nel senso tecnico del termine, come ha dottamente esposto p. Marco Repeto nelle sue due differenti relazioni tenute a Tortona e a Cosenza. Sarebbe più opportuno definirlo un “gregorianofilo” (definizione coniata da mons. Ernesto Moneta Caglio): la conoscenza del gregoriano da parte di don Lorenzo è profonda e viva, vissuta nello spazio liturgico e fatta propria da un autentico, intimo, amore.

Tale conoscenza permea nel suo linguaggio musicale principalmente in due maniere: attraverso citazioni esplicite (anche con l’uso del cantus firmus), ovvero e soprattutto attraverso una atmosfera in cui il gregoriano non è presente in modo esplicito ma, grazie alle particolari formule melodiche e alle caratteristiche successioni armoniche, riecheggia nel contesto generale, per cui si avverte, anche se non c’è.

Per quanto riguarda la polifonia perosiana, gli approcci compositivi possono distinguersi in due principali momenti. Il primo è quello che riferirei al periodo dell’apostolato ceciliano, in cui Perosi si preoccupa di comporre melodie facili e pratiche, che fossero potenzialmente eseguibili anche dalla scholae amatoriali o meno dotate di mezzi.

Il secondo coincide con l’arrivo di Perosi a Roma quale direttore perpetuo della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, con cui inizia la fase della produzione di pagine assai più complesse e destinate all’esecuzione dei cantori sistini, professionisti dotati di formidabili mezzi vocali uniti a grande abilità ed esperienza nella polifonia, abituati ad un repertorio che poteva andare dalle 4 alle 6 o addirittura 8 voci in doppio coro.

Periodo romano
  • Nei convegni citati, lei ha relazionato in particolare sul periodo romano di don Lorenzo Perosi, quale direttore della Cappella Sistina. Qual è stato l’influsso subìto e l’impulso impresso da Perosi alla Cappella romana?

Nel 1898 la storia di Perosi incontra quella della Cappella Sistina e confluisce in modo determinante in questa: da tale incontro nasceranno alcune riforme – per la verità non tutte eccelse – che riguarderanno il coro. La più evidente tra queste è l’introduzione delle voci di ragazzo in sostituzione di quelle dei castrati e dei falsettisti, chiudendo così un’epoca iniziata alla fine del XVI secolo.

In realtà i falsettisti non scompariranno del tutto, poiché la schola puerorum costituita da Perosi in seno alla scuola Pia retta dai Fratelli della Misericordia, seppur apprezzabile nei risultati, non garantiva quella sicurezza esecutiva che verrà solo con la ricostituzione operata nel 1959 da Domenico Bartolucci (1917-2013), suo successore.

Altra riforma tanto evidente quanto discussa fu quella dell’abolizione di un certo canto gregoriano: fu soppressa la pratica del canto fratto e del canto armonizzato, e furono abbandonati gli antichi codici in uso in Sistina, scegliendo di avvalersi dei nuovi libri pubblicati in quegli anni dai monaci di Solesmes, a seguito del lavoro di restauro delle antiche fonti gregoriane.

Su Perosi direttore della Cappella Sistina andrebbe però sfatato un mito creatosi per la combinazione portentosa di due elementi, ovvero la popolarità del musicista raggiunta in quegli anni e la storia gloriosa della celebre istituzione liturgico musicale, che ha annoverato nel corso dei secoli musicisti illustri.

Perosi al suo giungere in Sistina come maestro, condirettore con Domenico Mustafà, fu da subito assorbito dalla composizione e dall’esecuzione dei suoi grandi lavori (quali gli oratori e le suite sinfoniche) e dunque trascurò in modo considerevole la gestione del coro: faccenda assai delicata, specie inizialmente, a motivo dei rapporti piuttosto tesi di coabitazione con Mustafà.

Perosi, venendo da San Marco, mostrò subito una formazione direttoriale molto distante da quella che era la prassi esecutiva romana, e dunque faticò non poco ad inserirsi, con risultati talvolta discutibili e molto criticati, nonostante la fama di cui godeva.

Arrivò poi la malattia, che lo tenne lontano dal coro per molti anni, tanto che l’attività ordinaria fu retta, quasi completamente e per almeno quindici anni, da mons. Antonio Rella (1869-1951), gregorianista, nominato per la circostanza vicemaestro, con l’ausilio del cantore Attilio Ambrosini (1867-1942), maestro dei ragazzi. In quel periodo la direzione fu svolta anche da Marziano Perosi (1865-1959), fratello di don Lorenzo, che fu anche maestro di cappella al santuario di Pompei e direttore della cappella musicale del duomo di Milano e occasionalmente anche da monsignor Raffaele Casimiri (1880-1943) che era maestro della Cappella “Pia” Lateranense. Le cattive condizioni di salute di Perosi si protraevano e, evidentemente, nuocevano al coro della Sistina.

Ad un dato momento corse voce che nell’entourage del Papa si valutasse l’ipotesi di sostituirlo, nominandolo maestro emerito: vi furono però timori in tal senso, poiché la popolarità di cui godeva Perosi era tanta e c’era il rischio che l’atto fosse mal interpretato. Lo stesso don Lorenzo manifestò apertamente l’idea di lasciare la direzione della cappella, desiderando che fosse il fratello Marziano a succedergli, ma della cosa non se ne fece nulla.

A causa dell’assenza di Perosi mancarono per molti anni le nomine di nuovi cantori, che arrivarono solo nel 1935, quando egli riprese in parte l’attività direttoriale, dopo il periodo più acuto della malattia e la conseguente interdizione.

Direi dunque che l’apporto di Perosi all’istituzione sistina è stato prevalentemente di carattere compositivo, piuttosto che di impronta dal punto di vista dell’organizzazione e della direzione del coro.

  • Perosi è stato compositore al servizio di diversi papi: può dire qual è stato il rapporto con ciascuno di loro?

Il rapporto di Perosi con Papa Leone XIII fu il più breve rispetto agli altri, ma non per questo meno intenso e significativo: fu il pontefice che lo nominò maestro della Sistina, per il quale don Lorenzo mostrò sempre grande riconoscenza.

Alle riserve che Perosi manifestò al Papa al momento della nomina – in quanto avrebbe dovuto lasciare la direzione della Cappella della Basilica di San Marco a Venezia e con essa la vicinanza al Patriarca Giuseppe Sarto suo protettore ed amico – Leone XIII rispose dicendo che avrebbe potuto continuare a servire il Patriarca di Venezia come suo successore.

E così fu: nel 1903 alla morte di Leone XIII fu eletto Papa il Cardinal Giuseppe Sarto, che assunse il nome di Pio X. Quello con Papa Sarto sarà il rapporto più intenso: già a Venezia da Cardinale lo aveva preso sotto la sua protezione, accogliendolo in casa come un figlio e impartendogli personalmente le lezioni di teologia in preparazione al sacerdozio. Nel 1894 lo consacrò Sacerdote. Fu il Papa che varò una importantissima riforma della musica sacra che senz’altro maturò durante gli anni veneziani, certamente sotto lo stimolo delle riforme musicali operate da Perosi.

Con Benedetto XV e con Papa Pio XI ci furono grande stima ed affetto: sono i Papi che hanno retto la Chiesa durante la lunga malattia di Perosi, per cui il rapporto con loro non fu esattamente quello più stretto nel servizio alla liturgia pontificia.

Venne poi Pio XII, con cui Perosi ebbe un rapporto intenso, anche perché vi era con lui un’amicizia di lunghissima data, iniziata nel periodo in cui egli giunse a Roma come direttore della Sistina. Prendendo residenza a Palazzo Taverna in via di Monte Giordano, don Lorenzo aveva le finestre che si affacciavano verso quelle del palazzo in cui abitava il giovane sacerdote Eugenio Pacelli, il quale ebbe da sempre grande interesse per la musica, tanto da dedicarsi allo studio del violino durante il tempo libero. Il suono del violino di Pacelli e quello del pianoforte di Perosi si salutavano quindi da una finestra all’altra, divenendo, appunto, tramite di amicizia.

Nel pomeriggio del 2 marzo 1939, appena eletto Papa, rientrando nell’aula delle benedizioni dopo aver impartito dal balcone la benedizione urbi et orbi, Pio XII passò con il corteo dinnanzi ai cantori della Sistina e al loro maestro inginocchiati in attesa di ricevere la benedizione del pontefice: commosse tutti i presenti vedere il Papa staccarsi dal corteo e andare verso Perosi, costringendolo ad alzarsi per stringerlo a sé[3].

Il compositore
  • L’anno perosiano ha messo in luce il Perosi compositore a tutto campo, pure di musica strumentale, da camera e sinfonica. Ciò rivela evidentemente conoscenze assai estese della musica europea del tempo. Cosa può dire a questo proposito? 

Perosi era molto ben informato su ciò che accadeva nel mondo musicale a lui contemporaneo. Le vicende che riguardarono il linguaggio musicale all’inizio del ‘900 e che portarono alla nascita delle avanguardie dodecafoniche scaturite dalla scuola di Vienna scossero il suo animo sino a farlo sentire inadeguato al suo tempo.

Conosceva la produzione wagneriana e in qualche misura ne fu influenzato; godeva della stima e dell’amicizia dei maggiori musicisti del suo tempo: Mascagni, Puccini, Giordano, Leoncavallo, Toscanini, solo per dirne alcuni.

Perosi resta comunque un mondo a sé, autentico, che si è sviluppato nel tempo secondo una logica poetica singolare. La sua produzione musicale profana è degna di nota e di notevole interesse: merita di essere conosciuta e proposta al pubblico contemporaneo.

  • Questo anno segna dunque la riscoperta integrale della vastissima produzione musicale di Perosi?

La riscoperta di Perosi è un lavoro che vede ancora tanto cammino da compiere. Per prima cosa ritengo importante che le fonti originali siano rese accessibili a tutti gli studiosi del settore, in previsione di edizioni critiche fatte da musicisti competenti e perciò finalizzate ad una ulteriore impulso sotto l’aspetto esecutivo.

A parte i lavori in mano all’editore Ricordi (alcune messe ed alcuni oratori), attualmente la gran parte del corpus musicale risulta manoscritta ed inedita, ed è conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Purtroppo, dopo l’asta di San Marino del 1989, dalla cui dispersione il patrimonio fu salvato per l’intervento del maestro Arturo Sacchetti, tutto l’enorme fondo è ancora in attesa di essere ordinato, catalogato e reso disponibile.

Si tratta di una mole enorme di composizioni, che lascia sbalorditi e che merita di essere studiata ed analizzata in modo organico. Senza una fruibilità aperta in modo particolare ai conoscitori dell’autore e del repertorio del genere, non è pensabile una divulgazione ragionata e coerente. Io stesso ho penato non poco per recuperare alcune fonti originali manoscritte (in parte apografe ed in parte autografe) necessarie per il lungo lavoro di ricostruzione della partitura della “Missa pro defunctis” a 6 voci, composta nel 1903 per i funerali di papa Leone XIII, che ho diretto in prima esecuzione contemporanea a Pesaro e a Tortona, il 2 e il 4 novembre scorsi.

  • Secondo lei, Perosi è recuperabile alla liturgia post-conciliare contemporanea?

Il recupero di Perosi nella liturgia post-conciliare pone questioni rilevanti. Sicuramente alcune cose possono essere recuperate con facilità, come ad esempio i mottetti o le melodie sacre. Per quanto riguarda le messe la cosa è più problematica, non rispondendo queste ai criteri della liturgia riformata dal Concilio (qui la Missa Prima Pontificalis del 1927).

Tuttavia, io non sarei per una posizione assolutista e rigida di diniego, come è stato espresso, anche recentemente, da alcune autorevoli voci. Quando penso ad un recupero non mi riferisco ad una prassi abitudinaria domenicale ma ad occasioni particolari in cui si possa eseguire almeno alcune delle sue messe: penso a raduni di scholae cantorum ove le stesse costituiscono in gran parte la stessa assemblea liturgica, oppure ad alcune speciali ricorrenze. Ciò è avvenuto in passato tante volte con altri autori, quale Mozart.

Il 10 novembre 2012, parlando alle scholæ cantorum dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, Papa Benedetto XVI ricordava la funzione evangelizzatrice della musica sacra, citando l’episodio di Paul Claudel che si convertì al cattolicesimo ascoltando il canto del Magnificat nella basilica di Notre Dame a Parigi, durante i vespri di Natale.

Papa Benedetto disse: “Cari amici, voi avete un ruolo importante: impegnatevi a migliorare la qualità del canto liturgico, senza aver timore di recuperare e valorizzare la grande tradizione musicale della Chiesa, che nel gregoriano e nella polifonia ha due delle espressioni più alte, come afferma lo stesso Vaticano II (cf. Sacrosanctum Concilium, 116). E vorrei sottolineare che la partecipazione attiva dell’intero Popolo di Dio alla liturgia non consiste solo nel parlare, ma anche nell’ascoltare, nell’accogliere con i sensi e con lo spirito la Parola, e questo vale anche per la musica sacra.”[4].

Dunque ancora una volta il buon senso e l’equilibrio sono le gambe su cui far camminare le scelte: se nelle attuali liturgie domenicali hanno libero campo espressioni musicali che non possono definirsi arte per mancanza di requisiti musicali basilari e, forse, pure liturgici – la cui funzione pastorale, dopo decenni di pratica, è quantomeno discutibile – perché negare, quasi ideologicamente, quanto con grande dignità artistica e spirito di fede ha servito la divina liturgia, con grande beneficio del popolo di Dio?

Diciamo allora grazie a don Lorenzo Perosi per la vita spesa al servizio della liturgia e dell’arte sacra nella Chiesa: studiamo ed eseguiamo la sua musica, proponendola con coraggio ed entusiasmo nei concerti e, pure, come ho detto, nella liturgia.

Si segnalano le seguenti registrazioni radiofoniche del maestro Baiocchi: Perosi, genio trascurato (Rai Radio 3) e Lorenzo Perosi tra passato e presente (Radio della Svizzera Italiana).


[1] La dolorosa questione della malattia mentale di Perosi è ampiamente trattata da Mario Rinaldi nel suo “Lorenzo Perosi”, Edizioni De Santis, 1968.

[2] Le musiche perosiane compaiono solo nei primi 8 fascicoli, pubblicati tra il 1897 e il 1904.

[3] Episodio narrato dal cantore Armando Dadò nella rivista “Cappella Sistina”, quaderno d’informazione, n. 2 aprile-giugno 1964, pag. 48.

[4] Discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione Italiana Santa Cecilia, aula Paolo VI, sabato 10 novembre 2012.

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