Il papa, il Padre nostro e la preghiera di petizione

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Coraggioso papa Francesco, come sempre. Come papa, pensa e vive a partire dal Vangelo. Papa pastore, con una teologia viva che parla al cuore e chiarisce l’intelligenza. Lo dimostra con la versione del Padre nostro nella liturgia, che, come si sa, è fatta sulla versione latina: «non ci indurre in tentazione».

Dio è l’Anti-male

Questa volta, la versione spagnola (la galiziana e la catalana) è quella che difende e vuole rendere generale. Perché, quale fosse il senso che, nel contesto culturale del suo tempo potesse avere la parola aramaica pronunciata da Gesù, papa Francesco espone la sua sicura verità teologica. Perché il significato reale, interpretato a partire da Dio annunciato da Gesù come Abba (Padre, con la connotazione di infinita tenerezza espressa dallo stesso suono di invocazione infantile: “papà”), non può implicare da parte sua nessun tipo di negatività nei nostri confronti.

Non è possibile pensare che Dio ci induca in tentazione o ci introduca in essa (lasciamo da parte il complesso significato originale di questa parola: prova, tentazione, minaccia…, essa ha bisogno anche di interpretazione teologica non legata alla lettera), perché Dio è la sola, unica ed esclusiva salvezza. Perché Dio è amore, perché tutto il suo essere consiste nell’amarci, nell’appoggiarci e nel promuoverci al bene. Fino alla realizzazione piena, simbolizzata dal suo “Regno” di amore, giustizia e felicità. Le vicissitudini, i pericoli o le sofferenze inevitabili che la vita ci obbliga ad attraversare, si oppongono alla sua intenzione e al suo progetto, per la stessa e identica ragione che si oppongono al nostro bene. Nella finitudine della vita e nel conflittuale decorso del mondo, è lì che si deve cercare la “tentazione” di cui parla il Padre nostro. Mai in Dio, perché giustamente il Padre «lavora fin dal principio» (Gv 5,17). Dio è l’Anti-male.

Se mi sono spinto a scrivere queste righe, è, anzitutto, perché questo coraggioso passo del papa – teologo come pastore e pastore come teologo – suggerisce un secondo passo prossimo e urgente. La logica della nuova sensibilità culturale e la nostra necessità di essere «onesti con il Dio di Gesù», lo stanno chiedendo.

Se Dio è essenzialmente amore e se “molto più” di qualsiasi padre o madre umani, con gratuità e dedizione infinite, dà tutto ciò che è buono alle sue figlie e figli (Mt 7,11; Lc 11,13); se già sa di che cosa abbiamo bisogno ancor prima che avvertiamo il bisogno di chiederglielo (Mt 6,7), allora è necessario trarne le conseguenze: non è a Dio che dobbiamo chiedere e che dobbiamo convincere, perché egli dà già tutto senza prezzo e senza riserve. Siamo noi che abbiamo bisogno di ascoltare la sua chiamata, di accogliere la sua petizione e di lasciarci convincere dalla sua continua preoccupazione per il nostro bene e per quello del nostro prossimo.

La preoccupazione salvifica di Dio

La Bibbia – quando la si legge con un’ermeneutica che assuma come centrale la preoccupazione salvifica di Dio – non ci dice altra cosa: scegliere la vita di fronte a ciò che ci umilia o ci distrugge e collaborare con lui contro la fame del povero, l’abbandono della vedova e l’empio scarto di tutti gli emarginati. Perseverare nella petizione significa confessare che Dio è buono e compassionevole e, al tempo stesso, mette in evidenza il riconoscimento della nostra impotenza. Sono valori certi e veri, che è necessario conservare. Però, espressi in forma di petizione che noi facciamo a Dio, invertono la relazione e possono pervertire questi stessi valori. Infatti, chiedere e supplicare Dio fa sembrare che l’iniziativa sia nostra e mette Dio in un atteggiamento passivo, occultando così l’iniziativa assoluta del suo amore.

Non vedere i danni terribili che questa inversione produce nell’immagine di Dio e nella credibilità della fede, è ignorare l’enorme forza che il linguaggio ha sullo spirito e la cultura. Ogni volta che chiediamo, che supplichiamo Dio e che osiamo dirgli che abbia compassione dei bambini che muoiono di fame e degli immigrati che annegano nelle scialuppe, il nostro inconscio riceve un messaggio terribile: se i bambini continuano ad avere fame e i migranti ad annegare, è perché Dio non ascolta né ha pietà. Un simile modo di pregare, usato privatamente ogni giorno e ripetuto in pubblico ogni domenica da migliaia di persone, mina l’immagine di Dio, oscurando la tenerezza infinita del suo volto e generando il fantasma di un dio indifferente, quando non crudele e di parte.

Non pervertire la paternità di Dio

Il costume e l’abitudine impediscono di vederlo così, però si tratta di un avvelenamento progressivo dell’immaginario culturale, di un autentico disangelio – una “cattiva notizia” –, che occulta Dio padre e madre annunciato da Gesù, e minaccia di sostituirlo con un Dio che, senza volerlo, annunciamo come meno compassionevole verso di noi e meno interessato del bene e della salvezza del mondo. Nessuno vuole una tale perversione.

Confesso che ogni giorno mi stupisce sempre più che questa evidenza non penetri nella coscienza credente e, soprattutto, che i teologi e i pastori continuino a non preoccuparsi di questa gravissima allerta. I processi culturali sono lenti, però implacabili. Nelle condizioni di una cultura secolarizzata e molto attiva nella critica anti-religiosa, tale atteggiamento finirà con il manifestare i suoi effetti devastanti per la fede. Non è esagerato avvertire che continuare su questa rotta equivale a seminare ateismo.

Il nostro papa sta mostrando un profondo coraggio evangelico. Il riferimento all’orazione centrale insegnata da Gesù, suppone un importante passo in avanti.

Non so se questo passo in avanti sarà possibile tra le tante urgenze che occupano il pontefice e i tanti ingiusti e incredibili impedimenti che gli oppongono coloro che dovrebbero aiutarlo. Però, almeno desidero di cuore che il coraggio evangelico di papa Francesco e la sua incredibile capacità di trovare modi di espressione comprensibile e di annuncio efficace aprano la porta.

Dio non ci induce nella tentazione. Neppure si limita a non lasciarci cadere in essa. Dio si prodiga con il suo amore, fedele, compassionevole e instancabile, ad aiutarci perché non cadiamo in essa.

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6 Commenti

  1. Nadia Mazzanti 16 dicembre 2017
  2. Patrizia Pane 15 dicembre 2017
  3. Aldo 14 dicembre 2017
    • Marcello Matté 14 dicembre 2017
      • Angela 15 dicembre 2017
        • Angela 15 dicembre 2017

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