Principio grande, prefetto piccolo

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Con un articolato intervento a titolo personale, il prefetto della Congregazione per il culto divino, card. Robert Sarah, ha gettato la maschera. Proponendo una lettura del motu proprio Magnum principium (= MP) che lo svuota integralmente di ogni valore, dimostra di giocare ormai “in fuorigioco” rispetto al cammino che la Chiesa ha ripreso formalmente dal 1° ottobre, in materia di riforma liturgica e di traduzioni. Le pagine del testo dicono una sola cosa: la distinzione introdotta da MP, con una riforma del Codice di diritto canonico, che distingue tra “recognitio” e “confirmatio”, viene misconosciuta e ricondotta, sostanzialmente, al nulla. Le due parole sono di fatto rese “sinonime”, al solo scopo di confermare le prerogative e le competenze invasive che la Congregazione per il culto aveva preteso per sé a partire dal 2001. Gli effetti dell’intervento di Sarah sono almeno 4, e tutti di estrema rilevanza.

a) La “riduzione a nulla” del magistero di Francesco

Il primo aspetto che deve essere messo in luce rientra in uno “stile liquidatorio” con cui una piccola schiera di teologi, pastori e ufficiali, da quasi 5 anni, cerca di “immunizzarsi” dal magistero di Francesco. È accaduto fin dall’inizio: in forme meno drastiche con Evangelii gaudium e con Laudato si, in modo viscerale con Amoris lætitia. Il tentativo di leggere i nuovi documenti “soltanto alla luce dei precedenti”, svuotandoli di ogni vera rilevanza, corrisponde alla affermazione che troviamo ora in questo nuovo tentativo: Liturgiam authenticam resterebbe autorevole tanto quanto prima. Questo è irrimediabilmente falso e un prefetto che dice il falso non può più fare il prefetto.

b) Il mantenimento della paralisi istituzionale

Il secondo aspetto della questione è il seguente: mediante questa lettura surreale del testo di MP, si sostituisce alla “soluzione del conflitto” tra conferenze episcopali e Congregazione, che dal 2001 progressivamente aveva bloccato la riforma liturgica sul piano delle traduzioni, un “nuovo conflitto”. Questa volta esso è interno alla Congregazione. È evidente che la pubblicazione ufficiale del testo è stata accompagnata da un accurato e onesto commento a firma del segretario della Congregazione, mons. Roche. Ora il prefetto presenta il documento in modo diametralmente opposto al proprio segretario. Il conflitto si sposta dal rapporto con le conferenze episcopali al rapporto interno alla Congregazione. Il prefetto pretende di resistere, da solo, al documento con cui papa Francesco ridisegna i compiti della Congregazione stessa in materia di traduzioni. Anche su questo piano il prefetto non sembra capace di intendere la svolta richiesta, che dovrebbe invece accompagnare e sostenere.

c) L’esigenza ecclesiale di una VI Istruzione

Il terzo aspetto da considerare, che è forse il più rilevante, si riferisce al compito stesso con cui la Congregazione dovrà applicare MP: non basta la riforma di due canoni, ma occorre predisporre strumenti riflessivi e operativi, a disposizione delle conferenze episcopali e della stessa Congregazione, per riempire di contenuti i criteri di traduzione e di adattamento, da “confermare” e da “riconoscere”. Qui l’esempio che appare nel testo scritto da Sarah è del tutto esemplare: egli continua a pensare che “consustantialem” possa essere tradotto in francese solo con “consubstantiel”. Riporto il testo per esteso:

«Quindi, per esempio, se, nel Credo del rito della messa, l’espressione «consubstantialem Patri», viene tradotta in francese con: «de même nature que le Père» («della stessa sostanza del Padre»), la Santa Sede può – e deve (cf. n.6) – imporre la traduzione «consubstantiel au Père» («consustanziale al Padre»), come condizione sine qua non della sua confirmatio del Messale romano, in lingua francese, nel suo complesso».

Proprio qui – continuando a pensare se stesso come «condicio sine qua non» – egli dimostra di non avere per nulla recepito il cuore del documento e di essere totalmente disorientato su ciò che è il nuovo compito. Abbiamo bisogno di una Congregazione che scriva una VI Istruzione per accompagnare con equilibrio questo sviluppo, ma il suo prefetto pensa che il mondo finisca con Liturgiam authenticam, compimento di ogni istruzione: Hic sunt leones.

d) Il chiarimento sul ruolo del prefetto

Il testo pubblicato dal Prefetto ha un merito indiscutibile: ci fa comprendere che Robert Sarah non è un “uomo per tutte le stagioni”. Questo è un obiettivo elemento di chiarezza e di coerenza. Ma il servizio che la Chiesa esige, in questo passaggio, richiede una fedeltà di interpretazione dei nuovi testi, una disponibilità al confronto con le differenti culture e una energia nell’accompagnare il nuovo orientamento conciliare della Congregazione che il prefetto dichiara onestamente di non avere e di non voler assumere. Vogliamo che a capo di una Congregazione romana vi sia un prefetto che fraintende gravemente i testi papali, che crea nuovi conflitti con le conferenze episcopali e all’interno della Congregazione, che si dichiara indisponibile, a fortiori, ad un lavoro di accompagnamento e di precisazione del nuovo stile richiesto? Con questo suo scritto il cardinale non ci ha lasciato più “dubia” su come si debba rispondere a tutte queste domande.

Pubblicato il 13 ottobre 2017 nel blog: Come se non.

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Un commento

  1. Francesco Grisorio 14 ottobre 2017

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