Il vestito di luce e l’Epifania

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La festa dell’Epifania è caratterizzata dalla luce. I testi liturgici fanno riferimento alla luce: alzarsi, rivestirsi di luce, la luce che guida, Cristo-luce che illumina.

L’antichità cristiana dava all’Epifania anche il nome di tria miracula in quanto l’unica manifestazione del Signore è presentata in tre tappe successive come tre momenti decisivi per la comprensione del progetto della nostra salvezza: i magi annunciano l’universalità della fede; a Cana il vino miracoloso manifesta la potenza di Cristo nella trasformazione della storia; il battesimo al Giordano rivela il volto trinitario di Dio fondamento del nostro fede.

La festa dell’Epifania è caratterizzata dalla luce

Pontormo, Adorazione dei Magi

Una grande luce

La parola “epifania” è di origine greca e significa sia manifestazione gloriosa di un Dio, sia venuta potente, come l’arrivo di un re.

Sembra che la data del 6 gennaio sia stata motivata dal fatto che, stando a sant’Epifanio, esistevano delle feste pagane che ricordavano acque di sorgente trasformate in vino, acque che, una volta attinte, non si mutavano più. Questo prodigio si ripeteva ogni 5 gennaio, così la Chiesa volle cristianizzare una festa pagana.

I padri della Chiesa hanno visto nella festa dell’Epifania il fascinoso mistero della luce che avvolge e aiuta l’uomo a brillare di Dio.

Il diacono Romano il Melode, alla corte di Giustiniano (VI secolo), ci ha lasciato un componimento carico di fede e di pathos, scrive: «Alla Galilea delle genti, al paese di Zabulon e alla terra di Neftali, come disse il profeta, grande luce risplendette Cristo: a chi viveva nelle tenebre si manifestò un radioso splendore che si irraggiava da Betlemme. Il figlio di Maria fa spuntare sul mondo intero i suoi raggi, Lui sole di giustizia. Noi figli di Adamo ignudi rivestiamoci di Lui per riscaldarci».

La luce illumina, schiarisce, rende sicuri, essa riscalda dà il senso di accoglienza. La nascita di Cristo avviene secondo, i testi apocrifi, in una grotta inondata da grande splendore (cf. Pseudo Matteo 13,3). La luce della nascita è una luce buona che aiuta l’uomo e il mondo nel cammino di ricerca e di fiducia in Dio.

La tradizione giudaica fa riferimento alla luce. Prima della creazione, Dio creò una luce particolare che poteva rischiarare ogni cosa. Dopo la creazione di Adamo, Dio lo rivestì di luce, «di tuniche di luce simili ad una torcia, larghe di sotto e strette di sopra […] erano lisce come le unghie e belle come le perle. Rabbi Giuda precisa che, prima del peccato, l’uomo era avvolto di un’aureola di luce. Questa conferiva uno splendore maestoso agli occhi di tutte le creature del cielo e della terra. Dopo il peccato, l’aureola di gloria che illuminava il suo spirito è scomparsa ed è rimasto solo il vestito che copre la sua pelle. Non solo il corpo umano, ma in qualche modo tutta la creazione fu avvolta, dopo il peccato, da una tunica di pelle».

Ciò insegna che l’uomo è chiamato alla luce di Dio e della luce di Dio non può fare a meno. All’inizio della creazione i nostri progenitori si conoscevano totalmente, si compenetravano, la loro comunione era completa. La luce divina li avvolgeva. Dopo il peccato quella luce perde il suo splendore, Adamo ed Eva perdono gli abiti di luce e rivestono quelli opachi.

Pellegrini in cerca di Dio

L’Epifania, quale manifestazione di Cristo, rende all’uomo il suo vestito originale. La luce indossata dalla vita nuova di grazia che indossa gli apre la strada alla conoscenza intima di Dio: la luce diventa grazia di bellezza e forza per aumentare la comunione con l’Eterno e gli uomini.

I magi rappresentano tutti gli uomini desiderosi della luce divina. Questi tre personaggi sono così desiderosi che si lasciano guidare dalla stella luminosa. La luce di questo astro diventa per loro via per incontrare e coronare il viaggio.

Nel mondo di oggi, forse, le stelle stanno perdendo il loro splendore o peggio non riusciamo più a guardare il cielo dove esse splendono. L’uomo consumatore ha consumato il desiderio di voler guardare in alto perdendo così la possibilità di rivestirsi di luce. Un cielo senza stelle è un cielo triste, desolato come l’uomo che vive nel tempo definito “delle passioni tristi”. L’espressione è del filosofo Spinoza (1632-1677). Per “tristi” non si riferiva alla tristezza del pianto, ma all’impotenza, alla disgregazione e alla perdita di fiducia.

L’Epifania, quindi, è il desiderio profondo di farci pellegrini in cerca di Dio. Cercare non è semplice, richiede impegno, tempo, disposizione, apertura, silenzio. Cercare Dio oggi, parlare di Dio in un mondo scristianizzato è la cosa più difficile che stiamo sperimentando.

Per gli apocrifi dell’infanzia, in lingua siriana, i magi, la notte della nascita di Gesù furono avvertiti da un angelo apparso sotto forma di una stella. Arrivati a Betlemme il giorno dopo, adorarono il bambino, e Maria regalò loro una fascia di Gesù. Tornati in Persia diedero una grande festa, la fascia fu poi buttata in mezzo al fuoco degli che non la consumò. I persiani presero la fascia bianca, uscita dal fuoco, la baciarono e dissero: «Questo è veramente il vestito del dio degli déi, poiché il fuoco degli déi non è riuscito ad incenerirla» (Vangelo Arabo dell’infanzia di Gesù versione siriaca).

I magi nel loro viaggio hanno avuto bisogno della luce della stella, il loro desiderio era forte nel conoscere e trovare il bambino che hanno riconosciuto Dio-Salvatore e Re dei giudei.

S. Agostino, con una bella espressione dei magi, dice: «Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione» (Sermone 199,2).

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