Come muoiono i preti

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Vorrei portarvi la mia esperienza di direttore di una grande casa del clero nella diocesi di Torino da dove io provengo. In questa casa abitano 43 sacerdoti, molti dei quali malati e non autosufficienti e molto anziani. Per dieci anni mi sono occupato di loro come responsabile della comunità.

Come vivono i sacerdoti anziani e malati questa stagione della loro vita? Come vivono il momento della morte?

Nella vita di un prete possiamo vedere le diverse ore liturgiche che scandiscono le diverse età della vita, come avviene per la preghiera liturgica delle ore che noi sacerdoti siamo chiamati a celebrare ogni giorno. L’ultima ora prevista della liturgia si chiama Compieta, è l’ora della sera, della chiusura della giornata di ministero.

La struttura di questa preghiera prevede, all’inizio, un esame di coscienza che ci porta a chiedere perdono a Dio delle nostre mancanze e infedeltà e invocare così la sua misericordia. Seguono alcuni salmi che ci aiutano a rendere grazie a Dio per tutti i doni ricevuti nell’arco della giornata. Vi è poi una breve lettura della Bibbia, dalla quale dobbiamo sentirci illuminati e guidati.

La Compieta della vita

La Parola rappresenta il fondamento e il nutrimento della nostra vita di sacerdoti. L’ultima parte è il Cantico di Salomone, in latino si chiama il Nunc dimittis, che vorrei proclamare: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli; luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il finale di questa preghiera è l’invocazione alla vergine Maria.

Vi chiederete: perché ci ha parlato della preghiera di Compieta? Vi ho parlato di questa preghiera perché ritengo che, per il sacerdote, l’ultima fase della sua vita terrena sia proprio il tempo della Compieta.

Io così dicevo ai miei cari sacerdoti molto anziani: è giunta l’ora di celebrare nella tua vita la Compieta. Infatti questi ultimi anni servono per un esame di coscienza: come abbiamo vissuto la nostra vita sacerdotale? Come abbiamo servito il Signore e la Chiesa? Quale testimonianza di vita sacerdotale abbiamo dato alle nostre comunità? Tutto questo vissuto con la serenità di chi sa che ad accoglierlo e ad abbracciarlo ci sarà un Padre misericordioso, e non un giudice severo. Il Signore ci dirà: «Vieni servo buono e fedele».

Ma, come avviene nella Compieta, dobbiamo negli ultimi anni salmodiare, cioè rendere grazie a Dio per tutti i benefici ricevuti a partire dalla nostra ordinazione sacerdotale. Quante belle cose abbiamo da raccontare, quanti incontri profondi abbiamo avuto. Tutto questo può veramente diventare un salmo da cantare al Signore.

L’ascolto della Parola ha accompagnato la vita di un sacerdote ogni giorno. Quanto la Parola mi ha modellato, quanto sono stato capace di annunciarla? Per un prete anziano e malato è importante il confronto con la parola di Dio. Quante Bibbie consumate ho visto in tante camere di sacerdoti! Bibbie veramente adoperate che portano i segni di una vita vissuta come le rughe del sacerdote che la possiede.

Il Cantico di Simeone rappresenta l’apice della Compieta. È il cantico che io leggevo al capezzale di tanti sacerdoti al termine della loro esistenza terrena, preparandoli a consegnare il loro spirito al Signore. Quelle parole – «ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace» – stanno a indicare la sintesi di una vita cristiana e sacerdotale. «Il tuo servo» è ciò che dovrebbe sentirsi ogni sacerdote alla fine della sua vita: servo, obbediente alla parola di Gesù: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”. «Vada n pace»: rappresenta la corona e il premio di una vita spesso faticosa che ora merita la pace eterna, il premio del giusto.

Fra serenità e rabbia

Sovente ho visto morire, accompagnandoli nel passaggio da questa vita all’altra, molti sacerdoti ed emanavano questa serenità di fondo, di chi aveva finito la corsa e si preparava ad entrare nella gloria celeste.

Ricordo un sacerdote che poco prima di morire mi chiese una penna e un foglio e con mano tremante scrisse «Arrivederci in paradiso». Una vera professione di fede nella vita eterna.

Alcune volte ho visto confratelli non accettare la morte, nonostante fossero sacerdoti, addirittura rifiutare i sacramenti e dirsi arrabbiati con Dio che li chiamava a sé, sottraendoli da questo mondo. Non ho mai pensato di giudicare questi preti. Ho pregato per loro e ho pensato a Giobbe, di cui ci parla l’Antico Testamento, considerando che certamente la misericordia del Padre avrebbe trasformato quel grido umano di disperazione in speranza.

Non lasciamo morire soli i nostri sacerdoti, accompagniamoli, teniamoli per mano e preghiamo per loro, è un gran gesto di carità e di fraternità sacerdotale. Il momento della sofferenza e della morte rappresenta una prova di vera comunione per tutto il presbiterio e per il vescovo.

Adesso e nell’ora

La compieta termina sempre con una preghiera mariana. Anche la vita di molti sacerdoti si è conclusa pronunciando l’Ave Maria, soffermandosi sulle parole «adesso e nell’ora della nostra morte». Maria stava sotto la croce e ha preso fra le sue braccia il Figlio suo Gesù deposto dalla croce. Sono certo che la santa Madre di Dio e madre dei sacerdoti accolga i suoi figli nel momento in cui entrano nella vita eterna.

Cari amici, in questa mia breve riflessione ho voluto accostare la preghiera di Compieta con il termine della vita di un sacerdote anziano e malato, sperando di aiutare tutti a vivere le ultime ore della nostra esistenza nella preghiera in attesa di cantare le lodi del Signore per l’eternità. La Vergine santa ci accolga e accompagni alla fine dei nostri giorni.1

Marco Brunetti, vescovo di Alba


1 Il testo è apparso su Camillianum 51/2017 (pp. 217-219), dedicato al convegno in occasione del 30° dell’Istituto: «Dolore e sofferenza: interpretazioni, senso e cure» (Roma, 30-31 ottobre 2017).

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