Formazione presbiterale e questione omosessuale

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omosessualità

In questo tempo sinodale, non solo di preparazione, ma già di celebrazione effettiva d’un Sinodo sulla sinodalità, si moltiplicano le iniziative di incontri, condivisioni, confronti, anche non senza una certa probabile dialettica, sui temi più diversi: è bene che sia così, in una Chiesa in cui ognuno deve dare il proprio apporto, senza alcuna esclusione.

Uno di questi è stato la serie d’incontri di circa 50 sacerdoti diocesani e religiosi con orientamento omosessuale o bisessuale, che hanno così «accettato di mettersi in gioco per raccontare il loro vissuto, le loro difficoltà e le loro speranze», come si legge nell’occhiello dell’articolo con cui G. Piva dà conto dell’iniziativa.[1]

Tale riflessione ha offerto all’Autore l’occasione di evidenziare una certa linea tendenziale assunta dalla Chiesa negli ultimi decenni, in riferimento alla questione dell’omosessualità e – ancor più in particolare – al tema di chi, con orientamento omosessuale, chiede di accedere al sacerdozio. In breve, si sarebbe passati o si starebbe passando da una posizione di rigidità a una di apertura.

In questo processo evolutivo – secondo l’Autore – io apparterrei alla prima categoria, quella di chi sostanzialmente chiude ogni possibilità di accesso al ministero per chi ha questo tipo di orientamento. A sostegno di tale sua valutazione cita alcune mie considerazioni contenute in un articolo del 2009, a commento di un’Istruzione vaticana del 2005.[2] Ma non cita testi miei successivi che, in modo progressivo, hanno espresso un approccio diverso all’argomento. Soprattutto il testo del 2021, pubblicato come Sussidio del Servizio nazionale per la tutela minori e persone vulnerabili (SNTM), della CEI, dal titolo La formazione iniziale in tempo di abusi (in collaborazione con lo psichiatra S. Lassi).

Senso d’un percorso

Al riguardo, è necessario dire e premettere che, all’interno della Chiesa, ma pure della comunità scientifica, l’interpretazione data alla questione omosessuale si è caratterizzata per una grande quantità di cambiamenti e di riposizionamenti che si sono prodotti in un tempo molto breve.

L’adesione diffusa ad alcune interpretazioni ha mostrato quanto alcuni approcci del passato (anche recente) fossero almeno riduttivi e sollecitato la messa a punto di nuovi modelli che tengano conto dell’estrema complessità della questione omosessuale. Nessuna teoria, del resto, oggi come allora, dovrebbe ingenuamente ergersi a punto di arrivo indiscutibile.

Considero che – sul piano della comprensione del fenomeno a livello psicologico – vi sia stato un progresso che sicuramente costringe a rivedere alcune conclusioni di allora. Ciò che si è acquisito, tuttavia, non ci autorizza a fermarci, come se quelle acquisizioni corrispondessero alla meta finale, quasi non ci fosse più niente da capire.

Per questo, anche sollecitato dall’esperienza del contatto educativo di questi anni con persone d’orientamento omosessuale, sento personalmente l’esigenza di continuare a portare avanti una riflessione personale sempre più aperta – da un lato – all’approfondimento scientifico e disponibile a rivedere certe posizioni, in uno spirito – sul piano ecclesiale – davvero sinodale e dunque, in concreto, con stile dialogico e tendente a comporre sensibilità diverse.

È necessario, in questo momento, cercare di condurre insieme tale analisi, condividendo il più possibile anche dubbi e punti ancora aperti con atteggiamento costruttivo.[3]

A partire da due premesse più specifiche. Dall’ammissione, anzitutto, che su questo argomento abbiamo ancora molto da capire, visto che a tutt’oggi non esiste una teoria condivisa sull’omosessualità in ambito scientifico.[4] Mentre – ed è il secondo presupposto – siamo sempre più convinti che la riflessione sull’omosessualità sia di fatto e anzitutto riflessione sulla sessualità tout court, o occasione preziosa per entrare sempre più nel suo mistero.

La formazione oggi

Di tutto questo lavoro (come un work in progress) vorrei ora presentare sinteticamente solo alcuni aspetti, mostrando pure come – in maniera diretta o indiretta – abbiano ispirato il testo già citato, curato nel SNTM, almeno in certe parti che più si riferiscono al nostro tema, come dei punti di contatto con quella cultura o come questioni tuttora aperte e su cui sembra opportuna un’ulteriore analisi.

1.  Diverso approccio alla questione omosessuale: dal naturalismo al personalismo

Sino a qualche decennio fa l’approccio, nel mondo ecclesiale, era di tipo morale, legato a un’antropologia sessuale sostanzialmente naturalista, e che poneva in stretta correlazione l’atto sessuale (e la sua moralità) con la fecondità. Tale approccio, anche sull’onda della vivace riflessione postconciliare, ha progressivamente assunto accenti di tipo personalista, legati a un’antropologia sessuale molto attenta anche ad altri aspetti, oltre la fecondità, come l’unione delle vite e degli affetti tra uomo e donna, del loro dono totale reciproco, nella duplice dimensione di unità e generatività.[5]

Ciò ha portato e sta progressivamente portando a cogliere anche nella relazione omosessuale la possibilità di un’esperienza autenticamente affettiva, con le sue componenti di stabilità e trasparenza, profondità e fedeltà, o comunque a vederne la moralità anche e in particolare da questo punto di vista, più integrale.

In fondo, se la sessualità è naturalmente connessa con la vita affettiva dell’individuo, come una delle sue forme espressive più alte, è giusto che sia questo – la possibilità di amare e lasciarsi amare – il criterio valutativo anche di un’eventuale relazione tra persone dello stesso sesso, o l’interrogativo forse centrale e alla fine dirimente l’intera questione.

2.  Tendenza omosessuale e grammatica della sessualità

L’antropologia naturalista tendeva a definire la tendenza omosessuale come qualcosa di «necessariamente incompiuto e immaturo», o «d’intrinsecamente deviante».

Nel nostro testo del SNTM non appare in nessun modo tale tipo di valutazione. Ma si parla della cosiddetta «grammatica della sessualità», definendo la stessa come energia, ed energia specifica: relazionale «che apre all’alterità e diversità, contro ogni tendenza all’omologazione dell’altro, e (che) proprio per questo rende complementari i rapporti»[6] e fecondo lo scambio.

In tal senso, è stata sempre letta la diversità dei corpi come condizione per un corretto rapporto sessuale, quasi simbolo d’esso, in una complementarità reciproca garantita – appunto – dalla differente conformazione somatica. E all’interno di un’antropologia che appare molto realista e aderente al dato inconfutabile della stessa diversità corporale.[7] Che mancherebbe nello scambio omosessuale.

Ma non esiste solo questo tipo di diversità, quella fisica. Si può osservare, infatti, come vi siano altre differenze che questo rapporto rispetta e promuove (diversità di sensibilità, di doti, di valori, di vita interiore, di genialità unica e originale, di visione dell’esistenza…) rispettando altresì, dunque, la grammatica della sessualità.

Sono due letture non del tutto convergenti. Se l’alterità, in una prospettiva personalista, è condizione dell’autentica relazione, come qualcosa d’irriducibile, da un lato, non può esser data per scontata solo a partire dal semplice dato fisiologico (come avviene nell’eterosessualità), dall’altro, non può nemmeno restare vaga e indefinita o solo soggettivamente percepita, esponendosi al rischio di letture autoomologanti e manipolative.

Occorre senz’altro, dunque, procedere nella riflessione, per definire meglio il senso dell’alterità relazionale, le sue condizioni e componenti, radici ed espressioni, il suo rapporto col (senso del) mistero dell’altro, ciò che in essa educa al rispetto della diversità e pure quanto essa formi al senso dell’io e del tu e dei rispettivi confini, al rapporto tra identità e appartenenza. E non solo in riferimento alla vita sessuale, ma pure a quella spirituale (Dio non è forse il Radicaliter Aliter?).

3.  Omosessualità e abusi

Altro punto cui il testo che stiamo commentando ha dato attenzione in questo tempo d’abusi è stato l’alto numero di vittime maschili specie nel caso degli scandali della Chiesa nordamericana nella seconda metà del secolo scorso. Più di qualcuno credette di stabilire allora collegamenti improbabili tra omosessualità e pedofilia. Il nostro testo, al riguardo, è molto chiaro: «Una correlazione o connessione diretta tra pedofilia e orientamento sessuale non esiste di per sé, a livello teorico-scientifico».[8] Vi sono analisi scientifiche accurate (alcune sono riportate nel testo stesso) che spiegano la differenza, che non ammette alcuna confusione, tra i due concetti.

Quanto al numero così alto di vittime maschili da parte del clero, alcuni la spiegano con la maggior possibilità d’accesso, un tempo, per i soggetti maschi all’altare e a un certo tipo di rapporto e familiarità con il prete.[9]

Non tutti – a onor del vero – trovano questa spiegazione sufficiente, segnalando così la necessità di ulteriore indagine al riguardo. Ma resta in ogni caso la distinzione precisa a livello di identità tra le due realtà.

4-. Tendenza omosessuale e modo di viverla

Un punto, invece, in cui sembra esservi un sostanziale accordo è che il problema, più che la tendenza in sé, è rappresentato dal modo di viverla (come per altro anche nel caso della tendenza eterosessuale). La tendenza, infatti, è avvertita dal soggetto dentro di sé senz’averla scelta, come qualcosa che sente da sempre e che tende a persistere; mentre c’è un certo margine di possibilità d’interpretazione e azione sul modo di pensarla e di realizzarla in concreto.

E qui tocchiamo un punto nevralgico dell’intero discorso, ovvero ruolo e incidenza della formazione.

5.  Tendenza omosessuale e cammino formativo

Vediamo allora almeno alcuni aspetti di questo “modo di viverla”.

5.1 Riconoscere come parte di sé

Anzitutto, si tratta di riconoscerla in sé stessi, come parte di sé che va coscientizzata e accolta, o quale componente del mistero del proprio io che non può esser negata o rimossa, né caricata di sensi di colpa o d’indegnità. Ma va pure ripresa nel confronto formativo con l’educatore, in un dialogo franco e aperto, che toccherà anche all’educatore favorire, in spirito costruttivo e rispettoso. Il “non detto” nell’area sessuale, qualsiasi sia l’orientamento della persona, specie se per paura o per calcolo, non fa che sospendere o rimandare quelli che poi potrebbero diventare problemi, e può divenire nel tempo gravemente dannoso.[10]

5.2 Coglierne l’evoluzione

Riconoscere il proprio orientamento sessuale nel cammino iniziale formativo significa anzitutto identificare la sua origine e il suo sviluppo: è diverso, infatti, sentirsi da sempre omosessuali, oppure a partire da un’esperienza, (pre)adolescenziale (ma a volte anche successiva a queste fasi d’età), comunque non direttamente cercata (bensì realizzata per gioco, per curiosità, per imitazione, per… spirito di gruppo), ma poi ripetuta: all’inizio subendola (a volte anche in forma grave e violenta) e poi divenuta sempre più frequente e abituale.

Certo, in alcuni casi l’esperienza successiva ha solo mostrato e fatto emergere qualcosa che era già (inconsciamente) presente, ma non sempre è così, o solo così, e comunque sembra possibile una tendenza omosessuale in qualche modo indotta da eventi esperienziali non determinati dalla persona.

E questo impone una differenza di approccio e di valutazione: tra qualcosa di percepito in sé da sempre e qualcosa che è intervenuto solo a un certo punto del cammino evolutivo, e che potrebbe anche non corrispondere a quel che l’individuo voleva profondamente. Non è una considerazione indifferente, e può richiedere un certo approfondimento e confronto in ambito formativo. Il rispetto per il giovane e la sua dignità, per il suo mistero e la sua verità esigono quest’attenzione e distinzione.

È banale e potenzialmente fuorviante interpretare immediatamente come segno inequivocabile di omosessualità una semplice attrazione in tal senso, specie se si è manifestata in una fase evolutiva, dunque ancora instabile, della personalità.

5.3 Dall’origine al significato

Sempre quando si parla di sessualità, indipendentemente dal suo orientamento, occorre andare… oltre la sessualità medesima. Perché essa, come già insegnava la prima psicoanalisi, ha due caratteristiche: la plasticità e l’ubiquità. In concreto: un atteggiamento, tendenza, problema… di tipo sessuale o che appare in tale area, può nascere o esser nato in aree non sessuali della personalità; mentre – al contrario – una qualsiasi problematica più o meno conflittuale di origine sessuale può manifestarsi poi in altre aree. Nel primo caso la sessualità è cassa di risonanza (di problemi nati altrove), nel secondo si nasconde dietro mentite spoglie.

È un po’ l’aspetto enigmatico (non solo misterioso) della sessualità, che impone sempre grande discrezione nella sua analisi, e un’attenzione che sappia andare il più possibile oltre il dato immediato, al di là della sensazione soggettiva. Nell’interesse della persona stessa e della sua verità più profonda.

Le informazioni che ci vengono, infatti, sull’individuo e la sua storia attraverso un’indagine corretta, fin dall’inizio, circa la sua sessualità sono sempre rilevanti e vanno ben oltre l’eventuale definizione del suo orientamento, al tempo stesso offrendo elementi utili per comprenderlo.[11]

6.  In riferimento al discernimento

Altro punto rilevante d’analisi e di confronto sul tema dell’omosessualità è quello relativo all’ammissione agli ordini o ai voti. Accenno qui solo ad alcuni criteri di discernimento sui quali è più ravvisabile un certo cambio d’atteggiamento ed è necessario continuare a riflettere.

6.1 Criterio fondamentale: scelta libera e responsabile

L’obiettivo cui mira la formazione del celibe per il regno dei cieli nell’ambito affettivo-sessuale, qualsiasi sia il suo orientamento sessuale, è – positivamente – la capacità di scegliere liberamente e responsabilmente il celibato, cosa tutt’altro che semplice e automatica, una volta verificata la genuinità dell’opzione sacerdotale.

Ora, la scelta è libera quando – di nuovo – non è motivata da paura o calcolo, ma dall’attrazione per un valore/ideale che il chiamato ha scoperto e sente importante e prezioso, qualcosa di vero-bello-buono in sé e che rende vera-bella-buona la sua vita, e non solo per sé, ma anche per gli altri, nella Chiesa.[12]

La scelta è responsabile quando il soggetto è in condizione di vivere quella opzione con la rinuncia e le conseguenze che essa implica. Ovvero, nel caso del celibe, quando l’attrazione dà la forza di rinunciare a qualcos’altro, che pure il soggetto sente desiderabile e non cattivo in sé, ma non al punto di considerarlo indispensabile –irrinunciabile per esser sé stesso e realizzarsi nella sua verità, come può esser l’esercizio dell’istinto genitale, in senso sia etero che omosessuale. Infatti, lo stesso tipo di rinuncia, pur se con riferimento diverso, è richiesto sia all’etero che all’omosessuale. Che ovviamente non vuol dire per nulla rinuncia all’amicizia, alla relazione d’una certa intensità, al coinvolgimento emotivo, al gusto di voler bene e di lasciarsi voler bene.

6.2 Tensione di rinuncia, non di frustrazione

C’è un criterio che svela questa felice combinazione di scelta e di rinuncia (con l’attrazione che fa da motore), ed è quello d’una sostanziale pace interiore, che rende serena la persona, pur con la necessaria vigilanza e una tensione inevitabile. Tensione che sarà vissuta come sopportabile, tale da poter esser affrontata dall’individuo, proprio in forza del tesoro che l’attrae, o del motivo positivo che lo spinge; come un “no” a qualcosa che in realtà nasconde o è conseguenza d’un “sì” a qualcos’altro. Sarà la classica tensione di rinuncia, legata a quella rinuncia che è parte normale e insopprimibile di ogni scelta, e che è criterio positivo di discernimento. Tale tipo di tensione, infatti, indica sostanzialmente la libertà del soggetto nei confronti delle sue stesse attrazioni istintive, come capacità di gestirle.

Diversa sarà la tensione negativa, quella di frustrazione,[13] determinata dalla sensazione di non poter realizzare un aspetto che l’individuo sente (troppo) importante di sé. Tale sensazione rende la rinuncia eccessivamente pesante, meno libera e ancor meno gestibile dal soggetto, creando in lui una tensione con cui sarà complesso convivere, e che potrebbe portare, alla lunga, alla ricerca di compensazioni, se non di una doppia vita. Con probabile infelicità futura.

Non si tratta – come si vede – d’una questione morale o di pura capacità di controllo comportamentale (con gli esiti moralistici o volontaristici che sappiamo), ma di verificare se uno è libero e sarà felice nella scelta che sta facendo. Indipendentemente dall’orientamento sessuale. È ovvio, infatti, che questa stessa tensione di rinuncia, con la pace interiore che comporta e la libertà che esprime, è criterio di discernimento per chiunque faccia una scelta di celibato per il regno. Uno deve vivere con gioia la propria scelta, non con senso di frustrazione!

6.3 Integrazione della tendenza nel progetto vocazionale

Tale terzo criterio esprime un atteggiamento diverso rispetto al passato; è infatti un criterio positivo poiché provoca esplicitamente il chiamato a vedere come vivere quel che prova in sé, a livello della propria affettività e non solo, al servizio della sua chiamata al sacerdozio, non dunque come ostacolo, ma come potenzialità.

Che vuol dire – da un lato – l’oggettività d’un punto di riferimento finale, d’un obiettivo che regoli lo stile di vita, specie lo stile relazionale, e le scelte della persona; e – dall’altro – il coraggio di vivere la propria realtà personale nella sua totalità, anche in ciò che riguarda il proprio orientamento, in funzione del ministero che ha scelto, con creatività e originalità. Come dicevamo all’inizio di questa riflessione, se anche l’orientamento omosessuale indica ed esprime energia affettiva, e dunque capacità d’amicizia, di vincoli intensi, di empatia e partecipazione emotiva alla vita dell’altro, d’amore dato e ricevuto…, ebbene tutto questo va vissuto, purificato certamente da ogni rigurgito autoreferenziale o da ogni selettività relazionale che finirebbe per escludere e far preferenze, ma non può esser messo tra parentesi o negato, al contrario va integrato col proprio progetto sacerdotale, poiché esso stesso è tutto costruito sull’amore, verso tutti/e, senza esclusioni.

Il discorso è qui molto delicato e senz’altro necessita ancora di precisazioni e approfondimento. Ma è significativo, credo, questo cambio di prospettiva. Per questo il Sussidio dice, a tal riguardo, di «discernere con molto rigore» tale possibilità d’integrazione, aggiungendo: «senza darla per scontata»,[14] perché non è per niente scontato (ovvero né pacifico né spontaneo) vivere autenticamente la sessualità in un progetto celibatario. Ed è fin troppo chiaro che con lo stesso rigore va condotto il discernimento con l’eterosessuale.

6.4 Non isolare l’orientamento in sé, ma leggerlo nel quadro globale della personalità

Un’indicazione rilevante, infine, per chi deve operare il discernimento, viene ancora dal testo che sto presentando, quella di «non isolare la tendenza in sé, sganciandola dall’insieme della personalità, né discernere l’autenticità vocazionale a partire unicamente dalla tendenza stessa (come fosse l’elemento decisivo), ma – al contrario – coglierne il significato nel quadro globale della personalità del giovane».[15]

Perché, come abbiamo detto, più importante e decisivo della tendenza in sé, è il modo di viverla, e dunque l’equilibrio generale della persona nel prenderne coscienza, nell’accettarla come parte di sé, nel gestirla con sufficiente libertà e serenità, e in particolare, come appena sottolineato, nell’integrarla con la natura e gli obiettivi della vocazione presbiterale.[16]

Per questo è necessario e intelligente vedere altre voci correlate direttamente o indirettamente con la tendenza stessa, e che consentirebbero di viverla in modo autentico, come vari ambiti di maturità e sensibilità: da quella relazionale a quella spirituale, dalla libertà di autodecentrazione orizzontale (= metter l’altro al centro della mia vita) a quella verticale (= metter Dio al centro della relazione con l’altro), dal senso del mistero e della sacralità del tu al rispetto della debolezza e minorità altrui…

Solo allora il discernimento è possibile e può sperare d’esser veritiero. Ovvio che sarà tanto più obiettivo quanto più tutto il cammino formativo è stato soggettivo, sulla persona, e ha lavorato su questi punti, che – come abbiamo più volte segnalato – in buona parte riguardano il cammino normale del chiamato verso la libertà e maturità affettivo-sessuale.


[1] G. Piva, Cammino sinodale – LGBT+: con tutto il cuore. Da dove nasce il documento dei 50 sacerdoti omo-bisessuali, in “Il Regno – Attualità”, 4(2023), 78-80.

[2] Si tratta del testo della Congregazione per l’educazione cattolica del 2005, Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione agli ordini sacri; poi confermate e reiterate nelle varie Ratio sulla formazione nei seminari fino al 2016.

[3] Nell’articolo in questione l’Autore – considerando solo la mia posizione del 2009 – mi contrappone a S. Guarinelli e C. D’Urbano, che mi sono carissimi amici oltreché colleghi di lavoro, e coi quali spesso condividiamo questo cammino di riflessione.

[4] Ipotesi teoriche sì, ne esistono, ma ancora discretamente lontane da una teoria condivisa.

[5] Lo ha messo molto bene in evidenza M. Faggioni al recente convegno su Giovani, affettività, identità, organizzato dall’Università Salesiana l’11 marzo 2023, nella sua relazione: Identità di genere e orientamento sessuale: questioni etiche discusse.

[6] Ibidem, 36.

[7] Vedi in tale direzione le illuminanti catechesi sulla teologia del corpo e dell’amore umano di s. Giovanni Paolo II dal novembre 1979 al novembre 1984.

[8] Servizio Nazionale per la tutela dei minori (CEI), La formazione iniziale in tempo di abusi, Roma 2021, p. 46 (d’ora in poi FITA).

[9] La netta distinzione tra abusi sessuali su minore e pedofilia permette inoltre di comprendere come quest’ultima renda conto solo di una parte degli abusi stessi, mentre una parte rilevante è riferibile ad altre problematiche, tra le quali l’immaturità psicoaffettiva. Quest’ultima si alimenta di fattori contestuali, come quelli sopra descritti e può dunque aver come esito comportamenti abusanti.

[10] Cf. Ibidem, 47.

[11] Per questo il documento che stiamo considerando raccomanda un’attenzione circa “l’origine” della tendenza omosessuale e “il suo significato nel quadro globale della personalità del chiamato” (cf. FITA, 47), così come sarebbe bene fare, in generale, per la storia o l’evoluzione psicogenetica della sessualità di chiunque.

[12] È la logica evangelica del tesoro trovato nel campo, cf Mt 13,44–46.

[13] Così, infatti, si chiama: tensione di frustrazione, per contrapporla alla tensione di rinuncia.

[14] FITA, 47.

[15] Ibidem, 116, nota 134.

[16] È sempre parte della concezione personalista pensare una realtà così significativa come la sessualità, al di là di generalizzazioni definitive e del suo stesso orientamento, come qualcosa che ogni persona vive dentro il suo sviluppo generale e dentro la sua propria identità, con aspetti unici e irripetibili.

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11 Commenti

  1. Carlo 3 aprile 2023
  2. Francesco Pieri 3 aprile 2023
  3. Gregorio Narboni 2 aprile 2023
  4. Fabio Cittadini 1 aprile 2023
  5. Adelmo Li Cauzi 31 marzo 2023
  6. Luca 31 marzo 2023
  7. p. Pino Piva sj 31 marzo 2023
  8. Piotr Zygulski 31 marzo 2023
  9. Pietro 31 marzo 2023
    • Marco 4 aprile 2023
      • Pietro 5 aprile 2023

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