La misura del ministero

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cambio parrocchia

In questo cambio di stagione qualcuno sente la maglietta troppo stretta, qualcun altro un po’ larga. Non sarà certamente questione di dieta, ma di novità, di cambiamento e di habitus. Con quella maglietta, che in quest’anno particolare manca a molti ragazzi che sono soliti mettersi al servizio per gli oratori, desidero riferirmi al ministero presbiterale.

Questo è per alcuni il periodo dei cambiamenti, di nuovi ministeri e di una “maglietta” diversa, ma può essere su misura? Cosa o chi lo rende autorevole nel suo ministero?

La fraternità presbiterale mi porta a dialogare amichevolmente con alcuni amici preti e ultimamente mi sono posto questa principale domanda: “Il ministero è potere?”. Da parte di alcuni sembra che non si possa sempre e senza dubbio riferire al ministero il potere, cioè la capacità di agire e di compiere scelte significative per la parte di Chiesa che si trova a servire. Con rammarico fanno questa constatazione.

Io vi domando allora: “Non è troppo stretta questa maglietta? Non vi pare che questo volenteroso prete sia limitato nel suo servizio?”. Capita spesso ai più giovani, ma anche ad altri, di notare più limiti che responsabilità nel proprio ministero. In altri casi, colgo la voce di chi trova la maglietta troppo larga, come se il suo servizio fosse grande e quasi impossibile da colmare, quasi che la responsabilità dovuta al suo ministero lo rendesse impotente, oppure che il suo modo di esercitarlo fosse deluso per non riuscire a raggiungere tutti i confini della sua parrocchia.

I confini possono essere tanti e impossibili da raggiungere per un solo prete, ma è proprio indispensabile che sia lui a raggiungerli in prima persona? La tipica visita alle famiglie, per esempio, può essere affidata anche ad altri ministri pastorali che magari sono prossimi alle periferie esistenziali?

Una maglietta su misura forse è una pretesa troppo alta, sarebbe come illudersi che tutto resterà sempre uguale, io – presbitero – e la Chiesa. Ciò che mi preme porre all’attenzione del presbiterio e di una comunità cristiana che saluta o che accoglie è proprio questo: il ministero di un prete è sempre nella Chiesa, questo significa che quella maglietta sarà sempre inadatta per colui che succede ad un altro e proprio per questo occorre dare a lui quel potere generato dalla fiducia.

Fratel MichaelDavid ha scritto un bel libro in cui dice che “bisogna comunque ritornare a ciò che la Chiesa è come ministero” e sottolinea la nostra identità di “con-discepoli”,[1] ecco perché ribadirei la fiducia come potere della Chiesa, perché siamo dal nostro battesimo con-discepoli nella Chiesa.

Quando si cambia comunità cristiana

Don Primo Mazzolari ha “batteccato” i suoi parrocchiani nel cambio di parrocchia, quando ha scritto loro che è facile scoprire «le differenze tra l’ideale e il reale» e aggiungeva che su questa scia il parroco diventa presto un «sorvegliato speciale»[2] e credo che abbia ragione. Quanti hanno anteposto alla fiducia il paragone o il giudizio su come quel prete sta svolgendo il suo ministero? Quanti preferiscono limitare il potere di un ministro ordinato, con buoni propositi o cattiveria, affinché sia limitata la sua responsabilità e nulla cambi, nulla nasca, nulla sia trasfigurato per il suo ministero?

Non sto facendo clericalismo, so bene che la Chiesa non si esaurisce attorno al clero, ma in questo periodo ho molto a cuore quei confratelli che hanno accolto un nuovo ministero, di fatto non corrisposto dal potere necessario per esercitarlo. Un prete è anzitutto membro di un presbiterio e quindi di una Chiesa locale. Da chi potrà aspettarsi quella fiducia che dà potere al suo ministero? Chi ha la facoltà di farlo essere se stesso nel servizio per il Vangelo? Chi può dialogare con lui affinché si assuma seriamente le sue responsabilità?

Vorrei ricordare ad ogni Chiesa locale che il ministero certamente ha la sua fonte principale in Cristo, ma non vive senza il potere di quella fiducia del clero e dei laici. Fate pure festa, esprimete il vostro benvenuto con sobrietà o esuberanza, ma tutto sia preludio di una fiducia potente in chi vive con tutto se stesso un ministero non suo.

In conclusione, scolpiamo in calce alle nostre nomine e sui muri delle parrocchie che il ministero del Buon Pastore, specie in questo tempo di rinnovata evangelizzazione, «esige dei sacerdoti radicalmente e integralmente immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita pastorale, segnato dalla profonda comunione con il papa, i vescovi e tra di loro, e da un feconda collaborazione con i fedeli laici, nel rispetto e nella promozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all’interno della comunità ecclesiale»[3].

Speriamo che i nostri preti non siano dei “sorvegliati speciali” sui quali ricadono le critiche prima della fiducia. Guardiamo a loro con la fiducia potente di fratelli e sorelle, con-discepoli in Cristo.

  • Don Samuele Bignotti è collaboratore vicario in una parrocchia della diocesi di Mantova e responsabile dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso

[1] F. M. DAVID, Ridotti allo stato ecclesiale, San Paolo, Cinisello Balsamo 2019, p.42

[2] Cfr. A. BERGAMASCHI, Presenza di Mazzolari. Un contestatore per tutte le stagioni, EDB, Bologna 1986, p.167

[3] GIOVANNI PAOLO II, Pastores Dabo Vobis 18

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