I ministeri e il ministero del catechista

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Papa Francesco, ricevendo in udienza i partecipanti al 3° Congresso internazionale dei catechisti (Vaticano, 10 settembre 2022), si è rivolto loro con queste parole: «Vi ho salutato tutti come catechisti. L’ho fatto intenzionalmente. Vedo in mezzo a voi parecchi vescovi, tanti sacerdoti e persone consacrate: anche loro sono catechisti. Anzi, direi, sono prima di tutto catechisti, perché il Signore ci chiama tutti a far risuonare il suo Vangelo nel cuore di ogni persona».

«Non allontanatevi mai da questa sorgente di amore, perché è la condizione per essere felici e pieni di gioia sempre e nonostante tutto. Questa è la vita nuova che è scaturita in noi nel giorno del battesimo e che abbiamo la responsabilità di condividere con tutti, così che possa crescere in ciascuno e portare frutto».

Pochi giorni prima, l’Associazione italiana catecheti (AICa) (5-7 settembre 2022), nell’appuntamento annuale, ha riflettuto su “Il ministero del catechista e i ministeri laicali in una comunità ecclesiale”.

Nella prima parte del 2021 due pronunciamenti pontifici hanno riportato l’attenzione della Chiesa cattolica sul tema della ministerialità laicale.

Il 10 gennaio viene pubblicato il motu proprio Spiritus Domini sulla modifica del can. 230 §1 del Codice di diritto canonico circa l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito del lettorato e dell’accolitato.

Il 10 maggio viene alla luce il motu proprio Antiquum ministerium con cui si istituisce il ministero del catechista (AM 8). In seguito, il 13 dicembre 2021 la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti pubblica il testo del Rito dell’istituzione dei catechisti (in vigore dal 1° gennaio 2022) e l’accompagna con una lettera in cui si definiscono i ruoli dei vescovi e l’identità di coloro che sono chiamati a tale ministero. È datata 5 giugno 2022 la Nota ad experimentum della CEI: “I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista per le Chiese che sono in Italia”.

I ministeri istituiti nel quadro della recezione del Vaticano II

Uno degli elementi qualificanti l’ormai lunga stagione post-conciliare è indubbiamente lo sviluppo e la diffusione delle innumerevoli, differenziate, ricchissime forme di ministerialità “di fatto” di laici e laiche.

Tutte le Chiese del mondo sono segnate da questo fenomeno, che assume tratti peculiari nelle diverse esperienze locali, in risposta a bisogni specifici, tradizioni storiche e sensibilità culturali diversificate.

Ogni settore pastorale, dalla catechesi alla liturgia, dalla carità alla pastorale familiare e giovanile, vede la presenza di uomini e di donne che, sul fondamento della loro soggettualità battesimale, con carismi, competenze, livelli formativi molteplici, assumono nella Chiesa compiti e ruoli di animazione e servizio pastorale. In tutti i casi si tratta di un fattore chiave nella recezione del concilio, quale accoglienza attiva e trasformativa da parte delle Chiese locali delle istanze conciliari.

Il motu proprio Ministeria quaedam (1972) ha costituito in questo orizzonte una svolta significativa. Paolo VI abolisce gli ordini minori e pone in essere nuove figure ministeriali, inedite pur se radicate in una tradizione secolare: i ministri istituiti lettori e accoliti.

Il papa afferma con chiarezza che si tratta di ministeri conferiti a laici, per un servizio ecclesiale durante la liturgia eucaristica e in correlative attività di servizio pastorale, nella catechesi e nell’assistenza alle membra più fragili del corpo di Cristo.

Era la prima volta che un documento magisteriale usava il termine “ministero” per designare un’attività ecclesiale determinata e specifica di un laico: una scelta di campo che non può essere sottovalutata.

I limiti del documento, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione, sono evidenti: l’esclusione delle donne battezzate e l’obbligo per i candidati al diaconato “permanente” e al presbiterato di riceverli entrambi. Questi aspetti attestano che rimane sotteso un quadro teologico ancora a orientamento e prospettiva clericali, in cui il ministero ordinato rimane il punto di riferimento per pensare la ministerialità. Ma il passaggio a un ministero di laici costituisce una novità da non sottovalutare.

La recezione di Ministeria quaedam è stata parziale e ha influito marginalmente sullo sviluppo complessivo della ministerialità ecclesiale complessiva.

La duplicazione di compiti, mai chiarita, rispetto ai ministeri di fatto e soprattutto l’esclusione delle donne che di quei ministeri di fatto erano le più convinte e attive operatrici – pensiamo alle donne catechiste o alle ministre straordinarie della comunione – hanno limitato fortemente lo sviluppo dei ministeri istituiti.

Da molti sono stati avvertiti come un riconoscimento alla carriera di maschi «fedeli alla causa pastorale» o una clericalizzazione indebita di funzioni e compiti liturgici. Ciò che è avvenuto ha indubbiamente oltrepassato la pura applicazione della lettera dei documenti che solo parzialmente delineavano questo apporto laicale. Negli anni ’90 assistiamo a una battuta d’arresto nel processo ministeriale.

L’istruzione Ecclesiae de mysterio. Sulla collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti (1997), a firma di 8 dicasteri vaticani, ha messo un punto fermo davanti ad alcuni abusi e ha chiesto di riservare il termine «ministero» ai soli vescovi, presbiteri, diaconi, senza tenere in alcun conto l’uso di ministerium/ministeria fatto da Paolo VI nel documento del 1972. La prospettiva adottata è quella della «collaborazione» con la gerarchia e non della corresponsabilità di ministri ordinati e laici/laiche in una comune missione ecclesiale.

Le carenze circa un adeguato sviluppo della ministerialità, almeno riconosciuta se non proprio istituita, appaiono anzitutto nella riflessione teologica. Le ha messe bene in evidenza nel suo intervento Livio Tonello (docente di pastorale presso la Facoltà teologica del Triveneto). In sostanza si riscontra:

  • l’incerta definizione tipologica dell’identità del fedele laico che, dopo il 1988, con la conclusione della “teologia del laicato”, non ha trovato incremento nella “teologia dei ministeri”
  • il difficile rapporto tra sacerdozio comune e sacerdozio ordinato nella mutua implicazione (LG 10), oltre i clericalismi o le rivendicazioni
  • la prevalenza della dimensione cristologica nell’interpretare l’identità del ministero ordinato dando rilevanza e peso alle dimensioni della repraesentatio Christi e in persona Christi e della potestas sacra
  • lo sviluppo della ministerialità posta su un binario prevalentemente funzionale, incentivato dalle situazioni di scristianizzazione, di calo numerico e di invecchiamento dei preti
  • lo scarso sviluppo delle potenzialità inscritte nelle prime figure istituite di ministeri ristrette al solo ambito liturgico.

Anche la recente Nota ad experimentum della CEI (5 giugno 2022) è meno espansiva rispetto ai documenti promulgati negli anni ’70 in relazione ai compiti affidati e da svolgere.

I fondamenti del ministero

Su un tema come questo l’AICa ha sentito il compito e intravista l’opportunità di elaborare una buona teologia che ascolta le comunità e le catechiste e i catechisti italiani.

Il discorso teorico/pratico sul ministero del catechista si colloca, prima ancora che in relazione alla plurale declinazione ministeriale e carismatica, dentro la natura e il compito della Chiesa nel mondo. Attenzione espressa molto bene da EG 27: «… ogni struttura ecclesiale diventi un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione».

Qui ci viene detto che la Chiesa esiste per rendere a tutti disponibile il vangelo, per nutrire la «fede elementare» e promuovere la «fede discepolare», e per segnalare la prossimità di Dio nei riguardi di tutti e di tutte. Sono i due assi che costituiscono la natura della Chiesa. Quindi, la Chiesa ha un unico ministero. La pluralità dei ministeri va collocata in questo singolare ministero della missione.

Si è ribadito che tutti i discorsi sui ministeri, e su quello del catechista in particolare, si inseriscono in questa visione e ne orientano la realizzazione storica.

La comunità cristiana in forza del battesimo si articola ministerialmente per compiere l’unico ministero a cui è chiamata. Ogni negligenza, ritardo, blocco sulla sua articolazione in ministeri compromette il suo ministero, la sua identità e la sua missione.

Una Chiesa estroversa declina una molteplice ministerialità in modo che a tutti sia accessibile e sperimentabile l’amore di Dio, la sua misericordia.

Una Chiesa introversa declina una ministerialità ridotta, mutilata, in vista della sua preservazione e della preservazione del potere di chi presiede la comunità. Una tale Chiesa è destinata a isolarsi e progressivamente a spegnersi, perché disertata dalle donne e dagli uomini di oggi.

L’opera comune per la missione della Chiesa

Sempre nel lavoro di fondamento teologico della ministerialità, si è messo in luce che ogni «figura ministeriale» è generata nella Chiesa, a partire o dal sacramento dell’ordine (vescovo, prete, diacono) o da un Rito di istituzione (ministri istituiti) o, ancora, per una benedizione o un mandato (ministero di fatto).

Serena Nocenti (docente presso l’ISSR di Firenze), in un intervento molto articolato, ha affermato che la specificità di ciascuno si coglie guardando al modo in cui contribuisce alla realizzazione dell’unica missione. Ogni soggetto è in relazione agli altri e l’opera comune si compie per l’apporto di ogni soggetto co-costituente e co-operante nel Noi ecclesiale. Non va quindi pensato prima un soggetto (il ministro ordinato), per poi pensare gli altri (i laici), ma le identità vanno pensate contemporaneamente e correlativamente.

Il ministro ordinato custodisce l’apostolicità della fede e serve il Noi ecclesiale istituzionalizzato (LG 20.24) ed è costitutivo ed essenziale per l’esistenza della Chiesa locale. I ministeri dei laici, istituiti e di fatto, operano nel Noi ecclesiale compiendo specifiche azioni che realizzano diversi aspetti dell’apostolicità della Chiesa.

Nel caso dei ministri istituiti ci troviamo davanti a cristiani/e che hanno ricevuto l’iniziazione cristiana in forma completa e si riconoscono soggetti responsabili nel popolo di Dio, sanno di esser portatori di un carisma dato loro dallo Spirito Santo per il bene di tutti. La loro realtà di battezzati, che contribuisce alla missione ecclesiale, viene plasmata e qualificata dal Rito di istituzione.

Non è sufficiente fare riferimento al battesimo e alla cresima quale fondamento del ministero di lettori, accoliti, catechisti. Il Rito di istituzione dà forma alla loro realtà battesimale in modo nuovo e specifico.

Il ministero non è solo una ratifica dell’esistente o un riconoscimento per alcuni operatori meritevoli. Si dà valore alla persona non per quello che fa, ma per ciò che è.

Ancora, si è evidenziato che sono ministri istituiti sempre: sia quando operano nell’assemblea celebrante o nell’opera catechistica o nelle attività pastorali loro affidate, sia quando vivono la loro vita da credenti. Si stabilisce così la stretta correlazione che si dà tra liturgia e altre dinamiche, formative e di servizio, che ritmano la vita comunitaria e plasmano il volto della Chiesa.

Attenzioni e possibilità

Il confronto ha marcato le difficoltà e le possibilità che si aprono in questa stagione di Chiesa. L’operazione andrà inevitabilmente incontro a qualche errore, e ci saranno da imparare equilibri, ma è normale perché non ci siamo mai cimentati in questo campo. Intanto si sono fissate alcune linee direttrici:

  • i ministeri istituiti non sostituiscono affatto i ministri di fatto: la differenza si dà nella scelta impegnativa di un servizio continuativo alla Chiesa locale, frutto di uno specifico discernimento di carismi presenti, sostenuto da un’adeguata formazione;
  • no all’idea di una sacralizzazione di ruoli liturgici e la creazione di un’élite, di una classe di “leviti”, quasi intermediari tra il presbitero e l’assemblea;
  • la coscienza della propria «relatività agli altri» e l’uscire da ogni assolutizzazione del proprio ruolo e potere vantato “sugli altri”, aiuta ad andare oltre il rischio di una clericalizzazione sempre latente in una Chiesa che eredita una logica gerarchico-sacrale indiscussa da secoli;
  • più complessa è la questione relativa alla figura del «catechista istituito». La Nota ad experimentum della Conferenza episcopale italiana pone sotto l’espressione «catechista istituito» due diverse figure: il coordinatore della catechesi (di una parrocchia, di una zona pastorale, di un ufficio diocesano) e l’animatore di una comunità (ad esempio, quelle piccole comunità che sono parte di unità pastorali senza parroco residente oppure di Comunità ecclesiali di base).

Sono due ruoli differenti, che rispondono a carismi diversi, richiedono capacità e competenze differenti, comportano una formazione diversa. Andrebbe chiarita quanto prima questa sovrapposizione di “figure”. Se in Italia è già ampiamente diffusa e facilmente riconoscibile la prima, è però sempre più urgente pensare anche la seconda, data la rapida diminuzione di presbiteri e l’aumento dell’età media del clero.

Qualificante la metafora della danza

La pluriministerialità è un dato di fatto a cui non è possibile sottrarsi e, per certi versi, sembra complicare il quadro d’azione.

Serena Noceti è ricorsa a una felice ed efficace metafora per indicare gli elementi di novità che vengono dai ministeri istituiti e per ripensare l’inter/azione tra i soggetti ecclesiali.

Come avviene nella danza, ogni soggetto viene ad essere definito non solo dagli atti specifici che pone con il suo corpo e il suo gesto, ma anche dalla collocazione nello spazio e dalla inter-relazione con gli altri soggetti presenti/agenti e con il corpo di ballo.

Nella danza, quando un soggetto entra in azione occupa uno specifico spazio e tutti coloro che sono già sulla scena devono ricollocarsi e di fatto re/agire, con un riconoscimento del nuovo soggetto e con spostamenti fluidi, che risignificano quanto stava già avvenendo.

Le figure ministeriali parlano e operano, sul piano simbolico e funzionale, mai individualmente ma costruendosi nel movimento reciprocamente e insieme.

La coreografia ecclesiale è cambiata con Ministeria quaedam prima e ora con Spiritus Domini e Antiquum ministerium: sono state indicate forme nuove dell’agire collettivo e consegnati ritmi “altri” rispetto alla tradizione. La presenza di nuove figure ministeriali ridefinisce il Noi ecclesiale e contribuisce allo sviluppo di una vita comunitaria.

La presenza e l’agire ministeriale di lettori, accoliti, catechisti istituiti esercitano una funzione insostituibile che modifica il volto di una comunità. In particolare, sono stati segnalati alcuni aspetti trasformativi che una coreografia di danza ecclesiale con ministri istituiti porta con sé:

  • in primo luogo assistiamo a un processo di complessificazione: con la creazione dei ministeri istituiti si viene a superare quel binomio “clero-laici” intorno a cui da secoli sono state codificate le relazioni intraecclesiali tra Chiesa docente e Chiesa discente;
  • ritorna vivo il modello organizzativo ecclesiale dei primi quattro secoli che vedeva molteplici «figure ministeriali», in correlazione reciproca e con colui che ha il ministero di presidenza;
  • la novità sancita da Ministeria quaedam è profonda: con la creazione dei ministeri istituiti e la soppressione degli ordini minori abbiamo un’interruzione dell’istituto del cursus honorum ministeriale, che si era andato definendo dal III-V secolo in poi;
  • c’è ora la possibilità di pensare nella prospettiva di un «sistema cooperativo di ministeri», ordinati, istituiti e di fatto. Inoltre, con Antiquum ministerium ci troviamo davanti a un ministero istituito che non viene esercitato per e nella liturgia;
  • la presenza di lettrici e accolite, oltre che la possibilità di avere catechiste istituite, permette di comprendere maggiormente cosa voglia dire essere «Chiesa di uomini e donne», strutturata secondo aspettative, pratiche e linguaggi di genere;
  • la presenza di nuovi soggetti ministeriali, fisicamente percepibile e connotata secondo la differenza sessuale, uomini e donne all’ambone e all’altare, può aiutare l’assemblea a cogliere in modo più avvertito la questione di genere nella Chiesa. In questo senso, Spiritus Domini rappresenta un passo piccolo, ma estremamente significativo, sul piano simbolico e dell’agire ecclesiale;
  • quanto avvenuto con i motu proprio di Paolo VI e di Francesco ci rimanda al fatto che le figure ministeriali sono cambiate più volte nel corso della storia, in risposta a nuovi bisogni pastorali, sensibilità culturali mutate, maturazione di visioni ecclesiologiche nuove.
Annotazioni conclusive

La ministerialità in tutti i suoi aspetti fragili e significativi chiede che ci siano persone formate a stare nelle pieghe della vita. È necessario sviluppare un discepolato cristiano che aiuti, secondo l’Evangelo di Gesù, ad affrontare situazioni in tutto o in parte inedite.

In particolare, va maturata la convinzione che la Chiesa e il mondo non sono due grandezze parallele. La Chiesa è fatta da uomini e donne di questo mondo che credono in Gesù Cristo, vivono la vita secondo il vangelo come discepoli, lo restituiscono a tutti e, nello stesso tempo, lo ricevono da coloro a cui lo testimoniano.

In tal senso, l’uguaglianza di genere nella ministerialità è una pietra di paragone per la capacità della Chiesa di inculturare la società, ma è soprattutto una pietra di paragone per verificare se la Chiesa stessa è pronta per una nuova conversione della Parola di Dio e per ascoltare il messaggio liberatorio del Regno di Dio.

Istituire e mettere in atto questa molteplice ministerialità non clericale e non funzionale significa lasciare agire lo Spirito nella Chiesa e nel mondo, e quindi ridare respiro e vita alle istituzioni ecclesiali.

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3 Commenti

  1. Giovanna Currarino 1 ottobre 2022
  2. enza annunziata 26 settembre 2022
  3. G B 26 settembre 2022

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