Ministero ordinato: tra scelta e chiamata

di:

preti

La prima monografia del 2023 della rivista Presbyteri è dedicata a una riflessione sulla dinamica della vocazione al ministero ordinato «sia dal punto di vista antropologico, che coinvolge la libertà nella scelta e nella risposta a una chiamata di Dio, sia dal punto di vista ecclesiologico, che implica una riflessione sulla forma della Chiesa che interpreta, accoglie, trasmette e dona la chiamata stessa». Pubblichiamo l’editoriale del numero.

In occasione della 52Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni (26 aprile 2015), nel messaggio di papa Francesco, l’icona di riferimento era l’immagine di una «Chiesa in esodo», che ha il coraggio di stare tra la gente, di portare a tutti la Buona Notizia che Gesù le ha consegnato, di non crogiolarsi in una pericolosa e autoreferenziale contemplazione di sé stessa. Francesco disegnava l’identikit di una Chiesa dal volto missionario, capace di scrollarsi di dosso le proprie sicurezze e i propri ruoli, per andare incontro agli uomini e alle donne di questo nostro tempo.

Esodo

Quando sentiamo la parola «esodo», il nostro pensiero va subito agli inizi della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa[1].

L’esodo è un’esperienza di chiamata, attraverso la figura di Mosè, e di una scelta, forse non pienamente consapevole, da parte del popolo ebraico oppresso dalla schiavitù in Egitto.

Ciascuno di noi ha il proprio mondo di riferimento. Di fatto, esso permette degli ancoraggi chiari e sicuri, ma può rappresentare anche una dura resistenza nel lasciare lo status quo abituale.

Papa Francesco diceva allora, e lo ha ripetuto in molte altre occasioni, che l’humus fecondo di ogni Vocazione è la capacità di vivere, con radicalità e convinzione, il dinamismo dell’esodo, come chiamata e spinta alla missione e come adesione e scelta nel viverla in pienezza. «Se la Chiesa “è per sua natura missionaria” (Ad gentes, 2), la Vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione»[2].

Questo pone una domanda radicale a ciascuno di noi e alle nostre comunità cristiane: come mai fatichiamo così tanto ad uscire dalle nostre impostazioni prestabilite e di routine, per accettare la sfida di vivere con parresìa e coraggio l’apertura a Dio e la solidarietà con le sorelle e i fratelli a noi prossimi?

La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano… per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, sa andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi» (EG 24)[3].

Tra chiamata e scelta

Ogni cammino vocazionale, che vive la tensione tra chiamata e scelta, è sempre un vero e proprio pellegrinaggio di vita, dove ciascuno cerca libertà e felicità.  Dice Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29).

Zenta Maurina Raudive, una scrittrice lettone contemporanea, colpita all’età di cinque anni da poliomielite spinale che la costrinse per tutta la vita sulla sedia a rotelle, scrive:

«All’unità del mondo contribuisce ogni singola persona che sappia realizzare queste tre cose: spiritualizzare la propria vita; prendersi a cuore il conoscere l’altro e ascoltarlo; essere abbastanza umile per valorizzare ciò che gli è estraneo»[4].

Come sono vere e forti le prime parole che Gesù pronuncia e che il vangelo di Giovanni ci consegna: «Maestro, dove abiti?». «Venite e vedrete!»

I primi discepoli non sono rappresentati come dei pescatori della Galilea che abbandonano il loro mestiere, ma come uomini già in ricerca, occupati a trovare il Dio Salvatore che hanno cercato e atteso presso Giovanni il Battista. Non sono i discepoli a scegliere Gesù, ma è Dio che dona al Figlio i suoi discepoli. La vocazione ha origine nel Padre e si concretizza nel «Venite» indirizzato da Gesù ai discepoli di Giovanni e nel «Seguimi» che Filippo si sentirà proporre. Così, i discepoli non seguiranno Gesù solo nel suo insegnamento di Rabbi, ma anche nel suo personale destino di vita. Mettiamolo in preventivo: con Gesù da interroganti si diviene interrogati, da cercatori si diventa cercati.

È la riscoperta delle due domande che Gesù pone ai primi discepoli: «Che cosa cercate?» (Gv 1,35-42), e a Maria Maddalena: «Donna, chi cerchi?» (Gv 20,11-18).

Due domande, un unico verbo, dove è racchiusa l’essenza stessa dell’uomo: un essere in ricerca, con un punto di domanda perenne piantato nel cuore.

«Non cercare ora le risposte che possono esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse. Il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora», scrive il poeta Rainer Maria Rilke[5]. Gesù, maestro del desiderio, ci aiuta a comprendere come la ricerca nasca sempre da un’assenza e quelle domande ci insegnano a volare alto, andando oltre a quanti gridano concitati o sussurrano suadenti: «Accontentati!».

Solo così potremo percepire la bellezza della beatitudine dimenticata: «Beati gli inquieti e gli insoddisfatti, perché saranno cercatori di tesori e di perle preziose».

Consapevolezze nuove

Per un cammino vocazionale, oggi, occorre una riflessione corale su temi che sono in grande trasformazione: vocazione, ministero, Chiesa. Le traiettorie della chiamata e della scelta non sono in contrapposizione, ma richiedono di essere profondamente integrate tra loro: questa è la fatica del discernimento.

È necessario creare i presupposti per un lavoro in rete, per testimonianze frutto di comunione, di stima e di valorizzazione reciproca delle proprie scelte di vita. Anche la comunità cristiana è chiamata ad una consapevolezza nuova: la ricerca del senso di vita, della propria «beatitudine» evangelica da incarnare e da vivere, non è uno sfizio, ma una dimensione essenziale della vita stessa.

Non è neppure una questione di età; la ricerca di senso vale per tutta la vita. Potremmo dirlo con le parole del poeta inglese Thomas S. Eliot: «Là dove finisci, di lì ricomincia!»[6]

Scrive Luciano Manicardi:

«La vocazione non si colloca sul piano del “fare”, bensì su quello dell’“essere” (…) La vocazione riguarda il senso della vita, ha a che fare con il mistero della persona, concerne ciò che dà fondamento e stabilità alla vita di un uomo e di una donna, coinvolge un’esistenza personale nell’insieme di tutte le sue relazioni: con Dio, con sé, con gli altri e con la realtà tutta»[7].

Il mistero del cuore umano

Oggi c’è un grande bisogno di logos, cioè di vie di significato vero e profondo per la vita. Senza di esso non si può vivere un’esistenza interiormente armonizzata, capace di elaborare le contraddizioni in cui siamo quotidianamente immersi. Essa può coincidere con la via della rivelazione e dell’amore che aiuta ad accettare e a vivere il presente senza renderlo assoluto. In tutto ciò c’è una grammatica utile per affrontare il viaggio nel mistero del cuore umano.

  • La vita come cammino e ricerca

«Il cammino è uno dei grandi simboli della vita umana», afferma la scrittrice inglese Evelyn Underhill[8]. In esso sono comprese due realtà essenziali: quello che non è più e quanto non c’è ancora. Il bisogno di esplorare l’ambiente e di andare oltre il dato immediato, introduce al mistero dell’uomo. Basti pensare alla figura di Ulisse o a filosofi, artisti e santi capaci di andare oltre i confini dello scibile attuale: è la via del sapere e del conoscere, che va oltre la logica del fare, oggi tanto esaltata.

C’è una radicale incompletezza nell’essere umano che lo spinge alla costante ricerca. Ce lo ricorda s. Agostino: «Non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato!»[9] È la ricerca di un habitat familiare e affettivo dove riposare e essere accolto. È il desiderio di essere «altrove», e, insieme, di tornare alla sicurezza della propria casa.

  • Il dolore

Esso rappresenta l’inizio di un percorso per la comprensione di sé stessi e per la propria crescita interiore. Il dolore è la legge della realtà, è il battito nel ritmo della vita, è la ricerca di un significato quando tutto appare incomprensibile. Nel dolore ritorna la sfida perenne tra le tante domande della vita e l’inesauribile ricerca.  Spesso la nostra cultura, ma lo stesso nostro modo di vivere la fede, ci propongono delle risposte prefabbricate e omologate che servono davvero a poco perché, nel dolore, ogni cammino è assolutamente personale.

  • Il «kairòs»

Ci sono situazioni che toccano in profondità la vita umana, in un senso positivo o negativo. Lo confermano gli eventi semplici dell’esistenza: un innamoramento, una paternità/maternità, una scelta di vita che si concretizza nella consacrazione o nel ministero ordinato. In senso negativo, ci sono i momenti di malattia, di perdita di una persona amata, di abbandono, di tradimento o di inaspettata solitudine. Sono eventi che sconvolgono equilibri e certezze; sono dei “momenti verità” nei quali non si può fare finta di nulla.

Sono situazioni che offrono uno spiraglio di luce nuova, l’inizio di un cambio, la scelta di una vita diversa. Il cuore umano ha una grande capacità di addomesticare e anestetizzare tutto ciò che può turbare un equilibrio raggiunto. La vita è una sequenza di occasioni e di opportunità per affrontare il mistero, per svilupparsi e crescere, ma quanti le sanno davvero cogliere?

Questi spazi e tempi di spaesamento interiore, in cui risulta difficile riannodare le fila della propria esistenza, possono divenire un reale momento di Grazia (kairòs) in cui ritrovare la gioia e lo slancio del nostro «primo Amore» (Ap 2,4).

Parafrasando una famosa espressione dello scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij, potremmo dire: «Ama la vita più della sua logica razionale e delle sue certezze; solo allora ne capirai il senso profondo e vedrai oltre le apparenze, seminando sguardi nuovi, sguardi di bene sulla terra»[10].


[1] Papa Francesco, L’esodo, esperienza fondamentale della vocazione, Messaggio per la 52ª Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni, 26 aprile 2015.

[2] Ibid.

[3] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, Roma – 24 novembre 2013.

[4] Zenta Maurina Raudive, Il lungo viaggio una passione, Paoline, Cinisello Balsamo 1982.

[5] Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta – Lettere a una giovane signora – Su Dio, traduzione di Leone Traverso, Adelphi, Milano 1980, 29ª ediz., pp. 141.

[6] Thomas S. Eliot, Quattro quartetti, a cura di Audrey Taschini, Bompiani, Milano 2022.

[7] Luciano Manicardi, A proposito di «vocazione», in Per una fede matura, Elledici, Torino 2012.

[8] Evelyn Underhill, Mysticism, Dutton, New York 1961.

[9] Agostino di Ippona, Le confessioni, Libro IX, 21,15.

[10] Cf. Fëdor M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Einaudi, Milano 2014.

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