Non aboliamo il sacerdozio. Redimiamolo

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Colletto da prete

Alcuni mesi fa ho partecipato a una piccola conversazione nel campus universitario [Harvard, ndt] riguardo alla crisi degli abusi nella Chiesa cattolica. Un relatore protestante ha distolto la nostra attenzione per alcuni minuti offrendo una dettagliata critica del celibato come essenzialmente sbagliato e assolutamente intollerabile. Ha fatto l’elenco dei suoi numerosi difetti e mancanze, sottolineando la sua disumanità e l’impossibilità de facto, invocando la sua abolizione.

Mi ha colto di sorpresa. Avrei dovuto replicare, per lo meno evidenziare, che – come l’interlocutore avrebbe dovuto sapere – ho cercato di vivere tutto ciò per oltre cinquant’anni come gesuita, quarant’anni come prete, e in tutti questi anni come celibe. Ma nessuno ha reagito su questo tema e la conversazione è rapidamente tornata al tema principale.

Questo fatto, piccolo se vogliamo, è quantomeno singolare. Questo è stato un altro triste anno per le rivelazioni riguardo agli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, doloroso per le vittime e i loro familiari, doloroso per tutti coloro, tra noi, a cui sta a cuore la Chiesa cattolica, deprimente per la gerarchia cattolica che ha coperto così tanto riguardo agli abusi per così tanti decenni. Le analisi di questa tragedia sono prevedibilmente parecchie, le denunce brucianti, i rimedi proposti innumerevoli. Alcuni saggisti e opinionisti vicini al mondo cattolico stanno diventando sempre più pungenti, proponendo soluzioni sempre più radicali e quindi lo stesso sacerdozio cattolico è ora un obiettivo frequente per manifestare indignazione. Aboliamolo!

Tre voci critiche

Ancora prevedibilmente, qui a Boston, dove vivo, le critiche al sacerdozio sono state forti. L’anno è cominciato con un articolo polemico di Garry Wills, apparso sul Boston Globe in gennaio, intitolato «Il celibato non è la causa della crisi degli abusi sessuali nella chiesa; lo è il sacerdozio», sostanzialmente un’adeguata ripresa del suo caustico libro Perché i preti? del 2013. La sua posizione è minimalista: ciò che non possiamo trovare nel Nuovo Testamento è illegittimo e questo include molto della struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa; il sacerdozio non è mai stato voluto da Cristo e non può essere salvato: «non penso che potrebbe funzionare ancora. Il sacerdozio stesso è un affronto al vangelo».

Abolire il ministero odinatoFacendo eco a Wills, James Carroll, lui pure una voce familiare qui a Boston, ha pubblicato l’articolo «Abolire il sacerdozio» su The Atlantic del giugno 2019. Questo saggio confessionale si muove tra il rimpianto e la denuncia. Carroll parla in maniera commossa, triste, nella sua quasi disperazione per la situazione della Chiesa, della sua decisione di smettere di partecipare alla messa, della sua scelta di una sorta di «esilio interno», di una vita di protesta che né condona la Chiesa attuale né l’abbandona. Fin qui tutto bene. Se Carroll avesse semplicemente confessato il suo lamento, gli sarei stato grato per le sue parole. Ma ha in mente delle ambizioni più grandi: «se fossi rimasto prete, lo capisco ora, la mia fede, così com’era, sarebbe stata corrotta».

Nessun prete può essere innocente, dal momento che «una spregiudicata e immorale sottocultura clericale ha reso tutti i preti un gruppo che dissimula silenziosamente il profondo disordine della propria condizione». Ne segue, secondo Carroll, che «lo stesso sacerdozio è tossico». Carroll prega per una Chiesa migliore, illuminata dalle opere di misericordia, libera dalla gerarchia e che contempli «molte, non autorizzate espressioni di preghiera e di culto, ugualitarie, autentiche, ecumeniche. Una Chiesa che non ha nulla a che fare con le frontiere diocesane, i confini parrocchiali o il sacramento dell’ordine sacro».

Nello stesso periodo in cui è apparso il pezzo di Carroll, l’Harvard Divinity Bullettin della mia stessa scuola ha pubblicato l’articolo di Robert Orsi «Lo studio della religione dall’altro lato del disgusto». Anche Orsi è noto qua, dal momento che ha insegnato ad Harvard per alcuni anni. Benché apparentemente si tratti di un saggio nella categoria del “disgusto” negli studi religiosi – forse simile a proposte già viste riguardanti l’invidia religiosa, il rimpianto religioso e altro ancora – il vero focus di Orsi è racchiuso nel sottotitolo: «la moderna sessualità cattolica è un paesaggio oscuro e travagliato». Il saggio è un manifesto rivolto alla Chiesa cattolica, la religione della sua giovinezza, che è ora l’oggetto del suo disgusto.

Il suo obiettivo è molto più ampio dell’abuso e del suo insabbiamento da parte di prelati ipocriti, dal momento che anche la presenza reale di Cristo nell’eucaristia è soggetto della disputa: «forse il disgusto è un’emozione propriamente cattolica, dato che l’atto di culto centrale nel cattolicesimo, il sacramento della reale presenza di Dio, consiste nella recezione, ingestione e digestione del pane e del vino consacrati, che sono detti essere il corpo e il sangue di Dio, nella comunità che si raduna ed è costituita da questa pratica».

Purificare la chiesa attraverso l’amore appassionato

A questo punto Orsi poteva argomentare più in profondità il sacro scandalo dell’eucaristia (come in Gv 6), dal momento che alcuni scandali, le pietre di inciampo di Dio, sono rivelatori. Invece si precipita velocemente verso una conclusione più roboante: «non sorprende che io, come cattolico, sia disgustato dal cattolicesimo» nel suo insieme e dal sacerdozio in particolare. Nessun prete – ci informa – nemmeno un ipotetico «buon prete» è innocente: ognuno sicuramente «sapeva che cosa stava succedendo con i suoi “fratelli preti”» e, sempre sicuramente, «ha colluso nei discorsi, nelle pratiche e nei privilegi che hanno trasformato le persone vulnerabili in vittime».

Riportando la statistiche che al massimo un prete su due è fedele al celibato, Orsi conclude con sbalorditiva certezza che «i preti e i prelati sono sempre in possesso di questioni sessuali sporche, l’uno dell’altro. Ciò rende ogni prete intimamente vulnerabile di fronte alla rete dei “fratelli preti”, ma dà ai preti una certa misura di controllo su tale rete». Noi preti siamo tutti parte della cospirazione.

Ma c’è ancora di più: «per favore non sbagliatevi riguardo a questo: è impossibile separare la “religione”, qui, dallo stupro dei bambini, dei giovani, di donne, di seminaristi e di novizie». Tutto questo sempre essere il disgusto di una persona che ha abbandonato non solo i preti e non solo il cattolicesimo, ma l’intera religione.

Wills, Carroll e Orsi, ognuno scrivendo a suo modo, esprimono tutti rabbia e il sacerdozio è il loro obiettivo. Sono parole dure da parte di tali autori e faremmo tutti bene ad ascoltare e percepire il fuoco di un tale rimprovero. Gli abusi, l’insensibilità per le vittime, l’insabbiamento sono stati scandalosi. Chi non ne sarebbe scandalizzato? E la riforma non è semplicemente una questione di più regole e più commissioni, né  una Chiesa salvata dagli avvocati.

Dobbiamo riformare la Chiesa andando molto più in profondità e più seriamente, spogliando il clericalismo, la mentalità da club di vecchi ragazzi e l’ignoranza dei funzionari della Chiesa, che sembrano incapaci di parlare di cattolici ordinari. Tutto ciò deve cambiare. Per purificare la Chiesa cattolica dobbiamo andare oltre la rabbia, facendo leva su un amore ancora più appassionato.

Il sacerdozio non è un errore

Ma anche ora, anche nella Chiesa cattolica come si presenta nel 2019, sarebbe un serio errore abbandonare il sacerdozio. Sì, il sacerdozio ha una storia che è cambiata nel tempo; sicuramente continuerà anche a cambiare nel futuro. Ma non è semplicemente una propaggine estrinseca nemica al “vero” cristianesimo. I chierici medioevali non hanno inventato i sacramenti semplicemente per sostenere il loro potere o per rinchiudere il sacro solo in alcuni luoghi, tempi e cose. Il sacerdozio non è un errore imposto a un’ipotetica comunità pura e originale. Al contrario, è parte della comprensione comunitaria di essere la comunità santa di Dio, il Corpo di Cristo, attraverso i secoli.

Il ministero ha una storia

La promessa di una permanente e ripetuta reale presenza di Cristo nello spezzare il pane ha spinto la Chiesa a trovare la sua strada attraverso il sacerdozio. Che la Chiesa abbia scoperto la funzione presbiterale è una grande conferma delle nostre radici in un giudaismo che non ha sbagliato nell’avere il sacerdozio. Che noi pure abbiamo i preti segna un terreno comune con le altre grandi religioni, come l’induismo, così ricco di templi, riti e azioni, anche dei sacerdoti.

Ignorare la continua fede dei cattolici

Ma ciò che più chiaramente distingue questi saggi è la decisione degli autori di portare tutto sul piano personale. Carroll ha spesso fatto riferimento al fatto che era un prete e ce lo ricorda pure sul pezzo nell’Atlantic; Orsi non è mai stato un prete, ma pure lui ci ricorda della sua convinta educazione cattolica e anche del lungo servizio della madre come membro stimato della Fordham University [l’Università dei gesuiti e New York, ndt].

Anche Wills ci rammenta i suoi «giorni in seminario». Dichiarare che una persona è cresciuta cattolica e ha delle memorie legate alla fede cattolica può essere edificante; il cattolicesimo può essere sempre la scelta migliore per le sue memorie e storie personali. Ma in questi casi, la biografia è utilizzata per dare credibilità alla seguente, devastante, critica: “io sono (o ero) un cattolico, quindi so di cosa sto parlando quando denuncio il sacerdozio”.

Ma la piega autobiografica, anche se si tratta di buon giornalismo, non è mai abbastanza. Queste storie indeboliscono gli argomenti portati, dal momento che pare ignorino la fede permanente dei cattolici, che è narrata nelle innumerevoli storie di persone che sono pure loro arrabbiate e scandalizzate, ma ancora vedono il valore della Chiesa cattolica, trovando nella sua vita sacramentale qualcosa di più profondo e più solido delle pretese della gerarchia e della malvagità di una parte del clero.

Come vedo nel week-end in parrocchia e al campus ad Harvard, le persone continuano ad andare in chiesa, non solo per una questione di abitudine, né per un anacronistico senso del dovere, né perché sono insensibili alla crisi attuale. Ci vengono perché vedono ancora il valore dei sacramenti, ancora trovano Dio presente nel suo culto, ancora venerano la presenza reale di Cristo nell’eucaristia e, sì, riescono ancora a vedere il loro prete come uno molto diverso dal gruppo di abusanti e dei loro ipocriti protettori.

Le persone vengono perché ancora trovano Dio a messa e possono ancora pregare con un prete umile abbastanza da guidare l’assemblea nella preghiera e nel culto. Sì, ci sono ancora molti preti che hanno fatto il loro lavoro, hanno celebrato i sacramenti, hanno predicato ancora e ancora il Vangelo, hanno mantenuto i propri voti e, nei nostri tempi, hanno pianto con coloro che piangono. Contro la lamentela che tutti i “buoni” preti sono in realtà dei cospiratori, le loro storie devono essere ascoltate come una più che adeguata replica alla posizione “guardami” di Carroll e di Orsi.

Coasa fare del ministero ordinato?

Campus dell’Università di Harvard

Con la mia storia ritengo di poter pure io controbattere al riferimento di Carroll e di Orsi alle proprie radici cattoliche: nato e cresciuto cattolico e, come ho scritto sopra, da più di 50 anni gesuita, da più di 40 anni prete. Se Carroll e Orsi vogliono ricordarci che sono cattolici che anelano ad un cattolicesimo senza preti, benché sacerdote e celibe sono riuscito a vivere nello stesso mondo reale di Carroll e Orsi e restare prete. Vedo le stesse cose che vedono loro, ciò nonostante continuo a pregare con la comunità la domenica e spesso durante la settimana. Alla mattina presto prego di fronte al Santissimo Sacramento.

Anch’io ho scritto libri accademici. Anche io posseggo una cattedra da professore (non benché sia prete, ma come prete). Resto nella Chiesa non per pigrizia o per ignoranza riguardo alla grandezza della crisi, né perché ho sbagliato a comprendere la “religione” correttamente, né certamente perché non ho altre opzioni. Resto un vero credente: Dio ancora viene a noi; i sacramenti ancora funzionano; la gente ancora crede e prega; i preti, anche quando siamo meno santi dei nostri parrocchiani e studenti, hanno un ruolo necessario da giocare nella santa Chiesa di Dio. Non è più onesto o acuto chiedere l’abolizione del sacerdozio piuttosto che insistere sulla sua redenzione.

Compagnia radicale

Eliminare il ruolo del prete sarebbe dimenticare che la Chiesa è essenzialmente una comunità sacramentale, nella quale Dio ha infuso la sua santità. Dio rende la Chiesa santa nella sua materialità, nelle cose di questo mondo, così come sono: sempre peccatrice, mai perfetta, tuttavia sempre e ancora un luogo reso santo dalla scelta di Dio di abitarvi. Pane comune e vino comune diventano il corpo e sangue di Cristo; una comune comunità umana si sorprende di scoprirsi (ancora) il Corpo di Cristo che ci consegna il suo corpo e il suo sangue, non per disgustarci ma per inserirci in una radicale compagnia con Dio e tra di noi, una partecipazione dalla quale non è facile tornare indietro.

Persone ordinarie diventano preti perché sono chiamate da Dio e dalla comunità per prendere questo ruolo. Essere un prete e un celibe è un modo per essere santi in un mondo che ha un bisogno disperato di tale testimonianza. Che tutto il popolo di Dio sia santo e capace di parlare e agire in nome di Dio non esautora questo speciale, duraturo ruolo nella comunità. Che ci sia un sacerdozio non significa che i preti abbiano la licenza di limitare o controllare il sacro, come se proteggessero la presenza di Dio dalla gente. Il sacro è in ogni caso ben oltre il potere dei burocrati.

Redimere il sacerdozio, sì. Riconnetterlo alla santità di Dio e incominciare seriamente a immaginare una Chiesa cattolica nella quale chiunque del popolo di Dio può essere chiamato a questo privilegio e a questo fardello. Questa è la nostra speranza contro ogni speranza, andando ben oltre le proposte appassionate (pur tuttavia incapaci) di bandire del tutto il sacerdozio.

L’articolo è stato pubblicato su America (originale inglese qui). Si ringrazia l’autore per il permesso di pubblicazione in italiano su SettimanaNews.

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