Il prete e la sua immagine

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prete in Francia

Un’immagine plurale, sorprendentemente stabile e positiva: è quella del prete in Francia. Un’inchiesta promossa dal quotidiano cattolico La Croix (3-5 giugno) su un campione di 2.000 persone fra aprile e maggio sembra raccontare una storia diversa non solo rispetto alle sfide e difficoltà dei diretti interessati e delle comunità ecclesiali, ma soprattutto alla scialba e marginale fotografia che i media consegnano. Come se, al di là di ciò che i media raccontano e che le comunità cristiane e i preti avvertono, vi sia un giudizio complessivo di maggiore continuità e poco permeabile alle variazioni immediate.

Il sacerdote è un uomo disponibile (76%), affidabile (68%), aperto (65%), moralizzatore (65%), di riferimento (51%). È autoritario solo per il 32%. I preti sono utili per la trasmissione dei valori (62%), per la ricerca di senso (59%), per la coesione sociale (88%). Lontani dalla realtà li ritiene il 56% degli intervistati. In forte contrazione numerica – fra il 2005 e il 2015 sono scesi da 16.075 a 11.908, e di questi ultimi solo 5.800 sono in età attiva – fortemente provati dalle denuncie di abusi e da condanne clamorose negli ultimi tre anni, travolti da un processo secolarizzante che ne ha svuotato il ruolo pubblico, i preti godono di un giudizio che conosce differenze contenute nell’arco degli ultimi 25 anni.

Francia: sorpresa e incertezza

Sono considerati uomini di ascolto (83%), allo stesso livello dell’inizio degli anni ’90, figure prossime al vissuto degli altri (in crescita dal 67% al 71%), testimoni di Dio (dal 53% al 52%), persone felici e realizzate (dal 39% al 50%). In calo significativo la qualifica di «uomo necessario alla società» (dal 71% al 56%). Sobri e non casualmente critici i commenti di alcuni preti. «Quando leggo che il 50% dei francesi giudicano il prete un uomo felice e realizzato, trovo che sia davvero poco… Significa che una persona su due che mi incrocia lungo la strada mi giudica un frustrato». «Se i francesi ci trovano disponibili all’ascolto, tanto meglio, ma personalmente credo che noi preti manchiamo spesso di prossimità con la gente. Sarebbe necessario avere più tempo e territori meno estesi, in particolare nelle campagne».

Gli stessi indicatori hanno risultati diversi e talora divergenti quando applicati ai frequentanti e ai non frequentanti (ma che si considerano cattolici). I preti sono considerati disponibili rispettivamente per il 91 e l’81%, affidabili (98 e 79%), aperti (89 e 76%), moralizzanti (53 e 65%), di riferimento (90 e 60%). Sono autoritari? Sì per il 22% dei frequentanti e 30 per i non frequentanti. Utili per la trasmissione dei valori (98 e 75%), per la ricerca di senso (94 e 69%), per la coesione sociale (90 e 66%). Lontani dalla realtà li considera il 29 e 50%.

I frequentanti sono molto più ottimisti e positivi nei loro giudizi e meno severi nelle indicazioni critiche (moralizzatori e lontani dalla realtà). I non frequentanti hanno un livello di valutazione più alto rispetto ai francesi comuni, ma non significativamente distanti all’opinione più diffusa, in particolare sulle note più critiche.

Italia: il pericolo accidia

La dolorosa vicenda delle denunce e delle condanne per gli abusi sessuali da parte di alcuni preti ne minaccia l’immagine per il 65% dei francesi, per il 42% dei praticanti e per il 79% dei non praticanti. Un anziano sacerdote commenta così i risultati sulla domanda relativa alla lontananza dalla realtà: «Da quali realtà? Anzitutto c’è la questione sessualità, con l’idea che, a causa del celibato, il prete non conosca le gioie della vita di coppia, ma anche le difficoltà relative alla gestione familiare. Per la nostra vita noi siamo a margine di alcune esperienze comuni nella nostra società come la disoccupazione, il rischio di perdere la casa o l’incertezza sulla cura della propria vecchiaia.

Altro elemento, l’uso del tempo: molti francesi hanno l’impressione che i preti non fanno gran che perché riducono la loro attività alla celebrazione della messa e dei sacramenti».

Per alcuni commentatori l’immagine complessiva è sfuocata, perché soffre di una sostanziale rimozione dal dibattito pubblico. «I preti sono poco visibili nel lavoro di trasformazione sociale. Non “serviamo” più a niente» (J. Rouet). Appartiene al passato e i suoi effetti si prolungano senza un reale riscontro vitale. Infatti, se il 76% dei francesi hanno avuto uno o più contatti con un prete, i giovani scendono al 51%. «Ma il fatto che il 51 % dei giovani fra 18 e 24 anni abbiano avuto un contatto con un preti non è cosa da poco – commenta suor N. Becquard. Soprattutto quando si sa che solo un terzo di questa fascia di età si dice cattolica. Ciò significa che la Chiesa, attraverso i suoi preti, ha ancora un contatto con la metà di una generazione».

Il prete ha ancora uno spazio significativo di attesa anche da parte dei giovani, anche se la percezione diffusa è assai meno attrezzata a capire i suoi problemi, la difficile gestione delle parrocchie e i nuovi ambiti di impegno (come l’insegnamento o la cura degli scout o l’evangelizzazione di strada).

Difficile operare una semplice trasposizione con la situazione italiana dove la dimensione popolare della Chiesa è ancora vitale e le figure ministeriali assai più visibili che nel paese d’Oltralpe. Ma è significativo che un vescovo come F.G. Brambilla (Novara) indichi nell’accidia il pericolo più grave per i preti e i pastori. «Il pericolo incombente è quello dell’accidia pastorale. Essa fa capolino nel vissuto di tanti pastori, vescovi e preti, ma anche di molti collaboratori laici, uomini e donne. È una sorta di torpore, di rassegnazione che attraversa stancamente le parole e i gesti, che si trascina senza smalto osservando la perdita di incidenza delle comunità cristiane nel tessuto umano. La marginalità del cristianesimo sembra narcotizzare la coscienza, prima che l’annuncio e la cura delle persone» (Liber pastoralis, Queriniana, Brescia 2017, pp. 8-9).

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