Processi di cambiamento e leadership

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leadership

Nel processo di cambiamento non c’è solo un andare verso qualcosa, ma anche un elemento di trasformazione personale. È necessario essere sempre attenti ad esercitare l’arte della vita, per dirla con Bauman, in un «mondo liquido-moderno», trovandosi così «in uno stato di trasformazione permanente».

L’approccio della leadership trasformazionale è fondamentale per tutti coloro che devono ricercare nuovi modi di risolvere le sfide quotidiane e presuppone l’applicazione di un processo creativo.

Transazione vs. trasformazione

Si tratta di due paradigmi diversi di cambiamento: il cambio transazionale e il cambio trasformativo. Il cambio transazionale tende a passare da uno stato vecchio della situazione a un stato desiderato attraverso un processo di transizione. In questo paradigma si trasforma solo la realtà oggettiva percepita staccata dagli agenti e quindi si può trattare solo di un processo di cambiamento tecnico.

La trasformazione è invece un paradigma che induce a un processo più complesso e mette in gioco, in una interdipendenza stretta, il cambiamento della realtà con la trasformazione degli agenti. Nella leadership trasformazionale siamo in presenza di un pastore simile ad un artista che modifica anche sé stesso mentre realizza il suo impegno.

Purtroppo, non sempre riusciamo a fare pace con quella verità che abita la vita dal di dentro e che il grande teologo francese Henri de Lubac sintetizzò con queste parole: «La vita è sempre trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto».

Eppure, nel cuore del Vangelo, c’è un invito che Gesù ci rivolge: convertitevi. Cioè, cambiate, mettete in discussione le certezze consolidate, riposizionate in modo nuovo lo sguardo su voi stessi e sulla vita. John Henry Newman, oggi santo, affermava: «vivere è cambiare, ed essere perfetti significa aver cambiato molte volte».

La formazione richiede oggi modelli e teorie innovativi, capaci di innescare processi autenticamente trasformativi, in grado di fare la differenza, di modificare emozioni e idee, di incidere sulle relazioni e sui contesti, sui processi organizzativi e forse, nel lungo periodo, sul sistema sociale più ampio.

In ognuno di noi esiste quindi un seme, che va aiutato a germogliare. Per ciascuno di noi la pianta che potrà svilupparsi sarà diversa: una avrà bisogno di luce, un’altra di umidità, un’altra ancora dovrà essere sempre esposta al sole e non vorrà essere bagnata. E ci sono anche le piante carnivore. Ogni pianta ha bisogno di attenzioni diverse, ma ciascuna, se coltivata, può germogliare e crescere.

Dio trasforma dal di dentro, non fa violenza alcuna, rispetta i nostri tempi di maturazione, non forza le cose, conosce la gradualità. Quello che opera in noi è una trasformazione, non un violento sradicare.

Trasformazione significa: tutto in me ha diritto di esistere, anche le mie passioni, le mie malattie, le mie fragilità; mi apprezzo per come sono e mi accolgo; tuttavia, nelle mie nostalgie più profonde e nei desideri che porto nel cuore, nelle mie domande e nei miei dubbi, nei miei fallimenti e nei miei sogni, io avverto di essere fatto per un di più, di non essere ancora ciò che potrei essere, di non vivere ancora pienamente la bellezza della vita. Non sono sbagliato, ma ho bisogno di continue trasformazioni che mi aiutino a crescere.

Si tratta di un movimento di trasformazione personale che ciascuno può intraprendere. È un movimento volto a stimolare un processo creativo che realizzi un cambiamento radicale, personale e professionale (ministeriale). Il pastore è come un artista che «modifica anche se stesso mentre realizza il suo impegno».

Scrittura e trasformazione

La storia d’amore tra Dio e noi, narrata dalla sacra Scrittura, è una storia di continue trasformazioni. Il mare viene trasformato in terra ferma quando gli israeliti devono fuggire dalla schiavitù nel deserto e, così, il pericolo mortale si trasforma in una via di salvezza: la mia più grave minaccia o situazione di debolezza può diventare una via nuova per ricominciare, una nuova esperienza di Dio, una nuova percezione del mondo.

Quando gli israeliti hanno sete, la roccia viene trasformata da Dio in una sorgente d’acqua: Dio trasforma la rigidità della roccia e, dall’aridità, fa sgorgare l’acqua fresca appena Mosè batte col bastone sulla pietra: quando qualcosa si abbatte sulla nostra vita, ci scuote e ci colpisce come ha fatto la pandemia, possiamo anche essere risvegliati, essere smossi fino a generare acque nuove, che ci dissetano.

I vangeli ci fanno vedere che tutti coloro che si mettono a seguire Gesù, diventando suoi discepoli, si lasciano trasportare da un’avventura che li trasforma: Matteo lascia il banco con i soldi, Pietro, Giacomo e Giovanni lasciano le reti. Tutti coloro che Gesù tocca vengono guariti, cioè la loro vita si trasforma e la loro malattia diventa luogo della manifestazione dell’amore di Dio e si tramuta in vita. Nell’ultima cena, Gesù prende il pane e il vino e li trasforma.

Il processo per diventare discepolo prevede una trasformazione attraverso tre stadi: incontro, apprendistato, e relazione intima con la comunità visibile dei discepoli, la Chiesa. Il paradigma del discepolato sfida il discepolo a camminare costantemente con Gesù, a imparare continuamente da Gesù, a partecipare assiduamente alla missione di Gesù, e a condividere premurosamente la vita della comunità dei discepoli all’interno di un progetto rinnovato della Chiesa particolare.

Formazione

A questo punto bisogna far notare come la formazione permanente integrale non può essere altro da una trasformazione. Formare è trasformare (Bildung e Umbildung). Ogni processo formativo trova il suo completamento quando mi lascio trasformare interiormente da ciò che intuisco (o capisco) come importante per me.

Quando la formazione propende alla sola discussione argomentata sui processi educativo-ecclesiali della pastorale, della vita religiosa, senza lasciarsi coinvolgere nelle viscere e nella carne del proprio vissuto, rischia di cadere in una sorta di idrocefalia formativa.

La formazione, termine che ha spiazzato senza colpo ferire l’educere dell’educazione a vantaggio della messa-in-forma, riproduce invece in forme cinesi le sagome umane, e oggi può anche aspirare a clonarle. Perciò, preferiamo qui richiamare e rilanciare quella che Vico definiva l’estrazione delle forme, ossia la capacità di un’autodeterminazione attiva e partecipe dell’io in svolgimento.

Potremmo parlare di formazione o meglio di educazione dello sgomitolamento, inteso come farsi dell’uomo attraverso l’esperienza del provare e riprovare, traendo dall’esperienza tutto il necessario materiale di supporto (dubbi, errori, incertezze) per l’autoapprendimento.

Si tratta di trasformazione, cioè di Umbildung, di una “autodeterminazione attiva e partecipe” di un io in svolgimento.

La formazione è un movimento proattivo che spinge a ricercare nuove soluzioni alle sfide che si devono affrontare. Questo esige un clima favorevole alla trasformazione.

Il processo si è fatto sempre più dialettico, plurale e dismorfico: meno compatto, lineare, evolutivo. La “formazione dell’uomo in quanto uomo” ora è risveglio, ora è tensione, ora scansione di tappe, ora è sintesi, ma provvisoria, sub judice, passibile di mutamenti (Umbildung, appunto) sempre e per statuto, oggi. E poi, è processo vissuto e non ideale, non universale ma individuale, è processo che crea gerarchie, ma anche le rimescola, creando aperture, introducendo crisi (di modelli e di equilibri). Un processo inquieto, tipico dell’uomo postmoderno: senza certezze, senza Grandi Racconti, aperto sul magma del fare-esperienza, ma per il quale deve tener ferma la bussola della “formazione di sé”.

Nel nostro tempo – ancor più a causa dell’evento pandemico – sono diverse le cose che dentro e intorno a noi desideriamo siano trasformate; non serve far finta che va tutto bene e che possiamo riprendere la vita di prima senza interrogarci e senza cambiare. Dobbiamo permettere che gli eventi vissuti e la presenza di Dio ci trasformino nel nostro modo di essere, di pensare e di agire.

Clima favorevole

Per clima bisogna intendere tutti gli schemi di comportamento ricorrenti, gli atteggiamenti e i sentimenti che caratterizzano la vita nell’organizzazione, ovvero ciò che i membri dell’organizzazione sperimentano.

L’importanza del clima nei processi di cambiamento è legata ad almeno tre motivi principali.

In primo luogo, il clima è capacità di innovazione e crescita. Le organizzazioni vincenti sono quelle che non lasciano al caso il clima o l’atmosfera che si respira nell’ambiente operativo, ma hanno persone capaci di mettere in piedi processi deliberati per la generazione e la gestione delle idee, creando così un “produttivo”.

In secondo luogo, il clima è un fattore chiave per aiutare le organizzazioni a gestire il cambiamento.

In terzo luogo, il clima è la chiave del benessere dell’ambiente umano delle organizzazioni in quanto migliora la fiducia tra le persone e riduce i comportamenti di ricerca di protezione e favorisce l’allontanamento dalla paura.

Dimensioni di un clima favorevole alla trasformazione

Esistono strumenti specifici che consentono di misurare il clima delle diverse organizzazioni. Uno di questi è il Situational Outlook Questionnaire® (SOQ), un questionario molto noto e ampiamente testato a livello internazionale, che individua una griglia di nove dimensioni in base alle quali valutare il clima in relazione al cambiamento, all’innovazione e alla creatività.

  1. Sfida/Coinvolgimento: livello di coinvolgimento delle persone nelle attività quotidiane, negli obiettivi a lungo termine e nella visione dell’organizzazione.
  2. Libertà: livello di indipendenza dimostrato dalle persone nell’organizzazione.
  3. Fiducia/Apertura: sicurezza emotiva nelle relazioni interne. Quando esiste un alto livello di Fiducia/Apertura, le persone si sentono più libere di dire ciò che pensano e tendono ad avere rapporti più schietti e sinceri.
  4. Tempo per le idee: tempo che le persone possono dedicare, ed effettivamente dedicano, a elaborare nuove idee.
  5. Giocosità/Humour: spontaneità e leggerezza manifestate nei contesti delle organizzazioni. Un comportamento allegro e scherzoso e un’atmosfera rilassata (fonte di riduzione dello stress) sono indicatori di alti livelli di Giocosità e Humour.
  6. Conflitto: presenza di tensioni personali ed emotive (è una dimensione negativa in contrasto con la dimensione del dibattito). Un livello di conflitto elevato è fonte di ostilità, calunnie, pettegolezzi e persino scontri fra le persone.
  7. Supporto alle idee: trattamento riservato alle nuove idee. Un valore alto indica che idee e suggerimenti vengono accolti con attenzione e professionalità. L’ascolto reciproco è elevato.
  8. Dibattito: emergere di un’aperta discussione tra punti di vista, idee, esperienze e conoscenze. Quando il valore è alto, è incoraggiato un aperto scambio fra voci e punti di vista differenti.
  9. Assunzione di rischio: tolleranza verso l’incertezza e l’ambiguità. In un clima di elevata disponibilità all’assunzione di rischio, si possono prendere decisioni anche in assenza di certezze e di informazioni complete. È possibile esprimere liberamente nuove idee senza la preoccupazione di esporsi.
Quale tipo di leadership?

Anzitutto una precisazione: i termini carismatico (House 1977) e trasformazionale (Bass 1985), nascono intenzionalmente per spiegare l’influenza eccezionale di alcune persone e il loro successo altrettanto eccezionale nel motivare gli altri membri a prestazioni sopra la media, sebbene i due concetti non siano simili nell’oggetto di studio.

Nei modelli della leadership carismatica, l’attenzione è portata sull’azione della persona del leader: come articola ad esempio, la visione presente e quella futura dell’organizzazione entusiasmando i membri, come si propone in qualità di modello, come mette in atto alcune linee d’azione e via dicendo.

La leadership trasformazionale sarebbe orientata invece a favorire cambiamenti nel modo di pensare e di agire dei membri dell’organizzazione. Il carisma è necessario per essere un leader trasformazionale, ma non basta per avviare processi di modificazione culturale, che si giocano attraverso una relazione.

La riprova di ciò è che i capi carismatici tendono a essere pochi, a collocarsi ai vertice della gerarchia e a suscitare reazioni emozionali estreme, di incondizionata accettazione o di rifiuto estremo, senza soluzione di continuità.

La leadership trasformazionale invece, può essere esercitata da più persone e a più livelli nell’organizzazione: il rapporto che sta alla base è caratterizzato da un aiuto allo sviluppo, non da un rapporto di dipendenza alle persone (si pensi al motu proprio di papa Francesco circa i fondatori dei movimenti).

La leadership trasformazionale attribuisce grande valore allo sviluppo della persona e della sua autonomia (soprattutto quando autonomia e sviluppo vengono messi al servizio dell’organizzazione).

Ma chi sono i leader trasformazionali? I leader trasformazionali sono leaders che sono capaci di infondere al resto del gruppo qualche forma di visione o ispirazione che li motiva a trascendere i comuni obiettivi di prestazione e a compiere uno sforzo nell’interesse collettivo.

La leadership trasformazionale si traduce in un aumento della prestazione in ogni situazione, ma in particolare in momenti di crisi e di cambiamento. Ma la leadership trasformazionale è altrettanto utile quando la situazione è più stabile.

Trasformazione e leadership

Il metodo alla base della leadership trasformazionale viene definito come metodo delle “quattro I”:

  • Influenza Idealizzata,
  • Motivazione Ispirazionale,
  • Stimolazione Intellettuale,
  • Considerazione Individualizzata.

Vediamole una per una.

Influenza idealizzata. I leader mettono in atto comportamenti tali da renderli dei modelli di ruolo per i collaboratori. Verso di loro c’è ammirazione, rispetto e fiducia. I collaboratori si identificano con i leader e vogliono emularli.

Ciò avviene anche perché il leader considera le necessità degli altri superiori alle proprie, condivide il rischio con i collaboratori, si comporta in modo coerente e non arbitrario. Si può contare su di lui perché faccia le cosa più giusta, dimostrando elevati livelli di condotta etica. Egli/Ella evita di usare il potere per interesse personale, e lo usa solo quando è veramente necessario.

Motivazione ispirazionale. I leader si comportano in modo tale da motivare e ispirare chi sta intorno a loro, rendendo significativo e sfidante il lavoro dei loro collaboratori, e ciò origina spirito di gruppo e genera entusiasmo e ottimismo. Il leader coinvolge i collaboratori nell’immaginare situazioni future attraenti.

Il leader crea aspettative, comunicate in modo chiaro, che i collaboratori vogliono soddisfare, e dimostra inoltre impegno verso gli obiettivi e la visione condivisa.

Stimolazione intellettuale. I leader trasformazionali stimolano gli sforzi dei loro collaboratori per essere innovativi e creativi mettendo in discussione ciò che era dato per scontato, ridefinendo i problemi e affrontando vecchie situazioni in modo nuovo. La creatività viene incoraggiata.

Non vi sono critiche pubbliche degli sbagli commessi dai singoli membri del gruppo. Nuove idee e soluzioni creative dei problemi sono richieste ai collaboratori, coinvolti nel processo di definizione dei problemi e ricerca di soluzioni. Si incoraggiano i collaboratori a tentare nuovi approcci, e le loro idee non vengono censurate solo in quanto differenti da quelle del leader.

Considerazione individualizzata. I leader trasformazionali sono estremamente attenti alle necessità di successo e di crescita di ciascuno e si comportano come allenatori e mentori. La considerazione individualizzata è praticata attraverso la creazione di nuove opportunità di apprendimento nell’ambito di un clima supportivo.

Sono riconosciute le differenze individuali in termini di bisogni e di desideri. Il comportamento del leader dimostra l’accettazione di tali differenze. Le interazioni sono personalizzate, e il leader è capace di considerazione individualizzata, è empatico e capace di ascolto. Egli delega le attività come mezzo per sviluppare i collaboratori. Le attività delegate vengono monitorate per verificare se i collaboratori necessitano di ulteriori indicazioni e supporti e per valutare i progressi.

In sintesi, il cambiamento è prima di tutto una questione di trasformazione personale. Bisogna allenare il proprio pensiero creativo – coltivando ad esempio curiosità e immaginazione – per compiere una trasformazione personale e professionale al fine di operare cambiamenti creativi nel contesto in cui si opera.

Ognuno deve avvertire la responsabilità di nutrire nella quotidianità il giusto clima per generare innovazione. Per questo pone la sua attenzione sul sincerarsi che alcune dimensioni del clima siano adeguatamente presenti e rese vive.

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