Dire Dio in anuak /4

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Una recente statistica ha messo in evidenza come la gente africana ponga la salute tra le priorità della vita. Vivendo e assistendo – da questo angolo del mondo – alla afflizione prodotta da tante malattie che nel nostro occidente sono ormai considerate banali, ciò risulta del tutto comprensibile.

Comprensibile – di conseguenza – è la partecipazione numerosa della gente africana agli incontri di preghiera promossi dalle varie chiese evangeliche, ove l’invocazione dello Spirito per la guarigione, costituisce il momento più atteso.

In Africa la richiesta di esorcismi e di guarigioni sono all’ordine del giorno: la medicina occidentale non basta o semplicemente non è arrivata sin qui o comunque non soddisfa, anche quando offre risultati. L’africano ha bisogno di confidare in qualcosa che conferisca a sé e ai familiari – in unità di corpo e di spirito – maggiore sicurezza.

Nella cultura anuak – come in genere nell’Africa nera sub-sahariana – Gesù è visto quindi come Colui che ha la facoltà di sanare e di guarire tutta la persona, perché ha combattuto contro le forze demoniache, contro la malattia, la paura e la stessa morte. Contro ciascuno dei mali radicali della vita Gesù ha riportato la vittoria e ora vive al di sopra di ogni assalto.

Così attira la buona attenzione di tanta povera gente alle prese con la malattia e con la disdetta. Gesù è il modello e la speranza. È la figura che consente di attribuire ai miti ancestrali un senso nuovo. Finalmente è possibile per l’anuak la soddisfazione del bisogno di conoscere – vedere e toccare – sperimentando in Gesù Cristo, appunto, il grande guaritore dai mali di cui altrimenti non ci si può liberare. Ma non solo.

La comprensione tipicamente africana di Gesù racchiude in sé, unitariamente, tutti gli aspetti cosmici, personali e comunitari del vivere. Gesù non è soltanto il guaritore delle malattie del corpo, ma l’autentico salvatore e liberatore dell’umano. Perché – qui – guarigione e salvezza stanno sempre insieme.

Facilmente ricordo che anche nella cultura ebraica, biblica – proprio ai tempi di Gesù, nostro Signore – si ponderava così: solo successivamente si è pensato bene di distinguere e di separare. Non è forse vero che abbiamo perduto – più che guadagnato -, in tal modo, qualcosa di importante?

Quindi è del tutto normale – mi sto ora dicendo – che i missionari e i preti cristiani possano trovare credito agli occhi degli africani solo se tengono ben presente la loro quotidiana ricerca di salute e di affermazione di vita, in quanto tale. Perciò il teologo africano Bénézet Bujo ha scritto: “La Chiesa in Africa deve sempre più diventare una comunità di guarigione”.

Penso pertanto che grande importanza vada conferita al “ministero della guarigione”, con le dovute conseguenze e cautele. Provo ad esprimerne alcune.

Non si tratta evidentemente di perseguire guarigioni momentanee, così come vengono promesse nelle tante chiese che continuamente nascono e muoiono in Africa. Gesù non ha guarito tutti e non ha guarito “momentaneamente”: le guarigioni apportate da Gesù sono personali, profonde e durature.

Gesù guarisce, non evidentemente il ministro. Il prete lo sa bene. Occorre dunque prestare molta attenzione a qualsiasi forma di personalizzazione o impossessamento del potere di guarire. Il primo a scongiurare tale rischio è Gesù stesso, dai vangeli: “E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno” (Mc 8,29-30).

Estrema cautela deve essere posta nella pratica dei riti e nell’uso di materie che si possono prestare ad ambigue interpretazioni circa l’origine delle guarigioni: se è vero che la cultura africana ha bisogno di vedere segni molto concreti, nello stesso tempo è preparata a riconoscere il primato dello spirituale.

Bisogna stare ben attenti a non attribuire a Gesù nomi e definizioni tipiche dei guaritori tradizionali africani. In ogni villaggio – anche nella zona in cui vivo in Etiopia – rimane la figura a cui la gente si rivolge quando rimane delusa. La predicazione dei missionari ha fatto diventare queste persone “cattive”, da evitare, ma la gente non ne ha paura e ne fa spesso ricorso. Non sono cattive. Ma Gesù non appartiene alla loro categoria. È ben Altro.

Si deve inoltre aiutare a distinguere l’uomo di medicina, sia pure africana tradizionale, dallo stregone o dal mago. Sono figure diverse e agiscono in campi diversi. Se il primo agisce comunque per la salute, il secondo interviene, nel bene e nel male, nelle relazioni della persona ritenuta malata, della sua famiglia o del suo gruppo.  Spesso i risultati sono di inimicizia e di divisione.

Per queste ragioni definire Gesù “semplicemente” un guaritore, ovvero un uomo di medicina, è fuorviante. Gesù è anzitutto guaritore perché conosce in profondità ogni persona umana: non ha bisogno delle primizie della terra o di suppellettili per fare diagnosi dell’animo.

Osservo con gioia che questo viene capito e apprezzato dagli africani anuak. E questo perché, quando Gesù guarisce, usa altri modi umani, molto umani: entra in relazione, tocca i corpi malati, spalma fango e saliva sugli occhi, comanda agli spiriti, pronuncia nell’aria parole che guariscono anche a distanza. Sappiamo.

La Chiesa può offrire dunque normalmente ai popoli africani servizi di guarigione: attraverso le preghiere e i sacramenti, ma, insieme, con servizi sanitari, ospedalieri e con opere di carità; soprattutto con la bontà di Gesù.

Ecco: io penso di non poter fare altro – qui in Africa – che cercare di propagare la capacità di guarigione propria di Gesù Cristo. Ritengo possibile che la persona di Gesù possa penetrare al cuore della cultura africana – “inculturandosi” – attraverso una pratica di guarigione diffusa così intesa.

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