Ottobre missionario: “Eccomi, manda me”

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La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé. Missionari in tempo di pandemia.

Cari fratelli e sorelle,

desidero esprimere la mia gratitudine a Dio per l’impegno con cui in tutta la Chiesa è stato vissuto, lo scorso ottobre, il Mese missionario straordinario. Sono convinto che esso ha contribuito a stimolare la conversione missionaria in tante comunità, sulla via indicata dal tema “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.

In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da covid-19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?» (ibid.).

Questa chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale. «Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti” (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme» (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020).

Siamo veramente spaventati, disorientati e impauriti. Il dolore e la morte ci fanno sperimentare la nostra fragilità umana; ma nello stesso tempo ci riconosciamo tutti partecipi di un forte desiderio di vita e di liberazione dal male. In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da sé stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé.

Nel sacrificio della croce, dove si compie la missione di Gesù (cf. Gv 19,28-30), Dio rivela che il suo amore è per ognuno e per tutti (cf. Gv 19,26-27). E ci chiede la nostra personale disponibilità ad essere inviati, perché egli è Amore in perenne movimento di missione, sempre in uscita da sé stesso per dare vita. Per amore degli uomini, Dio Padre ha inviato il Figlio Gesù (cf. Gv 3,16).

Gesù è il Missionario del Padre: la sua Persona e la sua opera sono interamente obbedienza alla volontà del Padre (cf. Gv 4,34; 6,38; 8,12-30; Eb 10,5-10). A sua volta Gesù, crocifisso e risorto per noi, ci attrae nel suo movimento di amore, con il suo stesso Spirito, il quale anima la Chiesa, fa di noi dei discepoli di Cristo e ci invia in missione verso il mondo e le genti.

«La missione, la “Chiesa in uscita” non sono un programma, un’intenzione da realizzare per sforzo di volontà. È Cristo che fa uscire la Chiesa da sé stessa. Nella missione di annunciare il Vangelo, tu ti muovi perché lo Spirito ti spinge e ti porta» (Senza di Lui non possiamo far nulla, LEV-San Paolo, 2019, 16-17).

Dio ci ama sempre per primo e con questo amore ci incontra e ci chiama. La nostra vocazione personale proviene dal fatto che siamo figli e figlie di Dio nella Chiesa, sua famiglia, fratelli e sorelle in quella carità che Gesù ci ha testimoniato. Tutti, però, hanno una dignità umana fondata sulla chiamata divina ad essere figli di Dio, a diventare, nel sacramento del battesimo e nella libertà della fede, ciò che sono da sempre nel cuore di Dio.

Già l’aver ricevuto gratuitamente la vita costituisce un implicito invito ad entrare nella dinamica del dono di sé: un seme che, nei battezzati, prenderà forma matura come risposta d’amore nel matrimonio e nella verginità per il Regno di Dio.

La vita umana nasce dall’amore di Dio, cresce nell’amore e tende verso l’amore. Nessuno è escluso dall’amore di Dio, e nel santo sacrificio di Gesù Figlio sulla croce Dio ha vinto il peccato e la morte (cf. Rm 8,31-39). Per Dio, il male – persino il peccato – diventa una sfida ad amare e amare sempre di più (cf. Mt 5,38-48; Lc 23,33-34). Perciò, nel mistero pasquale, la divina misericordia guarisce la ferita originaria dell’umanità e si riversa sull’universo intero.

La Chiesa, sacramento universale dell’amore di Dio per il mondo, continua nella storia la missione di Gesù e ci invia dappertutto affinché, attraverso la nostra testimonianza della fede e l’annuncio del Vangelo, Dio manifesti ancora il suo amore e possa toccare e trasformare cuori, menti, corpi, società e culture in ogni luogo e tempo.

La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Ma questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa.

Chiediamoci: siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria di tutti i giorni? Siamo disposti ad essere inviati ovunque per testimoniare la nostra fede in Dio Padre misericordioso, per proclamare il Vangelo della salvezza di Gesù Cristo, per condividere la vita divina dello Spirito Santo edificando la Chiesa? Come Maria, la madre di Gesù, siamo pronti ad essere senza riserve al servizio della volontà di Dio (cf. Lc 1,38)?

Questa disponibilità interiore è molto importante per poter rispondere a Dio: “Eccomi, Signore, manda me” (cf. Is 6,8). E questo non in astratto, ma nell’oggi della Chiesa e della storia.

Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. La malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore solo, di chi è abbandonato a sé stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di chi non ha casa e cibo ci interroga.

Obbligati alla distanza fisica e a rimanere a casa, siamo invitati a riscoprire che abbiamo bisogno delle relazioni sociali, e anche della relazione comunitaria con Dio. Lungi dall’aumentare la diffidenza e l’indifferenza, questa condizione dovrebbe renderci più attenti al nostro modo di relazionarci con gli altri.

E la preghiera, in cui Dio tocca e muove il nostro cuore, ci apre ai bisogni di amore, di dignità e di libertà dei nostri fratelli, come pure alla cura per tutto il creato.

L’impossibilità di riunirci come Chiesa per celebrare l’eucaristia ci ha fatto condividere la condizione di tante comunità cristiane che non possono celebrare la messa ogni domenica. In questo contesto, la domanda che Dio pone: «Chi manderò?», ci viene nuovamente rivolta e attende da noi una risposta generosa e convinta: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal male (cf. Mt 9,35-38; Lc 10,1-12).

Celebrare la Giornata missionaria mondiale significa anche riaffermare come la preghiera, la riflessione e l’aiuto materiale delle vostre offerte sono opportunità per partecipare attivamente alla missione di Gesù nella sua Chiesa. La carità espressa nelle collette delle celebrazioni liturgiche della terza domenica di ottobre ha lo scopo di sostenere il lavoro missionario svolto a mio nome dalle Pontificie opere missionarie, per andare incontro ai bisogni spirituali e materiali dei popoli e delle Chiese in tutto il mondo per la salvezza di tutti.

La santissima Vergine Maria, stella dell’evangelizzazione e consolatrice degli afflitti, discepola missionaria del proprio Figlio Gesù, continui a intercedere per noi e a sostenerci.

Roma, San Giovanni in Laterano,
31 maggio 2020, Solennità di Pentecoste
Francesco

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