Storie di umanità in fuga

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cartello di confine

Un e-book e un film per raccontare con parole e immagini il cammino fatto da migliaia di invisibili che, seguendo la Rotta balcanica, attraversano nel silenzio il confine dai boschi di Trieste per raggiungere altre mete europee. È un flusso che aumenta in modo costante e che è meno conosciuto e documentato delle storie di mare e di barconi con a bordo gente disperata alla ricerca di una vita più decente. La stessa necessità, la stessa condizione di chi scappa per via di terra da guerre, persecuzioni, povertà e calamità naturali.

«Nel mondo una persona su 97 è in fuga», si legge nei primi minuti del film No borders. Flusso di coscienza, di Mauro Caputo, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. Un documento di denuncia che, dedicato alla memoria di Giorgio Pressburger, scrittore e regista ungherese naturalizzato italiano, prima di entrare nel vivo dell’argomento dà spazio alla voce di Salvini col suo «prima gli italiani» urlato in un comizio, e segue le tracce del passaggio di questa umanità in fuga.

Qualcuno non ce l’ha fatta

Tracce che assumono le sembianze di oggetti d’uso quotidiano lasciati nei boschi dove famiglie intere, molte delle quali provenienti dall’Iran, dal Pakistan, dall’Afghanistan, dalla Siria, passano la notte prima di rimettersi in marcia alle prime luci dell’alba successiva. Tubetti di dentifricio, spazzolini da denti, rasoi, blister di medicinali e flaconi di disinfettanti giacciono tra il fogliame e gli sterpi insieme a indumenti, borse, zaini e zainetti, di quelli che i bambini usano per andare a scuola.

La telecamera segue questo percorso in un silenzio rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dal rumore di rami calpestati da chi è andato alla ricerca di queste testimonianze. Mani guantate raccolgono da terra ciò che rimane di questo passaggio e che è stato abbandonato sul posto dai migranti forse per liberarsi di una zavorra divenuta ormai inutile e anche per cancellare ogni traccia della loro identità. È soprattutto il caso dei documenti di riconoscimento, dei decreti di espulsione fatti a pezzi e dei telefoni cellulari rotti dalla polizia. Così gli autori di questo lavoro di ricerca risalgono ad alcuni volti e nomi: Zahid, Babar, Afzal evocati dalla voce narrante. I loro documenti e fogli delle autorità di frontiera vengono ricostruiti per provare a ricavare qualche tassello della complessa storia di queste persone: donne e uomini, bambine, giovani.

Qualcuno non ce l’ha fatta perché è caduto in un burrone. È successo nel gennaio del 2020 a un algerino di 29 anni precipitato in un crepaccio di venti metri, di fronte agli occhi della moglie, «sotto le pareti rocciose del Monte Carso vicino al castello di San Servolo, una delle zone dove sono state effettuate le riprese del film». I soccorritori recupereranno il corpo del giovane ormai privo di vita. Insieme alla sua compagna e ad un’altra persona cercava di attraversare il confine fra Slovenia e Italia.

I migranti passano per i boschi in silenzio, quasi dei fantasmi, dopo aver attraversato i confini di Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Croazia. Molti di loro si sono affidati a trafficanti di uomini, talora hanno conosciuto respingimenti, torture, si sono fermati nei campi profughi. Strutture che si chiamano Lipa, distrutta da un incendio alla vigilia dello scorso Natale lasciando a lungo quasi mille profughi senza riparo tra neve e gelo, Vucjak, chiuso e smantellato: oltre mille persone vi hanno vissuto a lungo in condizioni disumane, Velika Kladuša, ormai smantellato, Miral, Bihać e ce ne sono molte altre. Per questa gente Trieste è la porta d’Europa; da lì, molti di loro proseguono il viaggio preferibilmente verso paesi come la Germania, la Francia, la Spagna.

«Indietro non si può tornare»

Film e e-book, si diceva all’inizio. Edito da Marietti, La porta d’Europa. Il confine italiano della rotta balcanica, è opera di Mauro Caputo e Donatella Ferrario, giornalista presso i periodici San Paolo, per anni attiva sul fronte della critica cinematografica come caporedattrice di testate online. L’opera si snoda in dieci brevi capitoli con immagini tratte dal film. Uno di essi è The game, come veniva chiamato «il superamento della frontiera tra Bosnia e Croazia e ora divenuto un triste appellativo esteso anche alle frontiere tra Croazia-Slovenia e Slovenia-Italia. The Game: in cui si rischia la vita – per la pericolosità del percorso, per le precarie condizioni fisiche. The Game: in cui si subiscono abusi e violenze soprattutto in terra croata».

Di fatto, scrivono gli autori: «Indietro non si può tornare». Il libro racconta che gli autori del film hanno percorso per un anno e mezzo quasi ogni giorno le piste del Carso triestino per ripercorrere i passi dei migranti. Ciò è avvenuto senza trovare mai controlli malgrado le centinaia di sconfinamenti. “Siamo sempre passati indisturbati, non abbiamo mai incontrato alcun genere di ostacolo” e ancora: “La sensazione è che questi mancati controlli siano in un certo senso ‘voluti’ e questo passaggio in qualche modo ‘tollerato’». Forse anche in considerazione del fatto che, come già precisato, la maggior parte di queste persone decide di proseguire per altre destinazioni europee.

Sono i protagonisti del fenomeno migratorio che il sociologo algerino Abdelmalek Sayad, citato nell’e-book, definisce «fatto sociale totale» e in riferimento alla figura del migrante parla di «doppia assenza»: «Una è l’assenza dell’immigrato dalla propria patria, l’altra è l’assenza dell’emigrato nelle cosiddette ‘società d’accoglienza’, nelle quali è incorporato ed escluso al tempo stesso». Una presenza, quella dell’immigrato, sempre caratterizzata, secondo Sayad, da uno stato di incompletezza esistenziale che si può intuire con senso di umanità ma che è comprensibile appieno solo per chi vive quest’esperienza sulla propria pelle.

Mauro Caputo, Donatella FerrarioLa porta d’Europa. Il confine italiano della rotta balcanica, Marietti editore, 2021, pag. 20.

No borders. Flusso di coscienza, Una coproduzione VOX Produzioni e A_LAB Production Regia: Mauro Caputo Direttore della fotografia: Daniele Trani Produttori esecutivi: Federica Crevatin e Debora Desio Musiche e sound design: Francesco Morosini Montaggio video: Mattia Palomba, durata: 65 minuti, 2020.

Articolo pubblicato sul sito di Micromega, 21 aprile 2021.

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