Borghesi: Il “pensiero” di papa Francesco

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La “semplicità” con cui si presenta papa Francesco è un punto d’arrivo che presuppone la complessità di un pensiero profondo e originale. Il filosofo Massimo Borghesi lo ricostruisce nelle sue radici, illuminando una personalità nella quale si coniugano esperienza pastorale, esperienza mistica e intellettuale. Lo ha intervistato Paola Zampieri dell’Ufficio Stampa della Facoltà teologica del Triveneto.

Nel vasto panorama dei libri pubblicati su papa Francesco, uno in particolare si distingue per l’originalità dell’aspetto trattato: la genesi e lo sviluppo del suo pensiero. Il volume si intitola Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica (Jaca Book 2017) e ne è autore Massimo Borghesi, ordinario di filosofia morale all’Università di Perugia, che il 29 maggio sarà a Padova, alla Facoltà teologica del Triveneto, per dialogare con il teologo Roberto Repole sul tema Jorge Mario Bergoglio – Papa Francesco: la formazione, il pensiero, l’opera. Biografia intellettuale e sogno di una Chiesa evangelica.

Lo abbiamo intervistato e ci ha spiegato come la simplicitas (“semplicità”) con cui si presenta papa Bergoglio sia un punto d’arrivo che presuppone la complessità di un pensiero profondo e originale, in una personalità nella quale si coniugano esperienza pastorale, esperienza mistica e intellettuale.

– Professor Borghesi, c’è un pregiudizio, specie in ambiente ecclesiale e accademico, che grava sull’immagine di Bergoglio: che il suo pensiero sia troppo “semplice”, troppo poco fondato su un impianto teologico-filosofico.

Si tratta di un pregiudizio particolarmente forte tra i detrattori del papa, che si è trovato sulle spalle la difficile eredità di Benedetto XVI, uno dei grandi teologi del ‘900. Venendo dopo un pontificato fortemente marcato sul piano intellettuale, lo stile pastorale di Bergoglio è apparso a molti come troppo “semplice”, non adeguato alle grandi sfide del mondo metropolitano, secolarizzato. Al papa venuto dall’altro capo del mondo si rimprovera, in Europa e negli Stati Uniti, di non essere “occidentale”, europeo, culturalmente preparato.

– C’è, invece, un pensiero originale dal punto di vista teologico-filosofico? E qual è?

Personalmente, prima di scrivere la mia Biografia intellettuale di Bergoglio, avevo letto alcuni testi di lui che mi avevano molto colpito. Tra questi, alcuni discorsi della seconda metà degli anni ‘70, allorché era giovane Provinciale dei gesuiti argentini. Ne avevo tratto una forte impressione. Ciò che mi aveva colpito era il “pensiero” che sorreggeva le sue argomentazioni. Bergoglio si rivolgeva ai suoi confratelli che soffrivano la dilacerazione di una situazione drammatica.

L’Argentina di allora era retta dalla giunta militare che gestiva, con mani lorde di sangue, la repressione del fronte rivoluzionario dei Montoneros. Di fronte a questo conflitto la Chiesa era profondamente divisa tra fautori del governo e quelli schierati con la rivoluzione. Per Bergoglio questa dilacerazione della società era uno scacco anche per la Chiesa, che si era dimostrata incapace di unire il popolo.

– Nell’Argentina degli anni ’70 Bergoglio aveva un ideale?

Il suo ideale era quello del cattolicesimo come coincidentia oppositorum, come superamento di quelle opposizioni che, radicalizzate, si trasformano in insanabili contraddizioni. Questo ideale era espresso da Bergoglio attraverso una sua filosofia, una concezione per la quale la legge che governa l’unità della Chiesa, così come quella sociale e politica, è una legge basata su una dialettica “polare”, su un pensiero “agonico” che tiene uniti gli opposti senza cancellarli e ridurli forzatamente all’Uno. Molteplicità e unità costituivano i due poli di una tensione ineliminabile. Una tensione la cui soluzione era affidata, di volta in volta, alla potenza del Mistero divino che agisce nella storia.

Questa prospettiva, che emergeva tra le righe dei discorsi del giovane Bergoglio, mi ha colpito molto. Associata alle coppie polari che il papa richiamava nella Evangelii gaudium, delineava una vera e propria “filosofia”, un pensiero originale. Avendo studiato a lungo la dialettica di Hegel e, soprattutto, la concezione della polarità in Romano Guardini, questa prospettiva mi ha interessato da subito. Era evidente che Bergoglio aveva una concezione originale, un punto di vista teologico-filosofico che, singolarmente, non ha attirato l’attenzione degli studiosi.

– Questa originale “filosofia” della dialettica polare che governa l’unità della Chiesa, dove affonda le sue radici?

La scoperta delle “radici” del pensiero di Bergoglio è, certamente, il dato più interessante della mia ricerca. Interessante anche per me. Dopo la lettura dei suoi testi mi rimaneva, infatti, l’interrogativo sulla genesi della sua dialettica polare. Si trattava di una lettura originalissima della realtà che trovava analogie con il tomismo ilemorfico e dialettico di Alberto Methol Ferré, il più grande intellettuale cattolico latinoamericano della seconda metà del ’900.

Methol Ferrè non era, però all’inizio del pensiero di Bergoglio. I due intrecciano le loro strade solo alla fine degli anni ‘70, in occasione della preparazione del grande Convegno di Puebla della Chiesa latinoamericana.

– Da dove, allora, trae la sua idea della tensione polare come legge dell’Essere?

Su questo punto, nodale, gli articoli e i volumi non offrivano alcuna traccia. È come se Bergoglio avesse voluto conservare il segreto sulla fonte del suo pensare. È qui che le risposte che il papa mi ha inviato, attraverso dei file audio, si sono rivelate fondamentali. Da esse ho potuto comprendere come l’inizio del suo pensiero sia da collocare negli anni di studentato, presso il Colegio San Miguel, allorché Bergoglio riflette sulla teologia di sant’Ignazio attraverso il modello della “Teologia del come se”, e, soprattutto, attraverso la lettura, determinante, del primo volume de La dialectique des “Exercices spirituels” de saint Ignace de Loyola di Gaston Fessard. La lettura “tensionante”, dialettica, che Fessard dava di sant’Ignazio è all’origine del pensiero di Bergoglio. Per me è stata una vera scoperta. Gaston Fessard, gesuita, è tra i più geniali intellettuali francesi del ‘900.

– Oltre a Gaston Fessard, quali autori hanno contribuito alla formazione del pensiero di Bergoglio?

C’è poi Henri de Lubac con la sua concezione del rapporto tra Chiesa e società espressa in Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme. Fessard e de Lubac sono protagonisti della “Scuola di Lione”. Seguendo loro, Bergoglio è, in qualche modo, un discepolo di questa scuola.

Entrambi, Fessard e de Lubac, sono fautori di una concezione dialettica, ereditata da Adam Möhler, il grande iniziatore della Scuola di Tubinga, per la quale la Chiesa è coincidentia oppositorum, unità soprannaturale di ciò che, sul piano del mondo, rimane inconciliabile. È la stessa concezione di Bergoglio.

Oltre ai due autori gesuiti ora ricordati ve n’è poi un terzo, anche lui francese, che ha esercitato una sua influenza su Bergoglio: Michel de Certeau. Anche lui protagonista della scena intellettuale, particolarmente negli anni ’70. Il de Certeau che interessa Bergoglio è, però, quello degli anni ’60, lo studioso della mistica moderna, da Surin a Favre. La sua prefazione al Memorial di Pierre Favre, il grande amico di sant’Ignazio, è un testo chiave nella formazione di Bergoglio. Il suo ideale gesuitico della vita cristiana, del contemplativo in azione, guarda a Pierre Favre.

– Che ruolo ha avuto Romano Guardini, di cui ricorre quest’anno il 50° anniversario della morte?

Un ruolo chiave, certamente, nonostante i detrattori di Francesco abbiano tentato, in molti modi, di sminuirne l’importanza. Guardini autore di riferimento per Joseph Ratzinger non può esserlo – così ragionano – per Bergoglio. In realtà, sappiamo che, nel 1986, Bergoglio si reca a Francoforte, in Germania per una tesi di dottorato su Guardini. Come argomento sceglie non opere teologiche o di carattere religioso bensì l’unico lavoro integralmente filosofico guardiniano: L’opposizione polare. Tentativi per una filosofia del concreto vivente.

– Si tratta di una decisione singolare… Perché occuparsi del Guardini filosofo e non di quello teologico?

La risposta diviene comprensibile alla luce del mio studio. L’antropologia “polare” di Guardini appare a Bergoglio come una conferma della sua visione dialettica, antinomica, compresa attraverso Fessard e de Lubac.

L’autorità di Guardini conferisce un valore particolare al modello di pensiero che Bergoglio applica in sede ecclesiale e in quella politico-sociale. Al tempo stesso, il modello guardiniano amplia quello bergogliano, consente inediti approfondimenti. Guardini diviene, dagli anni ‘90, un autore di riferimento. Lo troviamo più volte citato nella Evangelii gaudium e in Laudato si’.

– Come si muove papa Francesco tra l’aderenza alla grande tradizione della Chiesa, da un lato, e, dall’altro, l’attenzione alle istanze del pensiero contemporaneo?

Il papa è assolutamente aderente alla tradizione della Chiesa al punto che, in Argentina, il fronte progressista accusava il card. Bergoglio di essere un “conservatore”. Lo documenta bene Austen Ivereigh nella sua bella biografia Tempo di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, edita da Mondadori. In realtà Bergoglio non è certamente un conservatore sul piano sociale. Sul piano ecclesiale, poi, è un deciso fautore del concilio Vaticano II e questo senza indulgere ad alcun modernismo. Il suo papa di riferimento è Paolo VI.

L’incontro di Bergoglio con la cultura contemporanea è un incontro all’insegna del Concilio e dei suoi autori di riferimento che abbiamo prima ricordato. In questo campo una originale lettura del rapporto tra cattolicesimo e modernità è offerta da Alberto Methol Ferré. Ammiratore di Maritain e di Gilson, Methol riuniva attorno alle sue riviste Vispera e Nexo il meglio dell’intellighenzia cattolica dell’America Latina. Bergoglio era suo amico e assiduo lettore delle sue riviste.

– “Dialettica e mistica” – parole che fanno parte del titolo del suo volume – in che modo caratterizzano il pensiero e l’opera di Bergoglio?

Bergoglio rappresenta, nella sua apparente semplicità, una figura complessa. È, nella sua personalità, una complexio oppositorum. Quest’uomo, che viene criticato da pontefice per essere troppo preoccupato per le sorti del mondo, è un “mistico”.

Il fondo del suo pensiero e del suo animo si nutre degli Esercizi di sant’Ignazio, del filone mistico della Compagnia di Gesù, quello che unisce contemplazione e azione. Come scrive Antonio Spadaro: «La chiave del suo pensiero e della sua azione va cercata e trovata proprio nella tradizione spirituale ignaziana. L’esperienza latinoamericana prende corpo dentro questa spiritualità e va letta alla sua luce per non correre il rischio di interpretare Francesco cadendo in triti stereotipi. Il suo stesso ministero episcopale, il suo stile di agire e pensare sono plasmati dalla visio ignaziana, dalla tensione antinomica a essere sempre e comunque in actione contemplativus».

Pierre Favre, il compagno di Ignazio, instancabile viaggiatore nell’Europa divisa dalle guerre di religione, il dolce e mite annunciatore del Vangelo e della pace di Cristo, è il suo modello.

– Che cos’è un pensiero “mistico”?

Un pensiero “mistico” è un pensiero aperto, che non chiude gli spiragli. Come ha dichiarato Francesco: «L’aura mistica non definisce mai i bordi, non completa il pensiero. Il gesuita dev’essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto». Per questo la dialettica antinomica di Bergoglio è, diversamente da quella di Hegel, una dialettica “aperta”. Perché le sue sintesi sono sempre provvisorie, devono ogni volta essere sostenute e ricostruite, e perché la riconciliazione è opera di Dio, non primariamente dell’uomo. Ciò spiega la sua critica ad una Chiesa “autoreferenziale”, chiusa nella propria “immanenza”, segnata dalla doppia tentazione del pelagianesimo e dello gnosticismo. Il cristiano è “de-centrato”, il punto di equilibrio tra gli opposti è fuori di lui.

– Qual è la logica ecclesiale che presiede al pontificato di Francesco, tra l’attenzione ai problemi sociali, al clima, all’ambiente e la scelta preferenziale per i poveri, la misericordia e la verità…?

La complexio oppositorum, di cui parlavo prima, spiega l’azione e la prospettiva che guidano il pontificato. Contemplazione e azione, evangelizzazione e promozione umana, primato del kerygma e opzione preferenziale per i poveri, verità e misericordia, sono i poli di un orientamento antinomico, “cattolico”, che rifiuta di disgiungere i poli di una tensione che deve rimanere nell’unità. È la lezione di S. Ignazio, filtrata attraverso la lettura degli Esercizi spirituali offerta da Fessard e da Crumbach. La vita del cristiano si muove nella tensione tra grazia e libertà, tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

Bergoglio, al seguito di Paolo VI, è il papa della Evangelii nuntiandi e della Populorum progressio. La Evangelii gaudium riunisce, in una sintesi, questi due poli della vita ecclesiale.

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Un commento

  1. Valter Grella 28 maggio 2018

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