Fonti, metodo e conseguenze della teologia di Bergoglio

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La teologia sia espressione di una Chiesa che è «ospedale da campo», che vive la sua missione di salvezza e guarigione nel mondo. La misericordia non è solo un atteggiamento pastorale ma è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù. Vi incoraggio a studiare come nelle varie discipline la dogmatica, la morale, la spiritualità, il diritto e così via possa riflettersi la centralità della misericordia. Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nellideologia, che di natura sua vuole addomesticare il mistero. Comprendere la teologia è comprendere Dio, che è Amore.[1]

Il presente Dossier vuol essere un contributo all’ampio dibattito sul tempo attuale della Chiesa segnato in maniera specifica dalla proposta teologica ed ecclesiale di cui papa Francesco è l’autorevole – ma non il solo – rappresentante.[2] Alla base del Dossier vi è la convinzione – ben rappresentata dalla citazione iniziale – dell’esistenza di una riflessione teologica profonda – non estranea ad una sensibilità anche filosofica,[3] storica e politica[4] – presente in papa Francesco.[5]

Certo non è una teologia formulata in maniera sacrale, asettica o neutrale, ma questo non significa che non sia una visione teologica ricca, ispirante e feconda.[6] Si tratta di una riflessione teologica e teologico-spirituale maturata in dialogo con la vita e la pastorale all’interno di un’osmosi costante tra esperienza viva e pensiero che cerca di interpretare la vita. In questa prospettiva risulta dunque interessare rilevare le varie componenti, radici e connessioni dell’orizzonte teologico che fa da sfondo al pensiero e alla prassi dell’attuale papa.

L’idea del presente numero di Rivista di teologia dell’evangelizzazione (22[2018]43) – prima di affrontare nei prossimi fascicoli alcune questioni più specifiche – consiste, così, nel cercare alcune delle fonti teologiche di Bergoglio e nel voler indagare le modalità con cui si rapporta a tali fonti. In tale analisi emerge un tratto abbastanza significativo del modo di procedere di Bergoglio: si individua l’esistenza di un metodo, uno stile teologico e spirituale che viene utilizzato per leggere la Scrittura all’interno della tradizione cristiana, per decifrare la storia passata, il presente, il compito della Chiesa e delle comunità umane.

In base a queste convinzioni si è lavorato su due versanti tra loro strettamente collegati. Su di un primo versante, quattro contributi si sono interessati di tali questioni – fonti, metodo, orizzonte – per così dire «a monte». Nel primo di essi, di Josè Luis Narvaja – gesuita argentino, professore di Patristica, ora collaboratore de La Civiltà cattolica, legato da una forte conoscenza personale con Jorge M. Bergoglio –, si è indagata la categoria di «popolo». Tale indagine, svolta a partire da due «fonti» di Bergoglio, quali Dostoevskij e Guardini, permette di leggere in profondità l’approccio di papa Francesco e fornisce un contributo decisivo per comprendere la sua idea di popolo, aiutando anche a calibrare meglio una serie di interpretazioni vulgate sulla teologia del popolo.

In un secondo contributo – il nostro – si lavora dapprima su alcune questioni di metodo valide per leggere come Bergoglio utilizzi creativamente le proprie fonti. In connessione con tale metodologia – ed in dialogo con alcune fonti bergogliane di matrice prevalentemente europea[7] – si delineano poi una serie di elementi di quello che può essere descritto come il suo orizzonte teologico. In questo contesto va ricordata anche un’interessante recensione in conclusione di Matteo Prodi a un volume di Erich Przywara che rappresenta una delle fonti significative del pensiero di papa Francesco.

In un terzo contributo di Enrico Galavotti – membro del Centro di documentazione di Bologna, studioso di Giovanni XXIII e professore di Storia del cristianesimo all’Università di Chieti – si studia con attenzione il modo con cui il concilio Vaticano II – e il bacino di prospettive ed autori lì confluite – viene utilizzato da Bergoglio come fonte ispirante nella sua riflessione e della sua opera. In particolare si evidenzia come papa Francesco non commenti tanto il concilio e non entri direttamente nelle questioni riguardanti la sua ermeneutica. Piuttosto egli «parla il concilio»: ne usa le categorie e le prospettive, ne adopera la teologia a partire – soprattutto – da come il concilio è stato recepito ed appropriato nelle Chiese dell’America Latina.

Il quarto contributo di Gerard Whelan – che insegna Teologia fondamentale alla Gregoriana ed è esperto del pensiero di Bernard Lonergan – spiega il metodo teologico di papa Francesco individuandone tre caratteristiche: il riferimento al discernimento degli spiriti; l’uso di un approccio induttivo; l’opzione preferenziale per i poveri. In questo quadro si spiega anche come il futuro papa abbia sviluppato e approfondito queste caratteristiche in un dibattito – spesso conflittuale – con tre diversi sistemi di pensiero: il marxismo; le forme estreme del capitalismo neoliberale; un certo tipo di teologia deduttivista e accentratrice.

Su un secondo versante si lavora sul metodo e le fonti di Bergoglio «a valle». La questione potrebbe essere formulata tramite una serie di affermazioni che si basano sulle acquisizioni della prima serie di contributi. Papa Francesco formula, con la sua riflessione e prassi, una proposta complessiva alla vita della Chiesa e alle comunità umane. Tale proposta è originale e si radica in una sintesi personale di molte prospettive a matrice sia esperienziale che teologica, storica e filosofica. Egli in questo si configura davvero come un «creatore di cultura» con un orizzonte teologico che egli propone, in maniera seminale, come spazio aperto per il discernimento della Chiesa intera. Se queste affermazioni sono vere questa è la domanda che si è scelto di seguire: quali le possibili conseguenze – metodologiche e pratiche – in una Chiesa come quella italiana?

In un primo contributo di Sergio Tanzarella e Anna Carfora – professori di Storia del cristianesimo alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, molto attenti sia al contesto ecclesiale che a quello civile – si tratta dell’elaborazione del metodo di Bergoglio. Questo approccio viene interpretato come capace di sbloccare il pensiero teologico italiano sia in senso intra-ecclesiale sia nel modo di dialogare con le questioni più importanti del nostro tempo. Si configura così una teologia capace di essere – in maniera non retorica – in uscita, pastorale, attenta alla storia e alle persone, operatrice di pace.

Infine nel contributo di Marco Giovannoni – professore di Storia della Chiesa all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana, attento conoscitore del pensiero di Giorgio La Pira – si fa il punto sul cammino della Chiesa italiana mostrando come l’approccio bergogliano non sia – come alcuni sostengono – la causa di alcune crisi intra-ecclesiali, simboleggiate dalla fatica estrema della trasmissione della fede alle giovani generazioni, quanto piuttosto si configuri come una risorsa estremamente preziosa. Il modello di papa Francesco mostra infatti di essere un approccio capace di riconoscere lealmente le questioni e di muoversi all’interno di queste tramite un paradigma teologico specifico, quello della misericordia. In altri termini il metodo di Bergoglio – inteso come frutto di una sua sintesi originale e, quindi, come un modo di approcciare le questioni e i conflitti – sembra davvero configurarsi come un insieme di strumenti teologici – e antropologici – estremamente utili e, a suo modo, innovativi per cercare di ascoltare quello che lo Spirito dice alla Chiesa, in modo particolare in Italia, nel nostro tempo.

RTE42_copertinaFabrizio Mandreoli, docente di Teologia fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna (Bologna) presenta nel suo editoriale, che qui riprendiamo, il dossier intitolato Fonti, metodo, orizzonte e conseguenze della «teologia» di papa Francesco pubblicato sul recente numero (gennaio-giugno 2018) della Rivista di Teologia dell’evangelizzazione 22(2018)43, 9-12.


[1] Francesco, Lettera al gran Cancelliere della Pontificia Universidad Católica Argentina, 3 marzo 2015.

[2] Cf. G. Lafont, Piccolo saggio sul tempo di Papa Francesco, EDB, Bologna 2017.

[3] Cf. E. Falque – L. Solignac, François philosophe, Salvator, Paris 2017.

[4] Cf. A. Spadaro (a cura di), Il nuovo mondo di Francesco, Marsilio, Venezia 2018.

[5] Cf. i volumi della collana «La teologia di Papa Francesco» a cura di R. Repole, LEV, Città del Vaticano 2017.

[6] Francesco, «“La grazia non è una ideologia”. Un incontro privato del Papa con alcuni gesuiti colombiani», in La Civiltà cattolica (2017)4015, 8: «Dunque: la filosofia non in laboratorio, ma nella vita, nel dialogo col reale. Nel dialogo col reale troverai, come filosofo, i tre trascendentali che fanno l’unità, ma con un nome concreto. Ricordiamo le parole del nostro grande scrittore Dostoevskij. Come lui, anche noi dobbiamo riflettere su quale bellezza ci salverà, sulla bontà e sulla verità. Benedetto XVI parlava della verità come incontro, ovvero non più una classificazione, ma una strada. Sempre in dialogo con la realtà […]. E lo stesso vale anche per la teologia, ma questo non vuol dire “imbastardire” la teologia, al contrario. La teologia di Gesù era la cosa più reale di tutte, partiva dalla realtà e si innalzava fino al Padre. Partiva da un semino, da una parabola, da un fatto… e li spiegava. Gesù voleva fare una teologia profonda, e la realtà grande è il Signore» (corsivo nostro).

[7] Cf. M. Roncalli, «Papa Francesco. La filosofia della concretezza», in Avvenire, 3 gennaio 2018: «È stato lo stesso pontefice a indicare autori che lo hanno influenzato. Da studente al Seminario di Villa Devoto a Buenos Aires, o durante il noviziato nella Compagnia di Gesù, è attingendo a fonti latinoamericane, ma soprattutto europee che si è formata una parte della sua personalità e del suo pensiero».

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