Francesco e Hillary Clinton

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L’8 novembre papa Francesco non voterà, evidentemente, per il nuovo presidente degli Stati Uniti. La sua distanza da Donald Trump, assai apprezzato in alcuni ambienti cattolici statunitensi, è legata al suo populismo, al rifiuto degli immigrati, al disinteresse per i poveri. Nel volo di ritorno dal viaggio in Messico (17 febbraio 2016) il papa ha risposto alla domanda diretta su Trump e la sua volontà di costruire un muro lungo il confine col paese confinante: «E poi, una persona che pensa soltanto a fare muri, sia dove sia, e non a fare ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Poi, quello che mi diceva, cosa consiglierei, votare o non votare: non mi immischio. Soltanto dico: se dice queste cose, quest’uomo non è cristiano».

Distanze asimmetriche

Meno evidente la distanza di papa Francesco e Hillary Clinton, la candidata democratica che, stando agli ultimi sondaggi, guida la corsa alla Casa Bianca. Rispondendo a un giornalista americano, John Jeremiah Sullivan, nel viaggio di ritorno da Georgia e Azerbaigian (2 ottobre 2016), sulla difficile scelta elettorale fra i candidati, il papa risponde: «Lei mi fa una domanda in cui descrive una scelta difficoltosa, perché, secondo lei, c’è difficoltà in uno e c’è difficoltà nell’altro. In campagna elettorale io mai dico una parola. Il popolo è sovrano, e soltanto dirò: studia bene le proposte, prega e scegli in coscienza! Poi esco dal problema e vado a una “finzione” [un caso immaginario], perché non voglio parlare del problema concreto. Quando succede che in un paese qualsiasi ci sono due, tre, quattro candidati che non risultano soddisfacenti, significa che la vita politica di quel Paese forse è troppo politicizzata ma non ha molta cultura politica. E uno dei compiti della Chiesa e dell’insegnamento nelle facoltà è di insegnare ad avere cultura politica. Ci sono paesi – io penso all’America Latina – che sono troppo politicizzati ma non hanno cultura politica: sono di questo partito o di quell’altro o di quell’altro, ma affettivamente, senza un pensiero chiaro sulle basi, sulle proposte».

Il caso immaginario rimane tale, come anche la volontà di non entrare nel dibattito immediato, ma la risposta non è generica. Si percepisce l’attesa di una politica “più alta” e una certa distanza anche dall’altra candidata, Hillary, metodista di formazione e di appartenenza (cf. l’interessante analisi di M. O’Loughlin, «The Private Faith Life of Hillary Clinton», in America, 19.9.2016, 14ss).

Le ragioni possibili

Ci sono tre elementi, forse quattro, che possono spiegarla. Anzitutto la differenza sui temi morali sensibili: aborto, contraccezione, matrimoni omosessuali, teoria di genere. Nella sua attività politica di senatrice e di segretaria di Stato sono battaglie che ha condiviso. La Fondazione Clinton le ha proiettate sul piano internazionale. Va anche ricordato, sul fronte della sensibilità sociale, l’impegno di Hillary per l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini (ripreso poi dall’amministrazione Obama).

Un secondo elemento è la sua disponibilità alla guerra. Spingeva per un intervento diretto in Siria e ha coperto l’intervento francese in Libia. È favorevole a un rapporto più “muscolare” con la Russia di Putin. Rispetto alla posizione vaticana, è certo più distante dell’attuale presidente.

In terzo luogo, la sua prossimità a Wall Street e alle ragioni della finanza, ambienti fortemente osteggianti le posizioni sociali dell’Evangelii gaudium e della Laudato si’.

Infine, l’interventismo e l’irritazione dei democratici e dei loro leader per la posizione dei vescovi rispetto alle implicazioni abortiste della riforma sanitaria di Obama.

Nella montagna di e-mail rivelate da Wikileaks sulla Clinton ve ne sono alcune di John Podesta, segretario della Casa Bianca con Bill Clinton e presidente della campagna elettorale di Hillary, in cui rivela l’impegno di alimentare e sostenere movimenti ecclesiali in dissonanza dalle scelte episcopali (peraltro molto discusse all’interno delle comunità cattoliche). Per un latino-americano come Francesco, il ricordo va al sostegno dell’amministrazione americana alle “Chiese libere” nei decenni della teologia della liberazione e del conflitto di alcune Chiese cattoliche del continente con regimi dittatoriali o militari. A tutto questo si può aggiungere un elemento minore: la Clinton non ha mai chiesto e avuto un incontro col papa.

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2 Commenti

  1. giogio rigoni don 28 ottobre 2016
    • Marco 3 novembre 2016

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