L’Asia di papa Francesco

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Sul volo di rientro dal Bangladesh, papa Francesco ha spiegato ai giornalisti la scelta di non usare il termine “Rohingya” in Myanmar. Una scelta, ha detto, «che non mi ha impedito di dire la verità» nei colloqui diretti con la giunta militare e la presidente de facto Aung San Suu Kyi. «Quando ho compreso che il messaggio era arrivato, mi sono ritenuto soddisfatto. Mi interessa far passare il messaggio, non mi interessa gettarlo in faccia con una condanna. Mi interessa il dialogo». Ed ha aggiunto che l’incontro con i rifugiati era «una condizione» per effettuare questo viaggio.

La spiegazione ha chiuso le polemiche che avevano accompagnato la scelta di non nominare i Rohingya in maniera diretta. Molto forti comunque sono state le frasi usate dal papa sia in Myanmar sia in Bangladesh, per invitare al dialogo interreligioso e alla costruzione di società aperte e tolleranti.

Temi e messaggi

Nell’ultima giornata, sabato 2 dicembre, papa Francesco ha ribadito questi e altri temi ricorrenti nei suoi discorsi.

Il papa ha invitato i giovani ad «accogliere e accettare coloro che agiscono e pensano diversamente da noi». È triste quando ci chiudiamo «nel nostro piccolo mondo e ci ripieghiamo su noi stessi», secondo il «principio del “come dico io o arrivederci” e rimaniamo intrappolati, chiusi in noi stessi». «Quando un popolo, una religione o una società diventano un “piccolo mondo”, perdono il meglio che hanno e precipitano in una mentalità presuntuosa, quella dell’“io sono buono, tu sei cattivo”».

Ai giovani ha ricordato che solo «la sapienza di Dio ci apre agli altri. Ci aiuta a guardare oltre le nostre comodità personali e le false sicurezze che ci fanno diventare ciechi davanti ai grandi ideali che rendono la vita più bella e degna di esser vissuta».

Un altro momento significativo dell’ultima giornata è stata la visita alla Casa di Madre Teresa di Tejgaon, dove la fondatrice delle Missionarie della Carità alloggiava durante i suoi soggiorni in Bangladesh, e dove si assistono orfani e disabili mentali. La visita si è svolta in forma molto privata, in particolare quando il papa è entrato nelle due stanze che ospitano i malati più gravi.

Più gioioso, invece, l’incontro con il clero e i religiosi nella chiesa del Santo Rosario. Qui il papa ha parlato a braccio, insistendo in particolare sulla “tenerezza” di Dio da vivere anche nelle comunità religiose e ha condannato il «terrorismo delle chiacchiere» come uno dei mali della vita comunitaria, dando suggerimenti su come evitarlo e affrontarlo. Inoltre, ha insistito sul discernimento come stile di vita comunitario, e sull’«armonia»: un concetto caro alla società e alle religioni bengalesi ma che, ha detto, si può applicare con profitto anche alla vita religiosa.

Un triplice scenario

Sul piano sociale e geopolitico il viaggio del papa – per noi che siamo in Occidente – apre un triplice scenario.

Il primo riguarda il Myanmar, con la presenza sulla scena di questo paese di un nazionalismo radicato nel buddismo della scuola Theravada, che ha radici in Sri Lanka, in Thailandia e negli altri paesi del Sud-Est asiatico. In Occidente è piuttosto conosciuto il buddismo himalayano, Vajrajana, minoritario. La scuola Theravada attenua (in qualche caso annulla) il precetto della nonviolenza (ahimsa), in nazioni in cui la religione legittima il potere politico, con tutte le conseguenze in termini di nazionalismo, appunto, e di rapporti con le minoranze.

Il secondo scenario riguarda la povertà. In particolare la visita alle Missionarie della Carità ha portato l’attenzione sulle condizioni di vita del Bangladesh, un paese con 160 milioni di abitanti, che ha fatto passi da gigante nella lotta alla povertà (è al quinto posto tra i più poveri, mentre il Myanmar, visitato subito prima dal papa, risulta al terzo), ma nel quale 48 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà e il 25% della popolazione è classificato come estremamente povero.

Il terzo scenario è quello geopolitico, con il papa che, sull’aereo nel viaggio di ritorno, sollecitato da una domanda sulla possibile crisi nucleare (in fondo la Corea del Nord non era così lontana come da Roma), ha sottolineato brevemente che il sistema politico mondiale sta scivolando verso «l’irrazionale», e che anche il concetto di deterrenza nucleare sta perdendo significato. Ed ha poi preferito concentrarsi sul viaggio appena concluso.

Ma questa breve digressione apre uno scenario sul pensiero del papa e sulle possibili azioni future della diplomazia pontificia.

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