Perché Francesco non va in India?

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Il grande desiderio di papa Francesco di compiere un viaggio apostolico in India non si realizzerà. Mancano le condizioni. Eppure, nell’ottobre 2016, di ritorno dall’Azerbaijan, parlando a braccio con i giornalisti, aveva definito questo viaggio “almost sure”, quasi sicuro, confermando che la visita in India e in Bangladesh rientrava nei suoi progetti per il 2017. Ma, per almeno due anni, fino a dopo le elezioni politiche del 2019, e in base al loro andamento, non se ne parlerà.

Era un viaggio “quasi sicuro”, ma…

La ragione è stata spiegata bene da Christopher Joseph, giornalista dell’agenzia asiatica cattolica in India, Ucanews, in un servizio del 17 novembre scorso, in cui scrive che l’invito al papa non rientra nelle intenzioni del governo pro-indù e dei suoi sostenitori, guidato dal partito Bharatiya Janata Party (BJP) e presieduto dal primo ministro Narendra Modi.

Durante il viaggio dall’Azerbaijan, il papa dicendosi “quasi sicuro” di questo viaggio, aveva parlato di segnali positivi circa un invito da parte del governo. indiano. Ha aspettato fiducioso questo invito, e anche la Chiesa dell’India l’ha aspettato. Ma non è mai arrivato.

E quando, nello scorso mese di agosto, il Vaticano ha annunciato la visita del papa per novembre-dicembre in Myanmar e Bangladesh è risultato chiaro che il primo viaggio di papa Francesco nel sud dell’Asia non avrebbe compreso l’India, con grande delusione della comunità cristiana, costituita da 25 milioni di credenti, 19 dei quali cattolici.

Fin da quando – spiega Christopher Joseph – il primo ministro Narendra Modi è giunto al potere nel maggio 2014, dieci mesi dopo l’elezione di papa Francesco, alcuni esponenti della Chiesa avevano discusso con i rappresentanti del governo indiano circa la possibilità di una visita del papa, ma invano. In gioco c’erano delle considerazioni politiche. Per esempio, il fatto che le elezioni in India sono distribuite in date diverse, e tutto quindi dipendeva dal loro esito. Alcuni Stati chiave si sono recati alle urne nel 2015, altri nel 2016 e altri ancora nel 2017. Se Modi si fosse mostrato mentre stringeva la mano al papa, poco prima che la gente andasse a votare, avrebbe finito col pregiudicare le fortune elettorali del BJP.

Più importanti ancora saranno le elezioni politiche dell’aprile 2019. Invitare il capo dei cattolici in India durante questi tempi – scrive Christopher Joseph – non sarebbe certo gradito alle frange più radicali del BJP. Inoltre, offrirebbe alle forze di opposizione il pretesto di rinfacciare a Modi di essere un menzognero.

L’ascesa del partito del presidente Modi

Il BJP di Modi aveva acquistato importanza 25 anni fa, sostenuto dalla propaganda dell’ala destra indù. Un fatto questo – commenta Christopher Joseph – che ridusse i cristiani e i musulmani dell’India allo stato di “aliens”, di stranieri. Ed è stata questa propaganda, fatta di discorsi occasionali di odio e di episodi di violenza, a fare da carburante alle elezioni vinte poi dal BJP nel 2014.

La chiassosa campagna elettorale di Modi mirava a gettare il discredito sul Partito rivale del Congresso (Congress Party) facendo apparire il suo presidente Sonia Ganhi, vedova italiana dell’ex primo ministro Rajiv Gandhi, come un agente del Vaticano per promuovere «una cospirazione papale» intesa a convertire gli indù.

Il partito di Modi attualmente governa in 18 stati dell’India su 29. È evidente ora che egli non vuole rompere le uova nel paniere ratificando una visita di papa Francesco prima delle elezioni nazionali del 2019. A questo farebbe da preludio l’appoggio alle richieste nazionaliste indù di porre fine all’attività missionaria cristiana e alle conversioni religiose. Sarebbe perciò una propaganda negativa se la visita del papa comportasse una critica alla restrizione della libertà religiosa in India.

Tenendo presente che circa il 30% degli indiani sono analfabeti, gente che vive in gran parte nei villaggi, una propaganda basata sulle emozioni potrebbe contribuire ad assicurare la vittoria elettorale.

Ma c’è un altro fatto: i problemi di vitale importanza per il BJP non possono essere decisi senza un cenno di assenso cha parta, per così dire, dalla sala macchine del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), partito fautore della supremazia indù. E Modi, ex volontario del RSS, non può funzionare politicamente senza l’appoggio di questa sua rete di base.

Il RSS e i suoi affiliati si sono sempre opposti, a volte violentemente, all’attività missionaria cattolica, svolta particolarmente tra gli indigeni e i socialmente poveri dalit, noti un tempo come gli intoccabili.

Il RSS considera il papa come il remoto manovratore della macchina delle conversioni, cosa che vuole smantellare per favorire la creazione di uno stato teocratico indù.

Papa, “go back”

L’ultima visita papale in India avvenne durante il precedente governo del BJP. Quando nel 1999, Giovanni Paolo II giunse a Nuova Delhi per lanciare il documento sinodale Ecclesia in Asia, il BJP era guidato da Atal Bihari Vajpayee, un moderato all’interno del partito. Ma l’invito al papa era stato rivolto nel 1998 dal suo predecessore Inder Kumar Gujral, allora capo della coalizione governativa, malgrado che il RSS protestasse per le strade di New Delhi con slogan come “go back” (torna a casa tua), mettendo in imbarazzo il governo e creando tensioni nel partito.

Le proteste continuarono anche dopo la visita papale, affermando che il documento Ecclesia in Asia difendeva la conversione degli indù.

Tuttavia, nonostante gli ostacoli, alcuni alti funzionari della Chiesa nutrono ancora la speranza di una visita del papa. Anche papa Francesco sarebbe entusiasta di poter compiere questo viaggio. Torna allora la domanda: il papa potrà mai visitare l’India?

Secondo Christopher Joseph, bisognerà vedere prima come si presenterà il BJP dopo le elezioni del 2019. Solo allora si potrà valutare se il partito sarà in grado di trascendere i sentimenti religiosi.

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