Chronicon – 13. Antichi e nuovi credenti

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Gli incontri di oggi mi spingono a continuare la carrellata di personaggi presenti nella  mia parrocchia. Questa volta non mi dilungo sui caratteri delle persone o sulle loro opere. Vorrei parlare della loro fede, e dei cammini così disparati che, malgrado tutto, stanno insieme sotto il tetto di una normale comunità parrocchiale.

Oggi le ho fotografate mentre celebravo l’eucaristia feriale. Difficile trovare due persone più diverse, almeno dal punto di vista del percorso di fede. Marina e Anna stavano sulla stessa panca, ma sono arrivate da strade completamente differenti.

La fede di Anna è antica come le montagne. Ha 70 anni circa (l’età delle donne è sempre un mistero), un passato in Azione cattolica, anni di ritiri e di militanza senza per questo essere mai diventata una fanatica.

In parrocchia ha fatto di tutto, dalla catechista al consiglio pastorale, dai fidanzati alle preparazione dei cresimandi adulti. Una fede rocciosa, radicata in una preghiera personale, profonda. Ogni giorno passa per una visita in chiesa, non lo sa nessuno ma io mi sono accorto che è come un orologio: si ferma in adorazione, in ginocchio e credo che il Signore la ascolti come non ascolta nessuno.

A volte, mi chiedo come faremo quando scompariranno le generazioni di questa levatura. La sua è anche una fede provata, che ha conosciuto le intemperie della vita. Non sto qui a dire tutte le sue vicissitudini, ma ciò che più l’ha ferita è stato l’allontanamento del figlio dalla fede. E anche in questo caso Anna ha reagito da credente, senza recriminazioni e con una preghiera ancora più intensa.

Apprezzo molto la sua fede. Prega volentieri con le altre “vecchie” che anticipano la messa feriale con il rosario, ma il suo è un altro passo. La percepisco non invischiata in eccessi devozionali, la sua è una fede sobria, direi quasi “signorile”, radicata nel Vangelo e nei sacramenti. Vive di carità e in compagnia dei poveri. Tutto qui.

Marina è molto più giovane e non solo di età. Ha una cinquantina d’anni. È passata attraverso una contestazione globale di ogni forma d’istituzione e di tradizione. In questo passaggio critico ha perso molte cose, tra le quali anche la fede. Eppure è qui, ora, seduta sulla stessa panca di Anna.

Che cosa l’ha aiutata a tornare, a rinascere come credente? Me lo ha raccontato lei stessa. Anche nelle stagioni di maggiore distanza è sempre rimasta attratta dalla figura e dal magistero del card. Martini. Lo ascoltava da lontano, ma restava affascinata dalla sua capacità di dire la fede in un linguaggio accessibile e non banale, in cui lei stessa si riconosceva; e poi dalla sua capacità di ascoltare le ragioni dei non credenti. Un dialogo a distanza che l’aveva sorretta nei momenti bui della sua vita. Aveva infatti conosciuto una delusione difficile da precisare.

Per quanto fosse una donna riuscita nel lavoro e con una famiglia sufficientemente normale (ed è già un miracolo), ad un certo punto aveva avvertito un vuoto, il senso di una delusione di fronte a progetti incompiuti, un disincanto amaro nei confronti di persone e sogni che si erano infranti.

Proprio in quel momento di massima oscurità, l’incontro provvidenziale è stato con Monica. Si sono conosciute perché mamme di due figli della stessa età, che poi si sono ritrovare ad iscrivere al catechismo.

Marina ha colto in Monica una fede autentica e un ascolto sincero. È stata lei ad accompagnarla senza fretta e con grande discrezione in un nuovo percorso di fede, tenendola distante dagli entusiasmi inopportuni e dalle inevitabili delusioni.

I passi successivi l’hanno portata all’incontro con la Scrittura. È stata per me una gioia vedere il gusto con cui Marina riprendeva in mano i Vangeli, imparava a pregare con la parola di Dio e si lasciava attraversare dalle domande giuste.

Il suo è stato un cammino personale, ma piano piano ha apprezzato anche i momenti comuni di ascolto della parola, di approfondimento della fede. È andata in cerca di luoghi di spiritualità, in monasteri e oasi di silenzio, ed è cresciuta come un germoglio nel deserto.

Non è stato un caso vedere Anna e Marina sulla stessa panca della chiesa. La frequentazione comune all’eucaristia le ha fatte incontrare. È come se si fossero “annusate” e piaciute. Ora si scambiano confidenze e consigli proprio sulla fede, e camminano insieme, come sorelle.

In loro trova un’icona bellissima di una dimensione tipica della mia e di ogni parrocchia: quella di mettere insieme vecchi e nuovi credenti. Nulla di nuovo. Era così già nelle prime comunità, tra giudei e gentili. La storia insegna che il rapporto è tutt’altro che scontato e facile.

Da parte mia, provo a fare ciò che ha fatto l’apostolo Paolo, che dice sentirsi in debito nei confronti degli uni e degli altri. Di fatto è così: imparo la bellezza della fede dagli uni come dagli altri.

Conosco bene, però, i loro rischi. I “veterani” della fede a volte rischiano di cadere nel rimpianto dei bei tempi andati, e di guardare con sospetto le novità e i cambiamenti. Il forte radicamento della loro fede li espone ad una sottile possibile superbia: facilmente prendono la posa di chi vuole insegnare agli altri.

I nuovi, da parte loro, conoscono tutti i rischi di un entusiasmo un po’ assolutista, facilmente centrato sulla loro parziale e personale esperienza che li ha condotti alla fede. Da questi spesso hanno origine i moderni fondamentalismi cattolici. E, se volessi, potrei continuare all’infinito ad elencare i rischi degli uni come degli altri.  Ma quando guardo Anna e Marina trovo che sia molto più il bene che passa attraverso questo improbabile miscuglio di cammini diversi. Chi ha una fede antica si rinnova nella giovinezza di chi muove i primi passi nella fede. E chi si trova a ricominciare può contare sulla solidità e sulla fedeltà di chi è radicato nel cammino di fede da tempi immemorabili.

Ed io? Da antico credente contemplo la scena, desiderando ogni volta di rinascere dall’alto, di essere docile al soffio imprevedibile dello Spirito.

don Giuseppe

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