I ruoli nella comunità /9

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nardello1

Uno dei tratti che differenziano maggiormente le persone umane tra di loro, anche all’interno delle comunità cristiane, è il modo di rapportarsi con la verità fattuale.

Alcuni, per la loro personalità o per lo stile che hanno scelto di assumere, sono molto trasparenti, per cui dicono quello che percepiscono e che pensano in tutta sincerità senza preoccuparsi più di tanto delle conseguenze delle loro prese di posizione.

Altri, invece, tendono a dare molto peso alle ripercussioni delle loro affermazioni, per cui cercano istintivamente di dire parole più utili che vere, cioè il più possibile vantaggiose per la propria persona o per l’organizzazione di cui fanno parte. Non importa se quelle parole non corrispondono del tutto alla verità di ciò che è avvenuto o a ciò che si pensa realmente.

La fatica della trasparenza

Purtroppo in alcuni ambienti professionali – a volte, anche nelle comunità cristiane – questa falsità paga, nel senso che consente di nascondere i propri limiti ed errori, di mettere in cattiva luce altre persone, magari innocenti, e di togliere così di mezzo eventuali ostacoli alla propria carriera.

Il compito di un buon leader è quello di intervenire contro questo stile per impedirne la pratica e soprattutto la proliferazione, dal momento che può incidere molto negativamente sul vissuto della propria organizzazione, a maggior ragione se si tratta di una comunità cristiana.

Proprio a riguardo di questi due modi di rapportarsi alla verità, Gregorio Magno scrive: «I semplici bisogna lodarli perché si studino di non dire mai il falso, ma bisogna ammonirli che sappiano ogni tanto tacere il vero. Come il falso nuoce sempre a chi lo dice, così talvolta ad alcuni nuoce ascoltare la verità. […] Pertanto bisogna ammonire i semplici a dire la verità badando sempre all’utilità allo stesso modo che sempre utilmente evitano l’inganno. […]

Al contrario, bisogna ammonire gli insinceri a riconoscere quanto sia grave colpa la fatica di quella doppiezza che essi sostengono. Infatti, per il timore di essere scoperti cercano sempre giustificazioni cattive e sono sempre agitati da sospetti che li rendono paurosi. […] Non di rado, se sono colti in fallo, mentre rifuggono dal farsi riconoscere quali sono, si nascondono sotto il velo della falsità e si affaccendano per giustificare ciò in cui stanno peccando e che è già apertamente visibile; così che spesso colui che ha cura di correggere le loro colpe, ingannato dalle nebbie di questa aspersione di falsità, ha quasi l’impressione di aver perduto di vista ciò che ormai teneva per certo a loro riguardo. (Regola pastorale III, 11).

La pretesa di essere ascoltati

Secondo Gregorio, le persone più vicine ad un rapporto evangelico con la verità fattuale sono quelle semplici. Costoro devono soltanto rendersi conto che, a volte, la verità va taciuta – non negata – per tutelare un valore importante, come la carità, il rispetto, e così via.

Accanto a questo, però, occorre riconoscere che la sincerità può anche diventare una scusa per legittimare uno stile di accusa nei confronti di altre persone.

Questo atteggiamento è molto fastidioso, perché porta non solo ad esprimere la propria opinione, ma a continuare ad esprimerla in modo insistente, con la pretesa di essere ascoltati, anche quando chi di dovere ha preso decisioni diverse da quelle auspicate.

Avere al proprio fianco persone sincere è un grande aiuto, ma essere estenuati da individui che in nome della sincerità continuano a ribadire in modo veemente il loro punto di vista è una tortura a cui nessuno dovrebbe essere sottoposto.

Tuttavia, la situazione più grave è quella delle persone che, per la loro personalità o le loro scelte di vita, tendono spontaneamente ad essere false e a manipolare la realtà fattuale. Mentre una persona semplice riconosce ciò che ha detto e fatto proprio per la sua trasparenza, e quindi può essere aiutata a capire dove ha sbagliato, un individuo falso non può essere educato così facilmente.

Come rileva Gregorio, a fronte di un’accusa, l’atteggiamento della falsità spinge a creare una grande nebbia di ulteriori falsità, in modo che chi deve giudicare, se non ha una grande capacità di discernimento, finisce per cadere nella manipolazione e ritenere il mentitore una persona sincera e retta che ha agito bene.

Attenti ai carrieristi

Tutto questo può succedere anche nelle comunità cristiane. Persone che hanno comportamenti e stili problematici o che semplicemente non hanno particolari qualità, grazie a questo stile menzognero, possono riuscire ad emergere e ad occupare ruoli di rilievo. Si tratta, ovviamente, dei carrieristi, contro cui papa Francesco si è ripetutamente scagliato. In realtà, anche se le comunità cristiane e i pastori dovrebbero vigilare perché persone con queste difficoltà non assumano ruoli di responsabilità, forse è inevitabile che ciò avvenga comunque.

In effetti, quando ci si sceglie un collaboratore, viene spontaneo preferire una persona allineata alle proprie posizioni, anche se in modo insincero, rispetto ad un individuo molto schietto e magari poco flessibile, che rischia di diventare una palla al piede nello svolgimento del proprio compito. Se non altro, i carrieristi questo non lo sanno fare. Anzi, grazie alla loro compiacenza, vengono percepiti dai loro capi come alleati affidabili, che non fanno colpi di testa ma sanno sempre come rendersi utili.

Anche se non di rado la falsità e la capacità di manipolare pagano sul piano della carriera e del prestigio personale, queste dinamiche avvelenano molto profondamente le persone che le praticano. Anche se queste si affermeranno, saranno sostanzialmente un ostacolo nella costruzione del Regno di Dio e delle comunità cristiane. In fondo, nella Scrittura il padre della menzogna è il diavolo.

Meglio quindi rischiare di deviare verso una schiettezza che esaspera il prossimo che avvicinarsi ad una vita non trasparente nella quale, per amore del proprio successo, si è disposti a dire e a fare qualunque cosa. Meglio ancora, però, è essere persone sincere che, dopo aver espresso il loro punto di vista, sanno metterlo in discussione, riconoscendo che forse si stanno sbagliando.

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