Canoniche vuote: che fare?

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Canonica di Ignago

Vorrei richiamare l’attenzione sulla destinazione delle canoniche vuote.

C’è una prassi che si sta consolidando e che, se condotta come si sente dire da diverse parti, porterebbe a una situazione senza ritorno.

Parlo della destinazione delle canoniche non abitate dal parroco e quindi apparentemente libere. Sono tante, certamente più del 70%, se non di più. Si tratta di un vero e proprio patrimonio!

Intendo parlare delle canoniche presenti nelle comunità parrocchiali che abbiano un minimo di spessore, dove ci siano almeno 500/600 anime.

Che fare di questo patrimonio? Ci sono tante ipotesi.

Potrebbe andarci ad abitare un prete in pensione che non ha altra dimora: “potrebbe essere di aiuto!” ad altri presbiteri della zona.

Potrebbe andarci un’associazione di volontariato: “così diamo il segnale di una Chiesa aperta al sociale e ai poveri!”.

Potrebbe andarci una famiglia o anche più famiglie di profughi: “così diamo seguito agli appelli di papa Francesco!”.

Potrebbe andarci persino una comunità di recupero per tossicodipendenti: “così mostriamo la nostra volontà di voler ripartire dagli ultimi!”.

Apparentemente sono ragionamenti logici e persino profetici. E magari lo sono per davvero. Io però sono per un diverso orientamento.

Lo dico forte: le canoniche (ripeto, quelle presenti in parrocchie che hanno una popolazione sufficiente) devono conservare la destinazione per cui sono nate. Sono state talvolta costruite con il sacrificio dei fedeli, con anni di lavoro e di fatica; rimangono ancora al centro dell’orgoglio della gente.

Devono tornare ad essere il cuore di un paese e di un quartiere, dove operano e possibilmente vivono le guide delle comunità.

Guai a togliere da esse il cuore pulsante: un telefono, una porta aperta, uno sguardo d’amore, un sorriso, un’attenzione inattesa, una mano pronta… Per la gente di tutti i giorni, di tutte le razze, di tutte le religioni.

Quale potrebbe essere oggi un luogo per vivacizzare e sensibilizzare le nostre comunità cristiane? La canonica. “Ma non ci sono preti!”. Allora cerchiamo altrove e sicuramente troveremo chi si può sobbarcare il ruolo di guida, anche senza essere prete: un diacono, una religiosa o un religioso, un laico o una laica che abbiano il riconoscimento della comunità. Lo individuiamo e lo formiamo. Ci vuole coraggio e fantasia!

Io sostengo da sempre l’adagio: “una comunità, una testa!”. Non tante teste che vogliono comandare e decidere, come spesso capita di vedere, con tanta inconcludenza e tantissima tristezza. Una sola testa: perché (per dirla in veneto) “el can de tanti paroni, el more de fame!” (“il cane di tanti padroni muore di fame”).

Ma una tale mansione non può essere configurata come volontariato: un simile compito deve essere svolto come professione, almeno per alcuni anni. Una professione retribuita.

Fatta la scelta di far rivivere la canonica, ci si organizza per tutto il resto: come scegliere e formare le guide, che ruolo assegnare al presbitero e come reperire le risorse per assicurare una pagnotta. Ma dobbiamo farlo adesso, non tra vent’anni, quando sarà troppo tardi!

Se tra vent’anni, infatti, ci si vorrà riappropriare delle canoniche nel frattempo destinate ad altri usi, perché finalmente si sarà capito che sono importanti per le comunità, potrebbe verificarsi il caso di dover spendere grosse cifre e magari ingaggiare avvocati per tornare in possesso degli edifici.

Ecco perché, secondo me, è bene riflettere prima di utilizzare le canoniche in modi impropri.

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2 Commenti

  1. Marco Ansalone 27 aprile 2022
  2. Fabio Cittadini 24 aprile 2022

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