Le città di Dio: cultura urbana e sfide pastorali

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Il primo Congresso continentale di pastorale delle grandi città si è svolto in Messico (Guadalajara) dal 9 all’11 ottobre. Dio abita le città e chiede alla Chiesa il passaggio dal territorio alla cultura, dal concettuale al simbolico, dal clericale al laicale. La misericordia è il cuore della prassi cristiana. Rodolfo Antonio García Martínez, sacerdote e sociologo dell’arcidiocesi di Monterrey, Messico, ci ha inviato questa ampia sintesi.

 

Nella città di Guadalajara (Messico) si è svolto il primo Congresso continentale di pastorale urbana per i latinoamericani, a partire dallo slogan “La gioia del Vangelo per le grandi città” e dalla certezza che Dio abita già nelle città.

Tra il 9 e l’11 ottobre 2018, laici, laiche, cardinali, vescovi, sacerdoti e non credenti si sono riuniti per accogliere la sfida lanciata dai tanti fenomeni di un mondo che si urbanizza in modo accelerato e per avere uno sguardo contemplativo verso le città, che non sia indirizzato a costruire in termini materiali, ma a scoprire come Dio abita nelle città e nelle vie in cui la Chiesa può farsi sacramento della sua presenza.

Esplorare le presenze divine

“La sfida di evangelizzare con gioia nelle grandi città” è stata la chiave per aprire la riflessione.

Il card. Luis Martínez Sistach, che nel 2015 ha convocato a Barcellona un altro Congresso di pastorale urbana, ha invitato i partecipanti ad accogliere lo spirito di Evangelii gaudium e gli insegnamenti di papa Francesco riguardo alle grandi città che subiscono trasformazioni accelerate sul piano culturale, ideologico, tecnologico e che spesso hanno un modello inumano di sviluppo; ha invitato i partecipanti ad avere uno sguardo positivo davanti alle città; le stesse complessità, certo esistenti, e i diversi aspetti negativi sono anche un’opportunità di incontro e dialogo con Dio e con gli altri e spingono a evangelizzare con gioia, ad avvicinarsi ai poveri, a essere testimoni più che maestri e ad abitare le città in modo attivo e nel rispetto del loro essere multiculturale; si può essere una Chiesa per tutti, che considera l’uomo urbano e gli dona uno spazio per ri-trovare se stesso, abitare col diverso e costruire spazi di preghiera, accettazione vicendevole e comunione. Il cardinale ha lanciato questa sfida: «La Chiesa abita nelle città ma non è diventata urbana».

Don Benjamin Bravo, dottore presso la Pontificia Università del Messico, ha tenuto la conferenza “Dio abita nella città”, a partire della storia della salvezza. Ha raccontato come può essere difficile accettare questa verità innanzitutto per chi ha confinato Dio negli spazi chiusi e autoreferenziali; Dio ha guidato l’essere umano verso una città; si tratta di scoprire la sua presenza nelle strade, nei grandi centri commerciali, nelle arene sportive e anche dove non ci si aspetterebbe abitasse.

Lo sguardo verso la città non può essere solo socio-antropologico: sono necessari il discernimento e uno sguardo attento che possa svelare la presenza di Dio. Egli abita la pluralità della città: si dovrebbe avere il coraggio di capire che spesso ha un volto anonimo e che si trova anche nei posti più inaspettati e assurdi; un volto silenzioso, con una presenza nascosta, misteriosa, continua; a volte il suo volto è secolarizzato, al di là dei segni sacri, dei templi e dei riti; Egli è presente in modi diversi, ha un volto che incarna una logica sacramentale altra, dove la materialità e il mistero della città stessa è un avvenimento salvifico; Dio è il samaritano che cammina insieme all’uomo urbano.

La nostra pastorale dev’essere coraggiosa per uscire da una pastorale di usi e costumi. «Esplorare queste presenze divine e camminare insieme all’uomo urbano» è stato il compito proposto da questa riflessione.

Valori e controvalori dell’urbano

Tra i contributi accolti in modo molto favorevole, la riflessione di Rogelio Cabrera López, arcivescovo di Monterrey, con il tema “Beato il pastore che trova Dio nella città”.

Interrotto da diversi applausi, ha raccontato la propria testimonianza di vita e ha ricordato come papa Francesco ci spinge a essere pastori vicini a tutti, con “gli odori della città”; ciò significa comprendere le necessità sociali e pastorali che vivono i cittadini, capire i controvalori della cultura urbana, come le diseguaglianze, i problemi ecologici, l’individualismo, la corruzione e il consumo non etico che spesso incontriamo.

Sono necessari pastori impegnati, propositivi, che possano interagire con la vita della città; pastori con un grande cuore, aperto alle presenze di Dio nascoste, e coscienti della presenza dei poveri che hanno bisogno di solidarietà, rispetto, riconoscimento.

Le minoranze, la partecipazione delle aziende, le donne, la protezione dei minori e le tecnologie richiedono pastori aperti e pronti a offrire alternative di vita, vicinanza amichevole e una spiritualità adeguata ai tempi.

La grande città sfida la pastorale” è stato il titolo della conferenza della dott.ssa Olga Consuelo Vélez Caro, della Colombia.

La misericordia, la spiritualità e la pratica di vita, si trovano di fronte alle ingiustizie sociali, cioè l’esperienza di fede dei cristiani si trova di fronte alla realtà. Emerge un punto di vista che considera la pluralità delle culture, la presenza delle donne nelle città e altre realtà che potrebbero essere intese come elementi che oggi interpellano le scelte evangelizzatrici, che vogliono essere significative per i cittadini. Se si considera la città come luogo teologico e ci si chiede onestamente cosa hanno da dire le città e come si può offrire loro una risposta, ci troviamo di fronte a un grande compito. A partire dalla misericordia come orizzonte teologico, si dovrebbero trovare linee di azione per una nuova pratica pastorale.

Dal sacrale al quotidiano

Un altro contributo colombiano è venuto da mons. Francisco Niño Sua, con il tema “Costruire la pastorale urbana dalla samaritaneità”, una testimonianza dell’osservatorio socio-pastorale del CELAM.

La multiforme realtà urbana esige un’altra pastorale; la parola “pastorale” rimanda alla realtà rurale sulla quale è stato costruito l’agire ecclesiale; “urbana” richiama una trasformazione di tale pastorale. Per rivalutare l’agire cristiano, si dovrebbe ridefinire il significato della città, al di là del territorio, e capire che il problema non sono le città, ma le azioni cicliche della pastorale che non sempre vede alternative.

Le piccole comunità si offrono come esperienze nelle città, per integrare anche lì il linguaggio della misericordia e la cultura della samaritaneità che parla al mondo d’oggi.

L’ultima delle conferenze è stata offerta dal dr. Hosffman Ospino, degli Stati Uniti, ed è intitolata “La città richiede evangelizzatori con lo Spirito Santo”. Evangelizzare non è imporre l’antica cristianità nelle città nuove, ma riguarda la necessità di far passare l’azione della Chiesa da clericale a laicale, da sacrale al riconoscimento quotidiano della presenza di Dio nel mondo. Tuttavia, ciò non sarà possibile se lo Spirito Santo non viene accolto da ogni operatore pastorale nelle città in modo che sia seme del Regno nella cultura attuale.

Una teologia urbana e pubblica

Alle conferenze si sono aggiunti cinque momenti di discussione condotti da diversi esperti di teologia, di pastorale e delle altre scienze umane nei quali, parlando in modo fraterno e interagendo con l’assemblea, sono stati condivisi spunti per la riflessione e l’agire sulla pastorale urbana.

Nel primo momento intitolato “Le sfide della realtà urbana alla pastorale” è stato sottolineato che, innanzitutto, nella cultura urbana, è presente un grande pluralismo che si mostra nella vita quotidiana, per cui diventa necessario che la teologia non si allontani dall’esperienza urbana.

La pastorale nelle grandi città è un argomento lontano alla teologia? A cosa deve fare riferimento una riflessione teologica sulla città? I teologi condividono le preoccupazioni della città?

La teologia urbana permette di trovare Dio nelle città, nella partecipazione e nel protagonismo delle donne così come in tanti altri ambiti.

Un compito grande degli operatori pastorali è introdursi nel cuore delle sfide in quanto fermento testimoniale, ovunque siano, perché il cristiano deve fecondare la città.

Una teologia urbana rivolta all’oggi non può non ricordare gli insegnamenti del concilio Vaticano II, dev’essere una teologia pubblica, che non dimentichi le conferenze continentali, le teologie della liberazione, che sono un esempio chiaro di una riflessione teologica verso l’insieme sociale; si tratta di uno stile di fare teologia che deve imparare a essere plurale e a includere nella riflessione l’esperienza urbana di una pluralità culturale e religiosa.

La teologia nella città vuole essere accademica, ecclesiale ed esperienziale; è una teologia storica contestuale e perciò il suo modo di argomentare ha bisogno di forme pubbliche e di linguaggi plurali sempre al servizio della persona umana, che abbia come fine una società più giusta e fraterna; inoltre, senza lasciare il linguaggio teologico, è bene che essa sia significativa non solo per la Chiesa, ma per tutti.

Una teologia urbana dovrebbe essere costruita in ambito comunitario; è necessariamente una riflessione, un discernimento di Chiese locali e diverse, ma non può staccarsi dalla riflessione universale; quindi – si può dire – è una teologia glocale: da, con e per i poveri urbani e gli scartati, che non dimentichi la necessità di riflettere anche da una prospettiva femminile e consideri la ricchezza culturale e religiosa di ogni città, che abbia un linguaggio testimoniale simbolico; infine, non si tratta di una teologia che parli della città, ma che sia essa stessa urbana.

Con una teologia così, la pastorale può avvicinarsi meglio alla città e con molta creatività offrire nuove opzioni, atteggiamenti pastorali, elementi per il discernimento e avvicinarsi alle scienze che possono offrire chiavi interpretative per le città; è una pastorale con un modello di azione pluriforme.

Chiese domestiche e tempi interrotti

Nel secondo momento la riflessione si è concentrata su “La chiesa davanti alle culture e alle espressioni della città”. Si è discusso sulla molteplicità dei fenomeni urbani; essere cittadini richiede che i cristiani incarnino espressioni specifiche quali accoglienza, ospitalità, conoscenza dei conflitti delle gioventù e così via.

È stata offerta una grande riflessione sul corpo, paradigma obbligato per la città e sull’esperienza delle Chiese domestiche, come un’opzione per vivere la fede nei tempi difficili.

I grandi flussi migratori e altri fenomeni ci interpellano a essere ospitali e ad avere una coscienza del “noi” e di come il corpo sia una realtà fondamentale per le relazioni creatrici di senso e quindi con un peso teologico inestimabile, poiché l’azione amorevole di Dio si manifesta corporalmente.

Chiesa che esce, cammina e tocca la città” è stato il titolo del terzo momento con gli esperti.

Vivere la fede nella città è un’esperienza diversa oggi, la pluralità urbana e la complessità dei rapporti, dei mezzi e degli spazi, la velocità dell’informazione e altre realtà urbane lanciano una sfida.

Sembra che la Chiesa non possa continuare ad aspettare tra le mura, a chiudersi in sé; sembra che oggi non sia più ascoltata come prima e che la sua voce sia solo una tra mille.

Uscire non è un movimento spaziale, ma un movimento di atteggiamenti, di metodi e linguaggi; uscire da se stessi significa anche ascoltare il mondo, la gente, le scienze, i segni dei tempi, i millennials, essere aperti e andare incontro a loro per condividere la fede.

Inoltre, spesso le persone non trovano in parrocchia un’esperienza “di casa”, di preghiera e di solidarietà: perciò non si avvicinano più ad essa; la vita, tante volte pesante della città, ruba loro le forze e lo spirito; camminare con tutti significa fortificare la cultura dell’incontro e andare a trovare, con l’aiuto delle scienze sociali, le realtà nascoste che, con frequenza, impoveriscono le persone nei corpi e nello spirito.

C’è bisogno di guardare la realtà con misericordia e compassione, e impegnarsi a uscire da se stessi cercando i fragili, i poveri e i lontani che abitano la città.

Un’altra riflessione è stata “Una pastorale che si impegna e costruisce la città”.

La città è costituita da una grande molteplicità dove tutto ha la sua importanza, essa si costruisce per tutti, per le piccole decisioni del consumo, per quelle politiche e per le altre scelte quotidiane.

Le persone costruiscono la città ed essa costruisce loro; i cristiani sono chiamati a partecipare attivamente alla costruzione della città, perché il vangelo e tutti gli altri insegnamenti della Chiesa li interrogano su come amministrano le risorse, l’economia e la cura dei diritti umani, in modo che siano riflesso dei valori del Regno.

La città deve avere come centro l’essere umano, deve avere un volto; la Chiesa, nella misura in cui si avvicina e tocca i poveri che soffrono, e nella misura in cui agisce in loro favore, fortifica gradualmente il tessuto sociale mettendo al centro la persona e non il capitale, come invece purtroppo frequentemente succede.

Beati i contemplativi

L’ultimo incontro con gli esperti ha avuto come tema “Un grande Vangelo per la città”. Sono state le beatitudini, e le beatitudini della città, il riferimento per accompagnare l’esperienza urbana: beati coloro che abitano la città, beati gli umiliati nella città, beati coloro che hanno uno sguardo contemplativo della città, beati coloro che comunicano la pace nella città.

Questo momento è stato un aggiornamento sulle beatitudini oppure, possiamo dire, una lettura contestuale delle beatitudini nella vita urbana. L’incontro con Gesù può essere reale all’interno della realtà urbana: Egli pone nell’anima una forza trasformatrice che permette alle persone di comprendersi come beate e di capire che il vangelo è una forza creativa e creatrice di un nuovo ordine sociale, di una civilizzazione di pace, di giustizia e di solidarietà, così che la città diventa una terra dove Dio ci ama e ci dona la sua eredità.

Beata la città che fa vedere e toccare la presenza rinnovatrice dello Spirito attraverso la responsabilità sociale, il mettere al centro la persona e le comunità – e non il capitale – anche mediante lo sviluppo, che ha uno sguardo ecologico e un’antropologia della vita quotidiana.

La ricchezza di questo incontro è stata anche la grande partecipazione a una serie di tavoli di lavoro centrati su diversi argomenti, guidati da esperti e aperti alle opinioni dei partecipanti. I gruppi, costruiti al fine di condividere riflessioni, si sono recati in diversi punti della città di Guadalajara: scuole, mercati, strade, palazzi, centri commerciali, piazze, stadi, zone popolari e tradizionali, per “cercare e trovare Dio nella città”. Un’esperienza di grande valore per tutti.

I tavoli di lavoro sono stati spazi di dialogo e di riflessione che si sono concentrati su diversi argomenti categorizzati secondo sei contesti: religioso, sociale, economico, culturale, politico e degli operatori pastorali.

Dei temi trattati se ne possono elencare alcuni: la pastorale urbana nelle parrocchie della città; il kerygma nella città; la pastorale della nonviolenza; i mass media: dai rapporti umani ai rapporti virtuali; le periferie degli scartati: gente che vive per strada, anziani, indigeni; lo stato di benessere nell’economia e le carte di credito; le culture urbane e le nuove generazioni; la crisi antropologica attuale; la costruzione della cittadinanza; la ricostruzione del tessuto sociale; i diritti umani nella città; i vescovi, i seminari e le università come operatori pastorali.

Vangelo nella civiltà urbana

La partecipazione a questo primo Encuentro Continental de Pastoral Urbana è stato un invito a contemplare la presenza di Dio nella città, a riflettere su di essa insieme con la Chiesa, a darle un’interpretazione teologica, a vederla come uno spazio di incontro con Cristo e con gli altri nonché a scoprire quanto essa abbia bisogno di essere aperta al dialogo con le culture, le scienze, i simboli, i linguaggi e ad abbracciare la vita al suo interno, in quanto caratterizzata da spazi di libertà e di opportunità; nonostante le ferite delle città, la pastorale vuole avere uno sguardo positivo verso le realtà urbane e amare le città perché Dio abita in loro.

Diventare una Chiesa urbana è un processo lungo e non è solo un movimento geografico, ma una serie di atteggiamenti che maturino nei cristiani l’apertura a spostarsi dal territorio alla cultura, dal concettuale al simbolico, dal clericale al laicale, nonché un invito a cercare le tante manifestazioni di Dio nell’attuale storia urbana.

La misericordia è il cuore della pastorale della Chiesa samaritana nella città, perché, sebbene la Chiesa non sia l’unico riferimento per gli uomini di oggi, essa possiede una grande ricchezza da offrire: in primo luogo il Signore e l’incontro con lui, ma anche l’esperienza di umanità, i valori e la testimonianza di carità per un mondo e una cultura che spesso si caratterizza per l’individualismo. Approfondire il contenuto sociale del kerygma, proclamare il Vangelo e usare il linguaggio della misericordia è una sfida per la pastorale della Chiesa di oggi.

Ma, come tanti ambiti nella Chiesa, la pastorale urbana richiede in primo luogo operatori pastorali urbani, che amino il Signore e la città, evangelizzatori gioiosi, con un cuore mistico e incarnato, discepoli missionari che vivano attivamente nelle città, seminando speranza, promuovendo la cultura dell’incontro, accogliendo la diversità e la pluralità, che conoscano, capiscano e amino le città. Sono necessari evangelizzatori che portino la teologia della città alle sue conseguenze pratiche e, quindi, contribuiscano con il loro messaggio al bene comune di una comunità urbana e, dunque, plurale.

La trasformazione del mondo comincia nell’agire locale: agenti glocali, che trasformino il mondo e muovano la Chiesa universale dalla loro personale testimonianza e dal loro agire locale, ovunque essi siano.

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