L’eucaristia al coniuge non cattolico: ecco gli orientamenti

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Il Consiglio permanente della Conferenza episcopale tedesca, riunito a Berlino nei giorni scorsi, ha reso noto, il 27 giugno, il testo riguardante il problema della comunione eucaristica alle coppie interconfessionali. Si tratta di un “aiuto orientativo” la cui prima redazione era stata approvata dai vescovi nell’assemblea episcopale primaverile a Ingolstadt (19 – 22 febbraio 2018) con una maggioranza di due terzi. Era intitolato: Camminare con Cristo – sulle orme dell’unità. Matrimoni interconfessionali e partecipazione comune all’eucaristia.

Nel comunicato finale si legge: «I vescovi hanno votato un “aiuto orientativo” destinato a consentire ai partner evangelici di ricevere questo sacramento, a determinate condizioni. Presupposto è che, “dopo maturo esame in un colloquio con il parroco o con un’altra persona incaricata dal pastore d’anime, siano giunti in coscienza ad acconsentire alla fede della Chiesa cattolica, mettendo così fine a “una grave situazione spirituale”, e vogliano soddisfare “il desiderio ardente di ricevere l’eucaristia”».

In quella circostanza il documento non era stato reso pubblico, perché considerato non ancora maturo e pertanto provvisorio e bisognoso di ulteriori interventi. Ma era bastato per suscitare vivaci discussioni tra gli stessi vescovi, alcuni dei quali avevano espresso apertamente il loro dissenso. Sette di essi anzi avevano scritto alla Congregazione per la dottrina della fede, al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e al Pontificio Consiglio per i testi legislativi per chiedere chiarimenti.

In risposta, papa Francesco convocò una riunione tra alcuni vescovi tedeschi con alti responsabili della Santa Sede, che ha avuto luogo il 3 maggio. A conclusione dell’incontro, il papa rinviò il problema ai vescovi tedeschi perché cercassero di giungere all’unità tra di loro.

Successivamente, il testo di Ingolstadt fu perfezionato nell’incontro dei vescovi a Würzburg, il 23 aprile scorso.

Mentre continuavano le discussioni, il 4 giugno scorso arrivò inaspettatamente la lettera di mons. Luis F. Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che fu interpretata erroneamente sui media poiché sembrava chiudere le porte alle aperture prospettate dai vescovi tedeschi.

Che non fosse così lo testimonia ora la pubblicazione del testo definitivo (Handreichung) abbozzato a Ingolstadt, dove si afferma tuttavia che la questione della comunione alle coppie interconfessionali ha bisogno di ulteriori approfondimenti.

Il nuovo testo

Il nuovo testo ha conservato il medesimo titolo della bozza di Ingolstadt: Camminare con Cristo – sulle orme dell’unità. Matrimoni interconfessionali e partecipazione comune all’eucaristia.

È composto di cinque capitoli con un’appendice. Il primo – intitolato Lo spirito dell’ecumenismo ci incoraggia – prende l’avvio dalla Dichiarazione comune scaturita dall’incontro a Lund tra papa Francesco e il Presidente della Federazione, il vescovo Unib Younan, in occasione dei 500 della Riforma, il 31 ottobre 2016, dove si afferma: «Numerosi membri delle nostre comunità aspirano a ricevere l’eucaristia in un unico banchetto quale espressione concreta della piena unità. Noi avvertiamo la sofferenza di quanti condividono tutta la loro vita, ma che non possono prendere parte alla presenza redentrice di Cristo nel banchetto eucaristico…».

Questa sofferenza è particolarmente sentita in Germania dove più del 40% dei matrimoni religiosi sono interconfessionali. Per questa ragione – scrive il documento – «vogliamo offrire agli sposi di diversa confessione un aiuto pastorale». Di fronte alle difficoltà che esistono «prendiamo sul serio l’incoraggiamento del papa» pronunciato a Roma, il 15 novembre 2015, durante la visita alla Chiesa luterana, rispondendo alla domanda di una cristiana evangelica: «Un battesimo, un Signore, una fede. Parlate con il Signore e andate avanti». Perciò, «noi assumiamo la nostra responsabilità come vescovi». E, in quanto vescovi, «prendiamo sul serio ciò che il concilio Vaticano II ha chiesto nel decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio».

Il presente documento, perciò, «offre un orientamento per un cammino personale responsabile e riconosciuto dalla Chiesa su come aprire la possibilità ai partner evangelici, che vivono in un matrimonio interconfessionale, in casi singoli, la partecipazione comune all’eucaristia».

I fondamenti teologici

A spingerci – scrivono i vescovi – è la “carità di Cristo” (c. 2). Il fondamento teologico del documento poggia anzitutto sul decreto conciliare Unitatis redintegratio (n. 8). In secondo luogo, sul canone 844 § 4 del Codice di diritto canonico dove si legge: «Se vi fosse pericolo di morte o qualora… urgesse altra grave necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti anche agli altri cristiani che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti».

Inoltre, si fonda sul Direttorio del 1993 e, in particolare, sull’enciclica Ut unum sint, dove Giovanni Paolo II scrive che «i sacerdoti cattolici, in determinati casi singoli, possono amministrare i sacramenti dell’eucaristia, della riconciliazione e dell’olio degli infermi ad altri cristiani che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica ma che desiderano ardentemente e chiedono di loro iniziativa di ricevere i sacramenti e testimoniano la fede che la Chiesa cattolica professa» (n. 46).

Altri fondamenti del documento sono l’enciclica Ecclesia de eucharistia, dove si parla di gravis spiritualis necessitas e, infine, l’esortazione apostolica di papa Francesco Amoris laetitia nel suo riferimento alla Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. In Amoris laetitia il papa afferma che, in vista delle «innumerevoli diversità di situazioni concrete», non è utile una «regolamentazione giuridica di tipo canonico», quanto piuttosto «un nuovo incoraggiamento» in vista di «un discernimento responsabile, personale e pastorale dei singoli casi». Il supporto pastorale, però – rilevano i vescovi –, richiede anche una formazione e un aggiornamento spirituale dei pastori.

Famiglia, “piccola Chiesa”

Assieme all’aspetto ecumenico, i vescovi sottolineano anche l’importanza che essi attribuiscono al loro impegno pastorale non solo verso le singole persone, ma anche verso la Chiesa. Infatti, ricevere la comunione non è mai solo un fatto individuale, ma riguarda la comunità che è Chiesa (c. 3). Per questo – dicono – «vogliamo rafforzare la vita sacramentale nel matrimonio e nella famiglia». E affermano di avvertire «come una profonda sofferenza l’esclusione dalla comunione di un coniuge – uomo o donna – evangelico. In questo modo viene ferita anche la relazione dei coniugi con la Chiesa. E c’è il pericolo che gli interessati e le famiglie perdano il contatto con la Chiesa».

I vescovi aggiungono che è loro compito promuovere il matrimonio e la famiglia come “piccola Chiesa”. Scrivono: «La forza sacramentale si manifesta anche in un matrimonio interconfessionale. Si esprime nell’amore vicendevole dei coniugi, nell’educazione alla fede dei figli, nell’attiva partecipazione alla vita della Chiesa… Può essere pertanto un profondo dolore se questi sposi, uniti nel sacramento dell’amore, nella ricerca dell’unità promessa in Cristo, non possono comunicarsi insieme. In questa “piccola Chiesa” può approfondirsi la comunione matrimoniale attraverso la comune condivisione dell’eucaristia vissuta nella fede. Da parte della Chiesa occorre fare di tutto affinché la profonda fonte della loro comunione di vita non minacci di scomparire».

«A questo proposito, noi contiamo su una decisione di coscienza dei coniugi ai quali sta a cuore una vita vissuta nella fede e l’educazione religiosa dei loro figli. Facciamo affidamento anche su una pastorale del matrimonio che approfondisca la fede. I coniugi devono trovare una via sicura per decidere se anche il partner non cattolico, se è battezzato e crede, può ricevere la comunione nella Chiesa cattolica».

A queste considerazioni, nel documento segue un capitolo, il 4°, dedicato a spiegare in maniera semplice, ma esauriente «la fede che ci unisce nella presenza di Gesù Cristo». Affermano: «Colui che nella Chiesa cattolica desidera partecipare al banchetto del Signore, si trova a chiedersi se condivide la fede della Chiesa cattolica: Una fede che ci unisce a Gesù Cristo, ci unisce tra di noi e con tutta la Chiesa e ci unisce con il mondo intero.

Nell’ultimo capitolo viene ripreso il discorso del matrimonio come “piccola Chiesa”. Si dice: «Un matrimonio interconfessionale, che unisce sacramentalmente, realizza già in parte la comunione ecclesiale da cui si è esclusi. Un tale matrimonio, vissuto nella fede, in quanto “Chiesa domestica” è unito intimamente all’eucaristia. Il matrimonio è strettamente legato all’eucaristia poiché tutti i sacramenti che hanno nell’eucaristia il loro centro sono uniti tra di loro e perché la comunità eucaristica e la comunità ecclesiale sono in stretta unione tra loro. Il matrimonio è una forma di vita benedetta che realizza l’unione con Cristo nell’unione degli sposi tra loro e con l’intera Chiesa; è già eucaristicamente centrato. La fede donata dallo Spirito Santo attua la comunione matrimoniale con la vita. Questa “Chiesa domestica” deve evidentemente essere vissuta come tale: in una profonda consapevolezza di fede e nell’unione con tutta la Chiesa. La regolare celebrazione dell’eucaristia è fonte e culmine dell’unione matrimoniale per coloro che condividono la fede eucaristica della Chiesa cattolica…».

Per questo, «invitiamo gli sposi di diversa confessione a cercare un dialogo con il loro parroco o con una persona incaricata della pastorale, per prendere una decisione in coscienza e tale da garantire l’unità della Chiesa. Invitiamo tutti coloro che, finora, non si sono accostati insieme alla comunione a causa della proibizione esistente. Esortiamo coloro che, già da lungo tempo, si comunicano insieme a chiarire la loro pratica in un clima di fiducia. Devono avvertire che sono invitati a seguire una decisione presa in coscienza, maturata in un dialogo pastorale. Per noi, con questo documento è importante servire la libertà di coscienza, la responsabilità della fede e la pace nella Chiesa. Tutti coloro che vivono un matrimonio interconfessionale, e dopo un maturo esame in un dialogo con il parroco o con una persona incaricata della pastorale, sono giunti alla convinzione di coscienza di poter assentire alla fede della Chiesa cattolica, mettendo fine a un “grave stato di bisogno” e di poter soddisfare il desiderio dell’eucaristia, possono accostarsi al banchetto del Signore per ricevere la comunione».

Certamente – concludono i vescovi – «il problema della comunione contemporanea delle persone unite in matrimonio interconfessionale costituisce un importante argomento pastorale che deve trovare risposta nella Chiesa».

Suggerimenti per il dialogo

Nell’appendice del documento viene offerto un aiuto per il dialogo, così concepito:

  • realizzare un buon dialogo, anche se non ci può essere una regola precisa. Questo deve essere effettuato nella preghiera e in tutta libertà;
  • …in unione con Cristo Gesù, come è detto nella seconda preghiera eucaristica della messa: «Per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo».
  • uniti tra di noi e con tutta la Chiesa: «Ricordati, Padre della tua Chiesa diffusa su tutta la terra, rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro papa…, il nostro vescovo…, e tutto l’ordine sacerdotale». «Ricordati anche dei nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza, ammettili a godere la luce del tuo volto».
  • in unione col mondo intero: «Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna insieme con la Beata Vergine Maria, con san Giuseppe suo sposo, con gli apostoli e tutti i santi che in ogni tempo ti furono graditi, e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria».
  • Prendere una buona decisione: Il dialogo fiducioso deve condurre a una decisione di coscienza che sia in armonia con la dottrina e la prassi della Chiesa.
E ora come procedere?

Dopo la pubblicazione di questo documento, come si dovrà procedere? La domanda è stata posta in un’intervista al card. Marx da Christoph Renzikowski per l’agenzia KNA (26 giugno 2018).

Gli è stato chiesto se la controversia tra i vescovi è ora terminata. «In ogni caso – ha risposto – abbiamo alle spalle settimane di discussioni molto accese. Ma non finiranno così presto, perché si tratta di un argomento importante: l’eucaristia è per noi, come Chiesa, il tesoro che il Signore ci ha donato. Non deve pertanto meravigliare che ci siano discussioni su questo nucleo centrale della nostra fede e della nostra vita».

Cha significato ha ora il documento? «Non è un testo normativo, e non esiste nemmeno una regola vincolante. Non si è mai pensato a questo. Molti lo hanno frainteso. Questi malintesi c’erano già nei dibattiti sui divorziati risposati. Non si tratta nemmeno di un invito generale alla comunione, perché molte cose sono state analizzate attentamente. Si tratta di un aiuto ai coniugi di diversa confessione a riflettere seriamente sul loro cammino di fede e di vita, per giungere a una decisione responsabile che non può essere presa dai vescovi o dai sacerdoti, ma dagli sposi in coscienza nei singoli casi. In realtà, questi criteri sono di aiuto anche a tutti quando si pongono la domanda: cosa significa quando vado a ricevere la santa comunione? Cosa significa comunicarsi?».

Nella sua lettera, Ladaria, riportando le parole del papa, aveva scritto che il testo non era ancora maturo per la pubblicazione. Come si è giunti ora a renderlo pubblico?

«Perché – ha risposto il card. Marx – adesso è chiaro che non è un testo dell’intera Conferenza episcopale e che la dimensione mondiale del tema è diventata ancora più chiara. Ecco perché ci atteniamo al desiderio del papa. “Non maturo”, tuttavia, non vuol dire che l’abbozzo non possa servire di orientamento e non possa essere reso pubblico. Il papa non ha criticato il testo in termini di contenuto. Ma anche il nostro testo non è “maturo”, come se avesse risposto definitivamente a tutte le domande. Ora i vescovi nelle loro diocesi dovranno sviluppare gli accenti pastorali che ritengono importanti».

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