Giovani in sinodo: le proposizioni inattese

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Si sono ritrovati in 340 (Roma, 19 – 24 marzo) dai quattro angoli della terra, papa Francesco li ha ascoltati e interrogati, hanno approvato e firmato un documento finale con il titolo “I giovani, la fede e il discernimento vocazione”: il parallelo con lo svolgimento del sinodo dei vescovi, previsto a Roma dal 3 al 28 ottobre 2018, è fin troppo evidente. Ma non è solo una “finta”. C’è da attendersi che molto del materiale elaborato entri nella stesura dell’Instrumentum laboris sinodale, forse sorprendendo i padri non abituati ad un confronto diretto con i più giovani.

Due i guadagni maggiori. Il primo è la conferma di un processo sinodale che diventa stile di Chiesa. Dopo la bella esperienza dei sinodi sulla famiglia, il tema dei giovani poteva spegnere gli interessi di comunità che sono in difficoltà a contattarli. La struttura sinodale ha aperto tutte le strade possibili per permettere loro di prendere parola.

L’assemblea è stata seguita da circa 15.000 giovani attraverso le reti sociali. «Questa riunione pre-sinodale vuole essere segno di qualcosa più grande: la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso… perché abbiamo bisogno di capire meglio quello che Dio e la storia ci stanno chiedendo. Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio» (papa Francesco).

Dove si forma la coscienza

Il secondo guadagno è il riconoscimento della nuova dislocazione della coscienza giovanile. Pur nell’enorme diversità dei luoghi, delle culture e delle storie, la percezione dell’insufficienza dei percorsi formativi tradizionali è diventata evidenza. L’azione della famiglia, della scuola e della Chiesa non basta più. «Ho l’impressione – ha detto un giovane al papa – di non aver realmente costruito una colonna vertebrale, mentre vorrei costruire una fortezza nel mio cuore. Voglio poter scegliere e avanzare, ho questa volontà nel profondo, ma non so da dove cominciare. Può indicarmi un cammino da prendere?».

La coscienza, «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio» (GS, 16) viene certo alimentata dalle tradizionali agenzie, ma è messa alla prova dalle fragilità delle famiglie, dalla distanza della scuola rispetto al compito educativo, dall’insofferenza verso l’istituzione ecclesiale. Essa trova conforto nei gruppi dei pari, nelle filosofie alternative, nei social networks. Lì si affrontano i momenti cruciali: «decidere il nostro indirizzo di studi, scegliere la nostra professione, decidere ciò in cui credere, scoprire la nostra sessualità e fare le scelte definitive per la vita» (doc. finale).

Nelle reti non c’è alcuna parola autorevole di riferimento; ciò che convince è il dialogo e il consenso. Nella percezione che i gestori delle reti trasformano le informazioni raccolte nella materia prima più preziosa, commerciabile, redditizia, indifferente al destino del singolo.

Se i social hanno il potere senza precedenti di unire persone geograficamente distanti e di offrire una formazione altrimenti irraggiungibile, favoriscono anche l’isolamento, la pigrizia, la desolazione. «Gli spazi digitali ci rendono ciechi alla fragilità dell’altro e ci impediscono l’introspezione» (doc. finale).

Se all’autorità si sostituisce il dialogo e il consenso, temi di particolare urgenza come l’aborto, la sessualità, la convivenza, il matrimonio richiederebbero «che la Chiesa cambiasse i suoi insegnamenti o, perlomeno, che fornisca una migliore esplicazione e formazione su queste questioni» (doc. finale).

Le narrazioni di vita sono più efficaci del sermoni teologici.

Prendere parola

Le tre ore e mezzo di dialogo diretto con papa Francesco sono state il momento più intenso delle giornate pre-sinodali. Mi limito a sottolineare alcune indicazioni.

La libertà e il coraggio di prendere parola: «Parlare con coraggio, senza vergogna» da una parte e «ascoltare con umiltà» dall’altra. «Esprimetevi con franchezza e in tutta libertà. L’ho detto e lo ripeto. Con “faccia tosta”. Siete i protagonisti ed è importante che parliate apertamente».

Lo stupore: un sistema educativo che guardi solo alla ragione e non alla trascendenza, al dubbio, all’incerto «ha perso la capacità dello stupore». Ignora il suo compito di unire intelligenza, cuore e abilità manuali.

Aiuto alla Chiesa: «non siete tutti cristiani, nemmeno tutti credenti» ma «il vostro apporto è indispensabile». «Troppo spesso si parla di giovani senza lasciarci interpellare da loro». «Un’istituzione che fa scelte per non rischiare rimane bambina, non cresce».

Clericalismo: «C’è una malattia molto grande, che è il clericalismo, e noi dobbiamo uscire da questa malattia».

Fra i materiali che emergono dai gruppi linguistici di lavoro e dal documento finale (integrale su www.vatican.va) ne sottolineo soltanto alcuni.

Anzitutto la coerenza del percorso sinodale. Annunciato il 15 ottobre del 2016, ha visto il documento preparatorio il 13 gennaio 2017, un incontro internazionale di responsabili sulla pastorale giovanile (5-9 aprile 2017), un seminario di esperti (11-15 settembre 2017), l’assemblea pre-sinodale (19-24 marzo 2018), in vista del documento di lavoro. Non si tratta solo di date, ma della struttura di lavoro: tre le parti sempre riprese (sfide e opportunità; fede, vocazione e discernimento; azione educativa e pastorale) con un lavoro progressivo sui temi enunciati.

Discernere e accompagnare

Il dato centrale è la dimensione spirituale e di fede. Seppure per molti sia difficile collegare la vita con il senso della trascendenza e la sfiducia delle istituzioni con l’appartenenza ecclesiale, tuttavia «i giovani sono aperti alla spiritualità». «Spirituali, ma non religiosi». Pur suggestionati dalla vita e dalla persona di Gesù, percepiscono il cristianesimo come uno «standard irraggiungibile». Più sensibili ai racconti evangelici e della Scrittura che alle normative morali. «I giovani sono attirati dalla gioia, che dovrebbe essere un segno distintivo della nostra fede». Un disponibilità con una curiosa mescolanza di elementi: la Scrittura, il silenzio adorante, i sacramenti, l’ammissione da parte ella Chiesa delle sue fragilità (abusi), i cambiamenti dottrinali, ma anche le conferme (famiglia). La vocazione non può essere solo sinonimo di presbiterato e vita consacrata. Essa «viene dalla dignità intrinseca della vita stessa e… ciascuno ha la responsabilità di discernere chi è chiamato ad essere e che cosa è chiamato a fare».

Fra i temi più discussi vi sono i sogni: «A volte finiamo per rinunciare ai nostri sogni. Abbiamo troppa paura e alcuni di noi hanno smesso di sognare… Succede che non abbiamo più neanche l’opportunità di continuare a sognare».

Risulta ostico l’insegnamento morale, la mancanza di parità fra uomo e donna e il permanente ruolo subalterno della donna nella Chiesa.

Quanto alle nuove tecnologie, essi chiedono alla Chiesa uno sguardo positivo, un sapiente utilizzo e la denuncia delle derive come la pornografia.

La dimensione globale e la connessione mondiale fanno riemergere l’insegnamento sociale della Chiesa. «Vogliamo un mondo di pace, che tenga insieme un’ecologia integrale con un’economia globale e sostenibile».

Povertà, migrazioni, violenze, guerre, persecuzioni fanno emergere la sapienza del magistero: la centralità della persona, la solidarietà, la sussidiarietà, il bene comune, la partecipazione, la proprietà, la destinazione universale dei beni.

Discernimento e accompagnamento sono stati richiesti a gran voce. «I giovani cercano compagni di cammino per attorniarsi da uomini e donne fedeli che comunichino la verità lasciandoli esprimere la loro concezione della fede e della vocazione. Tali persone non devono essere modelli di fede da emulare, ma testimoni vivi, in grado di evangelizzare attraverso le loro vite».

I giovani hanno bisogno di peccatori perdonati: «Accade spesso che le guide vengano messe su un piedistallo e, se cadono, questo ha un impatto devastante nella capacità dei giovani di impegnarsi nella Chiesa».

Il discernimento è lo strumento principe, che permette di salvaguardare lo spazio inviolabile della coscienza, senza pretendere di sostituirsi a essa.

«Il papa mi è parso il più libero», «alcuni sono “polli di allevamento”», «siamo così diversi», «almeno ci hanno ascoltati»: sono alcuni mozziconi di affermazioni, raccolti in fretta nei vasti ambienti del collegio Mater Ecclesiae dei Legionari di Cristo. I giovani “padri sinodali” non sembrano affatto a disagio nella loro rappresentatività ecclesiale.

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