Il web come nuovo pulpito

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La Giornata mondiale della gioventù, il convegno ecclesiale di Firenze, il Festival Bibilico hanno avuto un’ampia diffusione attraverso i tradizionali canali di comunicazione (stampa, radio, tv, poster…). Ma nell’“ambito digital” (Facebook, Instagram, Twitter, Youtube…) chi li ha diffusi e fatti conoscere? Lo Iusve, sigla che significa Istituto universitario salesiano di Venezia, ateneo che sforna laureati e dottori  con il titolo di “web influencer”.

Iusve

Don Mariano

A guidare il dipartimento comunicazione dello Iusve è il “top influencer” quarantacinquenne salesiano, don Mariano Diotto. «Stupisce – ha confidato al settimanale veneziano Gente Veneta del  21 luglio 2017 – quando io mi presento come prete, perché c’è l’idea che la Chiesa sia distante da questo mondo tecnologico». Non è che la Chiesa sia assente da questo mondo, ma vi è presente in modo “formale”, certamente corretto e adatto alla sua identità, ma piuttosto lontano dai fruitori dei nuovi “social”.

Don Diotto richiama la pubblicità dell’8 per mille alla Chiesa cattolica. Cosa mostra quello spot? Il prete di frontiera, il missionario, il volontario fra gli anziani. E va bene, perché, nell’immaginario di molti italiani, quella è la Chiesa. Ma rimane pur sempre uno stereotipo. Perché in quello spot non appare mai il “prete digital”?

Per don Mariano questa è una nuova frontiera che la Chiesa deve varcare, perché ciò che le manca è proprio «la strategia social».

La Chiesa deve convincersi che il web è come il pulpito: «Il messaggio è lo stesso, cambia il linguaggio. Si può fornire una linea di condotta morale e annunciare il Vangelo anche attraverso questo pulpito diverso, che si rivolge a una comunità diversa, molto più vasta».

Il prete salesiano si augura che anche nei seminari si dia spazio ad una “formazione social”, perché «poter raccontare la propria esperienza sacerdotale e di Chiesa via web è importante».

E suggerisce alcune regole d’oro per un efficace utilizzo dei nuovi social.

La prima è «imparare i linguaggi della rete», altrimenti il rischio è di «scrivere predicozzi quando bastano tre righe».

Poi bisogna «essere presenti», nella consapevolezza che esisti se sei presente nel web e che, se un fatto non è presente in rete, esso non è mai esistito. Se sei presente, anche un evento minore farà notizia.

Certamente non bisogna dimenticare la cosa più importante: il messaggio. Una volta che hai cominciato a popolare la rete, questa diventa un nuovo spazio per il Vangelo. Uno spazio che richiede fedeltà e che va curato, monitorato e migliorato.

Pericolo da evitare è «la convinzione di molti parroci che questo aspetto debbano seguirlo solo loro». Troppa autoreferenzialità. Bisogna essere capaci di delegare.

Don Mariano fa notare che l’account ufficiale (Twittwer) di papa Francesco raggiunge circa 40 milioni di interlocutori. Quanti ne avrebbe in più se utilizzasse anche altri linguaggi come Facebook, Instagram…?

Il salesiano constata che «non esistono ancora realtà strutturate della Chiesa sul web» e che, se è vero che parrocchie e oratori hanno creato il loro sito internet, questo è solo un primo passo (spesso anche non più aggiornato e, da ultimo, abbandonato).

A quelli che si meravigliano della sua attività, il direttore del dipartimento comunicazione dello Iusve risponde che «don Bosco diceva che dobbiamo noi conoscere la lingua dei giovani, per riuscire a portarli a Dio». Gestire i nuovi linguaggi dei giovani rientra quindi in pieno nel carisma salesiano, tanto che – confida don Diotto – «sono diventato guida spirituale di molti di loro».

Don Marco

L’altra voce ospitata nello stesso numero di Gente Veneta è quella di don Marco Sanavio, prete padovano, coordinatore della Commissione per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale triveneta. Anche per lui «la Chiesa non può non abitare il web e i social…, perché questi sono i mezzi e i linguaggi della comunicazione oggi».

Constatando come alcuni ragazzi riescono ad avere milioni di follower, don Sanavio si domanda perché la Chiesa non riesce a sfondare su questo lato. Ammette: «Noi faremo fatica, con il tipo di tessuto formativo e morale che abbiamo creato nei nostri ambienti, a “sparare” questi fenomeni…, per cui difficilmente riusciremo a bucare con fenomeni virali». Ecco un aggettivo – virale – relativamente nuovo acquistato dal vocabolario inglese. Per noi italiani esso significa “a diffusione capillare”.

Don Marco rileva come, dopo un decennio di euforia dell’utilizzo dei social in ambito ecclesiale (2000-2010), si sia entrati in un periodo di stanca. Il motivo? Oltre alla mancanza di esperienze di rilievo che sollecitassero la volontà di investire, «non sono cresciuti di pari passo la professionalità e l’impegno degli operatori». E poi «si sperava di fare tanto con poco».

L’ultimo incontro dei direttori degli uffici comunicazioni sociali del Triveneto ha deciso, per futuro prossimo, di concentrarsi sul locale, offrendo servizi a parrocchie e a vicariati in ambito web.

Come esempio di un uso efficace dei social, don Sanavio ha portato l’iniziativa di un gruppo di ragazzi della diocesi di Padova, i quali, in maniera artigianale ma frizzante, hanno creato una miniserie di sketch (durata neanche due minuti) per raccontare il sinodo dei giovani avviato in diocesi.

Ragionando poi sul successo (14 milioni di visualizzazioni) de “Il video del papa”, realizzato dal direttore dell’agenzia argentina Machi, il sacerdote padovano tornava sul concetto che la Chiesa deve imparare in fretta questi nuovi linguaggi: «Noi – diceva – siamo abituati ai contenuti “di spessore”», mentre «dovremmo imparare a semplificare per “viralizzare”, senza perdere la sostanza».

I due preti intervistati da Gente Veneta sembrano dire alla Chiesa: “Datti una mossa, impara ad abitare bene il web”!

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