La miccia accesa dal papa: un sinodo dei e per i giovani

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Il sinodo dei vescovi sui giovani

Quando si doveva celebrare il sinodo per la famiglia, c’era fermento non solo all’interno della Chiesa, ma anche l’opinione pubblica risultava attenta. Ci si aspettava che il sinodo, sulle indicazioni di papa Francesco, affrontasse temi scottanti e si attendeva di sapere – nel linguaggio comune – se la Chiesa sarebbe cambiata oppure no.

Questo interesse mediatico non si sta ripetendo per il sinodo dei vescovi su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, che si andrà a celebrare a ottobre 2018 e che verrà preceduto da un pre-sinodo a marzo, con la rappresentanza di trecento ragazze e ragazzi. Per favorire l’avvicinamento al sinodo, la Santa Sede ha creato un bel sito: http://www.synod2018.va dove vengono raccolti vari materiali. Tuttavia, scorrere il menù a tendina della Rassegna stampa è sconfortante, per la pochezza degli articoli e per il fatto di non trovare alcun intervento di giornali, riviste o fonti non ecclesiastiche davvero importanti.

Sul fronte ecclesiale, molte diocesi hanno preparato a loro volta un sito internet dedicato, ma si ha l’impressione di un’enorme difficoltà a tradurre concretamente questo interesse in un impegno pastorale reale per non mancare l’appuntamento e vivere il sinodo come un momento forte di Chiesa per i giovani.

Il disinteresse dei media, dunque, si intreccia con la fatica della Chiesa a vivere una conversione oltre che missionaria, oserei dire anche “giovanile”.

Il motivo di questa situazione risiede nel fatto che, per suscitare una vera attenzione ai giovani, bisognerebbe avere un reale interesse verso di loro, le loro vite, il loro futuro e i motivi della loro difficoltà a credere.

Mentre con l’ultimo sinodo l’opinione pubblica attendeva la notizia sugli argomenti morali spinosi e di capire chi fosse “dentro“ e chi fosse “fuori”, i problemi che interessano i giovani, pur essendo anch’essi importanti e spinosi, pare non facciano altrettanto notizia. Anche se numericamente, almeno nel nostro continente europeo, i giovani sono semplicemente “fuori” rispetto alla Chiesa, questo non interessa realmente a nessuno. Sbagliano loro. Si sono persi. Che la Chiesa mantenga il timone dritto e avanti tutta… finché ci sarà almeno un vecchio mozzo sul ponte. Cosa ci si può aspettare, dunque, da questo sinodo? Ne verrà fuori – si pensa – la solita riflessioncina sui giovani, che si potrà subito integrare e neutralizzare come una variabile dell’onnicomprensivo sistema-funzione.

Nella Chiesa italiana vedo un chiaro sintomo di questa disaffezione nella noncuranza con cui si affronta il venir meno della vicinanza dei preti ai giovani. La figura dei viceparroci (tradizionalmente più orientati al mondo giovanile) e quella degli assistenti dedicati alle associazioni e ai movimenti, entrambe in via di estinzione, erano quantomeno un simbolo. Un simbolo di predilezione che sta scomparendo e, con esso, la realtà che significa. Mancano scelte in questa direzione. Non c’è dedicazione, né investimento.

Eppure il papa aveva parlato chiaro.

L’intenzione del papa

Durante la veglia di preghiera per la GMG diocesana, in S. Maria Maggiore a Roma, l’8 aprile 2017, anche con un inequivocabile linguaggio del corpo – come a dire: “Questa cosa voglio che la capiate bene: è così, senza possibilità di fraintendimento!” – dopo avere escluso categoricamente un sinodo «aperto» solo nel senso di coinvolgere le più svariate realtà cattoliche, aveva detto: «No! Il sinodo è per e di tutti i giovani». Non pago, ha voluto precisare: «I giovani sono i protagonisti; ma anche i giovani che si sentono agnostici? Sì! Anche i giovani che hanno la fede tiepida? Sì! Anche i giovani allontanati dalla Chiesa? Sì! Anche i giovani… – non so se qualcuno, ma… magari ci sia qualcuno… – i giovani che si sentono atei? Sì. Questo è il sinodo dei giovani e noi tutti vogliamo ascoltarci…».

Il video, che si trova facilmente su You Tube,[1] è assolutamente da vedere, per la potenza e il carisma di papa Francesco.

In quell’incredibile discorso, tuttavia, papa Francesco non si accontenta di dire un convenzionale: «Tutti vogliamo ascoltarci», ma prosegue e insiste: «Ogni giovane ha qualcosa da dire agli altri, ha qualcosa da dire agli adulti, ha qualcosa da dire ai preti, alle suore, ai vescovi e al papa! Tutti abbiamo bisogno di sentire voi!».

Qualunque luogotenente capisce quanto questo sia un editto pericoloso.

Dare così autorevolmente parola ai giovani, infatti, non è innocuo. Papa Francesco lo ha ribadito di recente durante i tradizionali auguri natalizi alla curia romana, nell’ambito di una riflessione ben più ampia sulla riforma della Chiesa. «Chiamare la curia, i vescovi e tutta la Chiesa a portare una speciale attenzione alle persone dei giovani, non vuol dire guardare soltanto a loro, ma anche mettere a fuoco un tema nodale per un complesso di relazioni e di urgenze. […] Ascoltando le loro aspirazioni possiamo intravedere il mondo di domani che ci viene incontro e le vie che la Chiesa è chiamata a percorrere».[2]

Il mondo di domani che ci viene incontro e le vie che la Chiesa è chiamata a percorrere?! Ascoltate dai giovani?!

«Chiedilo ai giovani!»

Per capire quale sia la posta in gioco, possiamo fare riferimento a un precedente alquanto significativo, in occasione della Route nazionale dei Rover e Scolte dell’Agesci, a San Rossore (PI), nell’agosto 2014.

Questo appuntamento era stato preparato durante l’anno con l’intenzione di coinvolgere i ragazzi e i giovani attorno a una parola chiave: il coraggio. L’incontro è stato preceduto nella settimana da 456 percorsi convergenti verso San Rossore, che hanno coinvolto un totale di circa 30.000 giovani partecipanti, tra i 16 e i 21 anni.

Durante il raduno, che aveva come titolo Strade di coraggio, raccogliendo i moltissimi contributi di questo lungo cammino, i 456 rappresentanti delle delegazioni hanno redatto una Carta del Coraggio,[3] da presentare alla Chiesa e alle istituzioni. È stata una delle migliori esperienze di ascolto dei giovani degli ultimi decenni, sia come metodo che come efficacia.[4]

Ma qual è stato il problema? Il fatto è che i giovani non hanno scritto ciò che la Chiesa si aspettava di sentire e nemmeno ciò che gli adulti speravano scrivessero. Prendendo in mano il loro coraggio – come erano stati invitati a fare – hanno chiesto scelte molto diverse su tutti i temi spinosi o decisivi del dibattito ecclesiale: sessualità, unioni omosessuali, famiglia, testimonianza profetica della Chiesa, ambiente.

Di fronte a questo esito, anche molte famiglie degli stessi partecipanti e molti capi di quei medesimi gruppi scout hanno espresso forti perplessità sul risultato dell’esperimento. Nonostante una magnifica dichiarazione di intenti dei responsabili nazionali con cui la Carta è stata consegnata all’Associazione,[5] oggi si registra solo la difficoltà di dare seguito a questa esperienza e anche la perplessità se riproporre una tale modalità d’ascolto, dal momento che prima si chiede loro di parlare («Ask the boy!» è il motto di questa metodologia scout) poi si preferirebbe non averlo fatto.

Stabilire programmaticamente di ascoltare davvero un giovane, qualunque giovane, che abbia qualcosa da dire al papa, è un principio di riforma potentissimo. Significa accendere una miccia, che potrebbe fare saltare la roccaforte.

C’è da credere che il papa non sappia quello che fa? Alcuni ne sono convinti, ma in verità, ricordando che più volte lui stesso ha dichiarato la sua intenzione di innescare processi, verrebbe da pensare che lui confidi proprio in questo esito. Per lui non sarà indispensabile esserci, ma ne ha posto l’irreversibile inizio, come il sassolino che distrugge la statua enorme, nel sogno di Nabucodònosor (cf. Dn 2,31ss.). Il tempo è superiore allo spazio e la realtà è superiore all’idea (cf. EG), e il mondo di domani ci viene incontro nei giovani.

A questo punto, ritengo indispensabile una precisazione. I giovani non vogliono essere considerati “il futuro” di qualche cosa: della Chiesa, del mondo, di un’associazione o di un’istituzione. Quando ci sarà quel futuro, quei giovani saranno diventati adulti. Nella retorica dei giovani come “il futuro di” si nasconde l’idea maliziosa che non sia mai il loro momento, che non ci sia mai “presente” per loro, perché li si attende come futuro; pena, poi, il fatto che il futuro sarà sempre occupato dagli adulti che diranno ai giovani che il loro tempo sarà domani.

Il papa che vuole dare parola ai giovani adesso, lo vuole fare perché la Chiesa sia formata dalla loro partecipazione di oggi. Dobbiamo dunque ritenere che la Chiesa debba essere plasmata in maniera acritica dal contributo dei giovani? No. La sfida che pone il papa, però, è che la Chiesa impari onestamente a lasciarsi interpellare dai giovani, anche quando non sono rassicuranti e quando non le danno conferme.

Paradossalmente, ritengo che proprio in questa chiarezza e determinazione del papa risieda il problema di un sinodo che rischia di passare sotto traccia, come se ci fosse una forza latente – ma ben consapevole – preoccupata di neutralizzare questo potenziale eversivo da lui innescato.

Conclusione

In conclusione, vorrei proporre un’interpretazione. Non ho elementi sufficienti per sostenere che corrisponda effettivamente al pensiero del papa (anche se riguardando il video citato, ci sarebbe da crederlo). Tuttavia, è una chiave di lettura che prende spunto da lui e che lascio umilmente aperta al dibattito e alle correzioni.

La situazione della Chiesa pare, su alcuni fronti, attualmente irriformabile, e non per principi dogmatici da cui si ritiene di non potere prescindere, ma perché quei principi si applicano come un canone fisso, bloccato dai custodi della tradizione, intimoriti da nuovi scenari.

Non ci sarà alcuna consegna, in questo senso, nessun passaggio possibile.

Le donne non avranno un ruolo istituzionale nella Chiesa e ruoli di ministero perché qualcuno glieli avrà riconosciuti, o almeno concessi.

Non sarà possibile una reale reinterpretazione della sessualità, o un approccio differente alle questioni degli affetti, perché qualcuno dei “vecchi” avrà guidato in questa via le nuove generazioni. Quello che si vede è solo ripetizione, che divarica la forbice con la vita dei giovani, in nome della verità.

Non si riuscirà a cambiare il paradigma della pastorale, perché i parroci saranno diventati improvvisamente degli iconoclasti di quello che hanno fatto fino al giorno prima, per decenni.

Non sarà possibile che questo avvenga per trasmissione di chi occupa adesso la scena. Ma forse – io interpreto il papa così –, se diamo parola ai giovani, dentro un processo riconosciuto di Chiesa, queste cose avverranno e avremo ridato loro, ai giovani, una casa.

[1] Digitare la chiave di ricerca: “papa Francesco parla del sinodo dei giovani”.

[2] FRANCESCO, Discorso per gli auguri di Natale alla Curia romana, 21-12-2017. L’ultima frase è una citazione, interna al discorso, del Documento preparatorio al sinodo dei Vescovi – Assemblea Generale Ordinaria XV.

[3] La Carta del Coraggio, con la scansione delle firme originali dei ragazzi, si trova sul sito dell’Agesci: www.agesci.it.

[4] C’è una bellissima testimonianza su questa esperienza nel Settimanale on line della Diocesi di Bergamo, di M. MARZANO, Mi sento uno scout. La straordinaria ‘Carta del Coraggio’ consegnata a Renzi e ai vescovi, 23-08-2014.

[5] Anche questa nota di accompagnamento si trova sul sito dell’Agesci: www.agesci.it.

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Un commento

  1. Claudio Bargna 15 gennaio 2018

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