Lettera dall’Ecuador

di:

Ecuador coronavirusDall’Ecuador ci scrive don Claudio Bernardi, prete della diocesi di Lacatunga in Ecuador, originario di Asola nel mantovano.

Una testimonianza che ci viene dall’altra parte del mondo.

Oggi, al tempo stesso, così simile e pur sempre così diversa da quella in cui viviamo noi.

Sono nella  mia casa a Guangaje. Sono “recluso”, cosí come tutti voi in Italia, a causa del Covid19. Si, il virus ha attraversato l’oceano ed è giunto anche qui in Ecuador!

Probabilmente è  arrivato dalla Spagna e si sta diffondendo molto rapidamente nel paese, tanto da trovarci al secondo posto in America Latina, dopo il Brasile, per numero di casi. I dati ufficiali odierni – 25 marzo – parlano di 1.211 contagi e di 29 morti in tutto il paese. In Italia capite bene che i numeri che vengono letti dai governi sono del tutto approssimativi.

Probabilmente i casi di positività e di malattia in corso sono molti e molti di piú. Ormai ci sono persone contagiate in quasi tutte le province: 21 su 24, dalla costa alla sierra, dalla foresta amazzonica alle isole. La regione con il numero piú elevato di casi è per ora la costa, in particolare la provincia di Guayas. Anche dalla nostra provincia, da ieri, sono stati resi noti due casi, con un morto.

Il governo – preoccupato da quanto stava accadendo in altri paesi –  ha  prontamente messo in atto misure di per sé molto rigorose di cautela: ha istituito il coprifuoco dalle 14 alle 5 del giorno successivo, ha autorizzato la circolazione delle auto solo a targhe alterne e solo per ragioni di necessità (acquisto di generi alimentari e di medicine, trasferimenti ai centri di salute e ospedali), ha istituito un numero telefonico di riferimento per l’emergenza sanitaria, ha chiusto tutte le scuole e universitá del paese, ha chiuso tutti i mercati all’aperto di prodotti alimentari e soppresso i trasporti pubblici, ha imposto il telelavoro per alcune professioni ecc..

I vescovi

La nostra Conferenza episcopale ha chiesto di sospendere tutte le celebrazioni pubbliche, gli incontri formativi, la catechesi. Tuttavia la gente con la quale vivo qui sulle montagne sta capendo ben poco di quel che sta accadendo e del pericolo che si sta attraversando. I poveri del mondo sono poco informati e poco se ne preoccupano.

A motivo delle loro normali condizioni di vita hanno molto spesso la tosse e magari anche la febbre con dolori diffusi. Lavorano e camminano sotto la pioggia, vivono in case piene di fumo, cucinano sulla legna senza stufa né canna fumaria e si riscaldano così anche di notte quando fa molto freddo. Cosa ne possono sapere del virus? Come possono capire quale sia la causa della loro tosse?

Diverse persone originarie della mia parrocchia, che vivono stabilmente nelle città per lavoro, sono tornate su queste montagne aumentando così il rischio di portare con sé il contagio. La visione che la mia gente ha qui della vita è diversa dalla concezione che ne abbioamo noi in Italia e in occidente. Con rassegnazione mi dice: “di qualcosa dobbiamo morire, prima o poi”.

In parrocchia

Sono dunque nella casa parrocchiale insieme coi volontari che abitualmente mi accompagnano e mi aiutano nel lavoro pastorale al servizio dei poveri. Portiamo insieme una viva preoccupazione per la gente del posto. La maggior parte appartiene all’età avanzata perché i giovani sono andati via da tempo. Il contagio potrebbe avere quindi per molti un effetto letale.  Noi conosciamo bene, poi, i livelli, le organizzazioni, le strutture, e i mezzi della sanità pubblica di questo paese e ciò non può che preoccupare ulteriormente.

Cosa possiamo fare per aiutare? Spesso i poveri non hanno neppure l’acqua per potersi lavare le mani o i soldi per poter comprare il sapone. Questo solo per citare la prima delle raccomandazioni. Perciò ora stiamo aiutando le persone più bisognose con razioni abbondanti di viveri e di prodotti per la casa, almeno per evitare che tentino di andare in città per le compere come da abitudine.

Stiamo anche regalando delle mascherine di tela confezionate in casa parrocchiale. Mia mamma dall’Italia ci ha mandato il cartamodello. Stiamo collaborando con le autorità locali in ciò che ci viene richiesto.

Portiamo con noi  ovviamente una grande preoccupazione per i nostri familiari, gli  amici e tutte le persone care che sono lontane all’altro capo del mondo. Per il momento, e grazie a Dio, la mia famiglia in provincia di Mantova sta bene. La sento quotidianamente. Soffro e prego quando avverto tristezza, preoccupazione, stanchezza, paura per il domani.

La messa e la preghiera

Ogni giorno, con le persone della casa parrocchiale, celebro la messa alle 7 del mattino. Ci ritroviamo alle 6 della sera per pregare il rosario. Continuiamo a pregare per i nostri cari, per la nostra gente ecuadoregna, per gli ammalati di tutto il mondo, per le anime dei defunti, per tutte le persone che si stanno impegnando al servizio della gente: medici, infermieri, agenti pubblici.

Credo che pregare sia la cosa piú importante che possiamo fare in questo momento. Invitiamo la gente a seguire la celebrazione della messa e la recita del rosario dall’emittente radio della diocesi. Ma abbiamo la  sensazione che al mondo intero interessi sempre meno la voce della preghiera. Noi sappiamo tuttavia che il nostro Dio ci ascolta. Anche se in questa quaresima dell’umanità pare non possa fare niente. È impotente in Cristo sulla croce. In attesa della Pasqua.

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