La morale “fai da te”

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Mi è stato chiesto perché, nella Chiesa, alcuni argomenti «quali i rapporti prematrimoniali, il divorzio, l’aborto, la contraccezione… fanno scorrere fiumi di inchiostro, per poi scomparire dal dibattito pressoché del tutto. Per assuefazione? Per stanchezza? Per rassegnazione?».

La risposta che tento di dare deriva dalla lettura esperienziale dei fenomeni religiosi e sociali che riguardano le nostre terre.

Cambiano riferimenti e comportamenti

Da qualche decennio la Chiesa in occidente, compresa l’Italia, con i suoi insegnamenti, è stata relegata nelle sfera privata. In termini espliciti, significa che ogni individuo fa riferimento alle indicazioni religiose, a prescindere dalla dottrina, né lo Stato è più disposto a sorreggere leggi contrarie al comune sentire. È stata tolta alla Chiesa l’autorità di indicare vie evangeliche ai comportamenti personali e sociali. In parole dirette, sono stati ridimensionati i suoi riferimenti morali.

Vengono in mente le esortazioni che il card. Ruini, quando, presidente della Conferenza episcopale italiana, insisteva sui “valori non negoziabili” e la creazione, già dal 2008, del “progetto culturale”: tentativo di ricostituire in Italia una presenza partitica cattolica, capace di salvaguardare i principi cristiani. Tentativo che è fallito; né è più sorto un partito dei cattolici.

A distanza di tempo, si può dire che questi cambiamenti sono derivati dal cambio di cultura che ha raggiunto tutti gli strati sociali.

Già nel 1974 era stato approvato il referendum per la legge sul divorzio. La celebre legge 164 sull’interruzione volontaria della gravidanza non fu abrogata, con il referendum del maggio 1981 che rispose con il 78% dei votanti perché rimanesse come era stata promulgata nel 1978. Recentemente la Corte Costituzionale (22 Novembre 2019) ha dichiarato «non punibile, a determinate condizionichi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

È iniziato il dibattito sul riconoscimento di figli per coppie omosessuali, nati all’estero con maternità surrogata oppure figli di una partner della coppia omosessuale o lesbica. Sono posti sempre più quesiti sulla teoria del gender. Il disegno di legge in discussione al parlamento (ddl Zan), all’art. 1, lettera d) dichiara «per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».

L’analisi dei fatti certifica che il cambiamento sui temi che riguardano la condotta personale nelle relazioni tra le persone e nella famiglia hanno abbandonato il riferimento alla morale cristiana.

Il personalismo

La domanda che emerge è come sia stato possibile il cambiamento. A mio parere, per i temi che qui interessano, sono due i fattori che hanno determinato l’attuale orientamento.

Il motivo centrale è la personalizzazione delle risposte di condotta: è rifiutata ogni autorità esterna alle proprie sintesi. Il centro del giudizio morale è stato ridotto alla “mia libertà per la mia felicità”.

Si innescano così opinioni diverse e contrapposte: rifiuti e accettazioni teoriche, anche in presenza di comportamenti contraddittori. La famiglia deve essere formata da padre e madre, ma il concepimento del figlio può avvenire al di fuori della famiglia; la religione è importante, ma è possibile frequentare liberamente partner diversi, senza impegni giuridici.

Le contraddizioni non sono percepite perché, al di sopra di ogni considerazione, prevale la libertà personale. Spesso dai desideri si passa alla logica dei diritti. Sembra che lo Stato sia ridotto semplicemente a impedire i soprusi nei confronti della libertà propria e dei terzi.

Da questi presupposti nasce la spinta ai cambiamenti della legge civile e penale. L’unico ostacolo è la violenza, in quanto viola la libertà della vittima. Riferimento drammatico è lo stupro di gruppo: ritenuto delitto se viola la liberta della vittima; nessun giudizio se c’è consensualità.

La tendenza al personalismo è rafforzata dalla comunicazione: giornali, Tv, cinema, letteratura, arte offrono situazioni nelle quali prevale la sintesi personale sui propri comportamenti, senza che si alzi nessuna obiezione: chi si permette di farlo viene tacciato, come minimo, da retrogrado o invadente.

L’accoglienza paziente

La Chiesa è rimasta sola nella difesa dell’armonia delle relazioni personali e familiari. Le reazioni possibili si sono ridotte alla difesa autorevole oppure all’accoglienza paziente.

La prima reazione garantisce la tutela della dottrina, ma corre il rischio di essere inascoltata perché sostanzialmente rifiutata. La seconda esige il percorso nuovo di una (ormai) minoranza che offre altre prospettive di vita, senza impedire libertà e felicità.

Per chi vive la vita pastorale la seconda via è migliore, anche se rimane incerta nei risultati e di lunga durata. Si tratta di recepire “briciole” di spiritualità. Anche per chi nega, si oppone, è agnostico o addirittura ostile alla Chiesa si creano situazioni di riflessione e di spiritualità. Si tratta, in altre parole, di avviare l’ascolto e il dialogo – nel linguaggio ecclesiastico si chiama catechesi – a partire dalla vita concreta delle persone: una ad una. Una catechesi che tiene ben in mente i principi fondamentali, ma non per partire, ma per arrivare alla sintesi.

Lo schema catechetico classico che offre la dottrina (dommatica, liturgica, morale) non ha speranza di essere accolta. Non per cattiveria, ma semplicemente perché mancano i presupposti per essere ascoltata e compresa.

In altre parole, si tratta di offrire la prospettiva di una felicità che deve essere armoniosa, più alta della semplice sopravvivenza, della relatività degli interessi “mondani” pure comprensibili.

Una via “ascetica” che parte da sé e va alla ricerca di Dio. Tale via è difficoltosa perché ha bisogno di armonizzare ogni singola storia per cercare la luce e, alla fine, conoscere il volto di Dio. Si potrebbe chiamare esperienziale, con tutte le complicanze di vicende personali. Ciò vale anche per chi è cristiano convinto perché l’ascesi aiuta a confrontarsi con i misteri di Dio.

La dottrina rimane punto di sintesi che deve sempre diventare esperienza vissuta. La morale, la liturgia, la legge debbono entrare nella vita, senza dimenticare che le verità hanno una loro gradualità, come ricorda la Evangelii gaudium di papa Bergoglio (nn. 35-36) citando il Vaticano II nel Decreto sull’ecumenismo (n. 11).

È una via tortuosa, mai lineare e progressiva: per questi motivi il cristiano, il pastore, l’organizzazione ecclesiastica debbono accompagnare. Si tratta di riscoprire la via esclusivamente religiosa, a prescindere dai risultati, dai tempi, dalle contraddizioni della ricerca.

Le uniche due virtù da richiedere sono l’umiltà e la coerenza. Si tratta in fondo di dare senso alla vita.

L’umiltà non è – come a volte è stata descritta – l’umiliazione di sé e il senso del peccato, ma la verità della propria condizione. Nel profondo della coscienza si possono scoprire limiti ma anche risorse.

La virtù della coerenza libera dalla tentazione dell’ideologia: il cristianesimo non è un’idea, ma una proposta di vita, in terra e dopo la morte.

L’orizzonte si allarga ai misteri profondi. In compenso, il lavoro fatto offre pace e prospettiva: gli obiettivi autentici della felicità.

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3 Commenti

  1. Giuseppe Samà 27 maggio 2021
  2. Cesare Contarini 25 maggio 2021
    • César Rocha 4 febbraio 2024

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