Nell’Amoris lætitia il diritto alla felicità

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Dopo averci fatto dono della Evangelii gaudium, papa Francesco ci regala Amoris lætitia: dopo la gioia del vangelo, la gioia dell’amore in famiglia (Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia”)!

Per dire Evangelii gaudium Francesco scrive in spagnolo La Alegría del Evangelio; per dire Amoris lætitia scrive ancora La Alegría del Amor. Quanto all’incipit delle due esortazioni apostoliche, dunque, gaudium parrebbe equivalere a lætitia: come «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù», così «la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa».

Sta di fatto, però, che sia in Evangelii gaudium che in Amoris lætitia non si parla solo di “gioia”, ma anche di “felicità”. Non è, anzi, esagerato affermare che Amoris lætitia è una stupenda lode alla bellezza e alla felicità dell’amore in famiglia.

Accogliere e accompagnare il desiderio di felicità

Per quanto riguarda Evangelii gaudium è sufficiente richiamare quanto scritto al n. 182: «Non si può più affermare che la religione… esiste solo per preparare le anime al cielo. Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla vita eterna, perché Egli ha creato tutte le cose “perché possiamo goderne” (1Tm 6,17), perché tutti possano goderne».

Per prospettare una fede capace, anche nelle difficoltà della vita, di rendere felici, Amoris lætitia fa ricorso 52 volte al termine “gioia” e 23 volte al termine “felicità” o all’aggettivo “felice” (declinato, a volte, al plurale “felici”). Quasi a dire che, per annunciare il Vangelo della famiglia – «gioia che riempie il cuore e la vita intera» (n. 200) –, bisogna accogliere il desiderio di felicità presente nelle donne e negli uomini di oggi e accompagnarlo, così da farne la porta di ingresso alla fede cristiana, la quale mira non solo a far star bene ma anche a camminare verso il bene, personale e sociale.

Il diritto alla felicità

Di fronte alle difficoltà che si incontrano oggi nel proporre l’insegnamento cristiano sul matrimonio e sulla famiglia, non serve agire con atteggiamenti difensivi o sprecare le energie spirituali «moltiplicando gli attacchi al mondo decadente», ma bisogna essere capaci di indicare in modo propositivo strade di felicità (n. 38). Invece di presentare «un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie», più incentrato sul dovere della procreazione che sull’invito a crescere nell’amore e nell’ideale di aiuto reciproco (n. 36), bisogna parlare del matrimonio in termini di «percorso dinamico di crescita e di realizzazione che dura tutta una vita» (n. 37). I momenti felici che gli sposi celebrano grazie al loro amore, alla bellezza della paternità e della maternità, alla condivisione dei progetti e delle fatiche, dei desideri e delle preoccupazioni servono a sostenersi nei passaggi difficili della loro storia di vita (n. 88).

Anche per quanto riguarda il matrimonio e la vita familiare alla mera difesa di una dottrina fredda e senza vita va preferita la regola del far risuonare sempre il “primo annuncio”, ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario, da ascoltare sempre in modi diversi, cioè l’annuncio di amore e di tenerezza illuminato dall’infinito amore di Dio Padre, manifestatosi in Cristo, sempre vivo in mezzo a noi (nn. 58 e 59). Nel cammino di preparazione al matrimonio non è la quantità ma la qualità dei contenuti che fa la differenza: «bisogna dare priorità – insieme ad un rinnovato annuncio del kerygma – a quei contenuti che, trasmessi in modo attraente e cordiale, aiutino i fidanzati a impegnarsi in un percorso di tutta la vita con animo grande e liberalità» (n. 207).

La persona amata va valorizzata e le si deve riconoscere il diritto ad essere felice (n. 138), anche grazie a quella modalità privilegiata e indispensabile per la maturazione dell’amore coniugale che è il dialogo (n. 136), il quale si rivela particolarmente proficuo quando scaturisce da una ricchezza interiore alimentata dalla lettura, dalla riflessione personale, dalla preghiera e dall’apertura alla società (n. 141). L’amore riconosce il diritto che ciascun essere umano ha alla felicità: amare una persona e guardarla con lo sguardo di Dio Padre, che ci dona tutto “perché possiamo goderne” (1Tm 6,17), significa godere intimamente del fatto che lei possa essere felice (n. 96). Dio ama la gioia dell’essere umano: anche per questo motivo moglie e marito avvertono rivolto a se stessi l’invito di Siracide 14,14 «Non privarti di un giorno felice» e gli sposi rispondono alla volontà di Dio quando seguono il consiglio biblico di Qohelet 7,14 che il biblista Gianfranco Ravasi traduce “nei giorni felici sii felice” e che nella citazione spagnola di Amoris lætitia  suona «alégrate en el día feliz» (n. 149).

Come la vita insegna, il matrimonio è fatto di gioie e di fatiche, di tensione e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri (n. 126). Tuttavia, si vive insieme non per essere meno felici, «ma per imparare ad essere felici in modo nuovo», a partire dalle crisi inevitabilmente presenti nella vita di coppia, ma che, se superate senza curve discendenti o mediocrità sopportate, possono portare ad una relazione più intensa. Assumendo il matrimonio come un compito, che richiede il superamento degli ostacoli, ogni crisi non solo può essere percepita «come l’occasione per arrivare a bere insieme il vino migliore», ma può nascondere una buona notizia da ascoltare «affinando l’udito del cuore» (n. 232).

La felicità consiste nel donarla agli altri

Per coltivare una vita sana e felice la famiglia deve essere in grado di lottare per la felicità degli altri (n. 145). L’amore, infatti, fa sperimentare «la felicità del dare», nonché «la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire» (n. 94). L’amore si rallegra della felicità altrui, dal momento che, come ha detto Gesù secondo At 20,35, «si è più beati nel dare che nel ricevere» (n. 110). Le gioie più intense della vita nascono quando, come in un anticipo di cielo, riusciamo a procurare la felicità agli altri: «è dolce e consolante la gioia che deriva dal procurare diletto agli altri, di vederli godere» (n. 129). La preoccupazione di fare il bene dell’altra persona è reciproca. Dare amore significa anche ricevere amore. Un vero amore «è capace di accettarsi come vulnerabile e bisognoso, non rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le espressioni corporali dell’amore nella carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione sessuale» (n. 157).

Sotto l’impulso dello Spirito, la famiglia cristiana avverte il desiderio di uscire «da sé per riversare il proprio bene sugli altri, per prendersene cura e cercare la loro felicità» (n. 324). Riconoscere il diritto alla felicità di ciascun essere umano significa anche rifiutare le situazioni ingiuste che permettono ad alcuni di avere troppo e ad altri nulla e non far mancare il proprio contributo perché quanti sono scartati dalla società possano sperimentare un po’ di gioia (n. 96). Il segreto di una famiglia felice è, come si legge in Lc 14,14, invitare alla propria mensa poveri, storpi, zoppi e ciechi (n. 183). Le famiglie cristiane sono esortate a non chiudersi nella loro propria comodità e a non restare indifferenti davanti alle sofferenze delle famiglie povere e più bisognose, «dove i limiti della vita si vivono in maniera lacerante» (n. 49). La partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale deve fare in modo che le famiglie cristiane si aprano «ad una maggiore comunione con coloro che sono scartati dalla società». In virtù del carattere sociale della «mistica del Sacramento», la famiglia che si accosta alla mensa eucaristica senza concretamente impegnarsi a favore dei poveri e dei sofferenti o senza reagire alle diverse forme di divisione e di disprezzo e di ingiustizia, «riceve l’eucaristia indegnamente» (n. 186).

Amore umano e unione mistica

La famiglia, riflesso vivente del Dio Trinità, non è qualcosa di estraneo all’essenza divina (n. 11): essa è immagine di Dio, che è comunione di persone (n. 71). La reciproca appartenenza della donna e dell’uomo nel matrimonio è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa (n. 72). Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi (n. 121). L’amore che unisce gli sposi è un’unione affettiva, spirituale e oblativa che raccoglie in sé la tenerezza dell’amicizia e la passione erotica e tale amore «è il riflesso dell’Alleanza indistruttibile tra Cristo e l’umanità» (n. 120). Il tal senso il matrimonio può considerarsi superiore agli altri sacramenti (n. 159). Se ne deve avere consapevolezza, senza peraltro «gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa», dal momento che il matrimonio è «un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio» (n. 122).

«Coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito»: essi vanno resi consapevoli che è proprio attraverso la famiglia, che il Signore li porta «ai vertici dell’unione mistica» (n. 316). Lungi dall’essere un «male permesso» o un «peso da sopportare per il bene della famiglia» (n. 152), il matrimonio e l’unione sessuale, vissuti in modo umano e santificati dal sacramento, sono «via di crescita nella vita di grazia» (n. 74). Il matrimonio non solo è vera via di santità, ma è addirittura consacrazione per edificare il Corpo di Cristo e costituire una Chiesa domestica (n. 67). I momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, sono sperimentati come partecipazione alla vita piena della risurrezione di Cristo, così come le difficoltà e le sofferenze sono trasformate, partecipando al mistero della croce di Cristo, in offerta d’amore (n. 317).

Rinunce e divieti non sono nemici della felicità umana: la gioia della dimensione erotica dell’amore nel matrimonio offre agli sposi una felicità che fa loro pregustare qualcosa del Divino (n. 147). La sessualità è un regalo meraviglioso di Dio creatore che abbellisce l’incontro tra gli sposi (n. 152) e il cui valore non è dalla Chiesa né negato né semplicemente tollerato in vista della procreazione (n. 150).

Per concludere

Anche in considerazione del fatto che nel cristianesimo non sono mancati «esagerazioni o ascetismi deviati» (n. 147), per annunciare e testimoniare la gioia del vangelo e la felicità dell’amore in famiglia «la sfida oggi – come ha scritto una nota teologa italiana – è anche quella di decostruire un’immagine di cristianesimo doloristico, segnato da logiche sacrificali e da appelli a rinunciare alle cose belle, buone e desiderabili, lasciandosi alle spalle quelle interpretazioni moralistiche della fede cristiana che assomigliano più a gabbie per imbrigliare la libertà e la dinamica del desiderio che a vie di maturazione positiva».[1]

Mi sembra che Amoris lætitia ci offra spunti preziosi e argomenti convincenti per confidare che questa sfida possa essere vinta. Dio, amante della vita (Sap 11,26), ha infatti creato la vita fondamentalmente buona, in tutta la sua ricchezza di corporeità, impulso vitale, desiderio, emozioni, bisogno di gioco e di tenerezza. Da indicare come ideale non è il sacrificio della vita, ma la pienezza della vita: pienezza della vita, anche quando, per amore di dedizione e di solidarietà, la si dovesse offrire per quella dei fratelli e delle sorelle in umanità.

[1] Amoris lætitia. La gioia dell’amore. L’esortazione apostolica sull’amore nella famiglia. Con guida di lettura di Serena Noceti, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL) 2016, pp. 275, € 9,00.

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