Dove sorgono le domande

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«Cantieri di speranza»: così papa Francesco ha chiamato la Chiesa e l’Università il 1° ottobre 2017, nel discorso rivolto agli studenti, durante la visita a Bologna. Questo è stato anche il titolo del convegno nazionale di pastorale universitaria, tenutosi l’8 e il 9 marzo a Roma.

L’orizzonte di fondo è stato quello del discernimento, in vista del sinodo-giovani (col trattino si evita ogni imbarazzo dovuto alle preposizioni, comunque incomplete).

Al mattino dell’8 c’è stato l’intervento di p. Parnofiello, gesuita e cappellano alla Sapienza di Roma, sul tema del discernimento. La chiarezza e la profondità della spiritualità ignaziana stupiscono sempre.

A seguire, il dott. Faldi, direttore dell’offerta formativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha presentato una serie di dati sull’orientamento e sulla frequentazione degli studenti universitari in Italia. Abbinamento interessante e obbligato, quando si parla dell’università: l’orientamento accademico e professionale diventa declinazione concreta, tangibile del discernimento nella propria vita.

Tuttavia questo dato non è affatto ovvio. Spesso, oggi, l’università viene scelta non tanto come passaggio necessario per inseguire i propri desideri professionali e di realizzazione sul lavoro, ma come atto di procrastinazione di tale questione nella propria vita. «Cosa farai ora?», chiedo spesso a chi ha fatto l’esame di maturità. Risposta non insolita: «Non lo so, per ora mi iscrivo all’università».

Dai dati portati dal dott. Faldi emerge questa discrepanza. Le statistiche di Almalaurea dicono che i maggiori influencer per la scelta dell’università sono legati alla famiglia (fino al 41%) e all’ambiente socio-culturale. Certo, il discernimento personale passa anche per tutte le condizioni relazionali e d’ambiente della persona, ma chiaramente la scelta dell’università non implica automaticamente un discernimento sui propri desideri e obiettivi, in ottica sia di realizzazione personale che di autotrascendenza vocazionale.

È proprio l’età universitaria, e non quella subito precedente, a far suscitare le domande di senso della propria vita. In questo periodo storico è questa la fascia d’età in cui si assiste all’emergere di questioni importanti sul significato e sulla direzione da imprimere alla propria esistenza. Direbbero i più tecnici: sulla grammatica da dare alla propria narrazione. Su questa scia l’intervento di don Falabretti, direttore del Servizio nazionale di pastorale giovanile, venuto per segnalarci l’importanza dell’università all’interno del tema del discernimento per i giovani.

Dunque, la pastorale universitaria è una questione cruciale e seria, che chiede una riflessione profonda e un’azione entusiasta sull’ambiente universitario.

Un passo dentro

Errata corrige: l’azione non va fatta solo sull’ambiente universitario, ma anche al suo interno. Nel pomeriggio dell’8 abbiamo ascoltato la presentazione dell’AIDU (Associazione italiana docenti universitari). Tale associazione, di ispirazione cattolica, prova a costruire una rete tra i professori interessati a collaborare per coltivare la crescita umana e spirituale degli studenti e di chiunque “abiti” l’università.

Anche i laboratori che sono seguiti, nel pomeriggio, pur vertendo sulla questione del discernimento all’interno dei percorsi di pastorale universitaria in giro per l’Italia, hanno messo a fuoco, alla fine, la questione dei rapporti con l’università. Linguaggio istituzionale, accordi formali, rapporti con i docenti e con i rettori: servono molte cose in cui spesso gli addetti alla pastorale non sono ferrati. Si tratta davvero di imparare un linguaggio nuovo. I professori di questo linguaggio sono gli studenti e i docenti: anche qui si respira l’esigenza della pastorale integrata.

È un tema di cui si parla molto tra noi partecipanti, nei momenti informali o durante i pasti. Ci confrontiamo con interesse sulle strategie che le altre cappellanie o progetti universitari hanno messo in atto per affacciarsi al mondo universitario. È una pastorale d’ambiente, non una semplice branca della pastorale giovanile: non chiama semplicemente fuori, ma va dentro per incontrare i ragazzi là dove sono. È segno di una Chiesa che, uscendo, entra da qualche parte.

Invasioni?

Ma non rischia di essere un’invasione, questa? Non sono forse finiti i tempi della Chiesa societas perfecta, il cui compito è quello di conquistare spazi? Oggi non sappiamo che il tempo è superiore allo spazio?

Alla mattina del 9 viene a parlarci il prof. De Toni, Segretario generale della Conferenza dei rettori delle università italiane. Ci dice che non è una forzatura difficile cercare i driver per il confronto Chiesa-Università. Il loro intento è differente – ci ricorda Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della CEI –, ma non per forza divergente. Al contrario, si possono individuare alcuni luoghi di convergenza forte, in cui la Chiesa può mettere al servizio degli studenti universitari un patrimonio di umanità ricco e profondo.

Sono tre le parole guida, sottolinea mons. Galantino, prese dal discorso del papa agli universitari, durante la sua visita a Bologna del 2017: cultura, speranza, pace. In queste tre “piazze”, università e Chiesa possono incontrarsi e dialogare, nel rispetto e nel confronto, per il bene dei ragazzi (ma non solo) che le abitano.

Ma di invasioni parliamo anche già all’interno del convegno: c’erano molti più studenti dell’anno scorso. Dato strano, che può lasciare perplessi. In fondo, quando si parla di “pastorale”, si intende qualcosa per “addetti ai lavori”, cioè per le persone che animano i vari progetti e percorsi. Non nego un po’ di disagio: percepisco che il linguaggio che si usa non è tagliato per gli studenti e la riflessione tocca temi probabilmente poco interessanti per loro.

Ma, dall’altro, questa è un’invasione salutare: c’è fermento, c’è interesse, c’è voglia di essere protagonisti di percorsi che non vengano costruiti solo per i giovani, ma soprattutto con loro. Questo permette a noi “pastori” di atterrare, ci chiede un sano bagno di realismo, ci impone uno spirito di collaborazione nuovo e concreto.

Sono gli studenti che, per primi, ci mostrano cosa significa che l’università è “cantiere di speranza”. A noi, ora, crederci.

Per altre informazioni e per il materiale del convegno: http://educazione.chiesacattolica.it/chiesa-e-universita-cantieri-di-speranza/

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