Stati Uniti: pro e contro papa Francesco

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Ancora una domanda in un titolo del New York Times e scoppia il polverone. Se aveva segnato un’epoca quell’interrogativo dello speciale del 26 luglio dell’anno scorso («Assisteremo alla fine del cristianesimo in Medioriente?»), questa volta la domanda è più diretta e personale: «Ha forse sbagliato tutto papa Francesco?».

Il pezzo di Matthew Schmitz, direttore editoriale della rivista di cultura religiosa First Things, pubblicato nell’edizione del 29 settembre, presenta, a dire il vero, uno scenario tutto americano (che negli scorsi anni aveva visto in azione i cosiddetti “vescovi guerrieri” poi indotti a deporre le armi), ma significativo di riflessioni – e talvolta esplicite accuse – tutt’altro che nuove anche nel nostro contesto da parte dei detrattori dell’attuale pontefice (pensiamo solo alla Lettera estiva dei 45 teologi, filosofi e storici con le “dotte” critiche all’Amoris lætitia), senza neppure il beneficio del dubbio che il giornalista statunitense ha volutamente inserito con quel punto di domanda.

«Un’attesa forse eccessiva»

Quando papa Francesco è salito alla cattedra di San Pietro nel marzo 2013, il mondo l’ha guardato con meraviglia, comincia l’analisi. Ecco finalmente un papa, in linea con i tempi, un uomo che alla forma preferisce gesti spontanei, tipo pagare il conto dell’albergo e rifiutare le scarpe rosse. Invece di traferirsi negli appartamenti papali è andato ad abitare in una piccola pensione destinata ad accogliere gli ospiti del Vaticano. E in aggiunta ha inaugurato un nuovo indirizzo non dogmatico con affermazioni del tipo: «Chi sono io per giudicare?».

Diversi osservatori avevano ipotizzato che il calore, l’umiltà e il carisma del nuovo papa avrebbero prodotto una sorta di “effetto Francesco” riportando in chiesa i cattolici scontenti e si può dire che anche dopo tre anni di pontificato, gli auspici si ripetono. Lo scorso inverno, Austen Ivereigh, autore di una biografia di papa Francesco, ha scritto che la posizione «più morbida» del papa sulla questione della comunione ai divorziati risposati: «potrebbe innescare un ritorno alle parrocchie su larga scala». «Fin dai primi giorni di pontificato Francesco lavora per riportare i protestanti all’ovile, ma sarà in grado di fare lo stesso con quei cattolici esasperati dallo scandalo degli abusi sui minori o dai conflitti culturali?».
«In un certo senso, le cose sono cambiate – scrive Schmitz riferendosi al contesto di casa sua – la percezione del papato, o almeno della figura del papa, è alquanto migliorata. Francesco è molto più popolare del suo predecessore, papa Benedetto XVI. Il 63% dei cattolici americani lo approva, mentre solo il 43% aveva approvato Benedetto al culmine della sua popolarità, secondo un sondaggio del New York Times e Cbs News nel 2015. E bisogna anche riconoscere che Francesco ha posto una grande enfasi sul dialogo con i cattolici scontenti».

«Risultati forse deludenti»

«Ma i cattolici stanno davvero tornando alla Chiesa?» è la domanda finale. «Negli Stati Uniti non è ancora avvenuto». I nuovi risultati del sondaggio dal centro di Georgetown per la Ricerca Applicata all’Apostolato suggeriscono che non vi è stato alcun «effetto Francis». Nel 2008, il 23% dei cattolici americani partecipava alla messa domenicale. Otto anni più tardi, la partecipazione alla messa è rimasta stabile o addirittura leggermente diminuita, al 22%.

Certo, continua l’articolo, gli Stati Uniti rappresentano solo una parte di una Chiesa globale, tuttavia è significativo quanto hanno scoperto i ricercatori della Georgetown: alcuni comportamenti di osservanza religiosa sono più deboli oggi tra i giovani cattolici di quanto non fossero sotto Benedetto. Per fare un esempio: nel 2008, il 50% dei Millennials (intesi come la generazione nata negli anni ’80 e ’90, come dire i giovani-adulti o la Generation Y) ha riferito di aver ricevuto le ceneri al Mercoledì delle Ceneri, e il 46% riconosceva di essersi in qualche modo astenuto dalla carne al venerdì. Quest’anno, solo il 41% ha riferito di aver ricevuto le Ceneri e solo il 36% si è astenuto il venerdì. «Nonostante la popolarità personale di Francesco, i giovani sembrano essere comunque alla deriva per quanto riguarda la fede» è la conclusione.

«Perché la popolarità del papa non ha rinvigorito la Chiesa? Forse è troppo presto per giudicare», riconosce Schmitz che aggiunge: «Probabilmente non avremo una reale percezione dell’effetto Francesco fino a quando la Chiesa non sarà governata dai vescovi nominati da Bergoglio e da sacerdoti che scelgono di adottare il suo approccio pastorale. E questo richiederà anni o decenni».

«Meglio non ammorbidire»

Oppure potrebbe esserci qualcosa di diverso. Francesco è un gesuita, e come molti membri di ordini religiosi cattolici, tende a vedere la Chiesa istituzionale, con le sue parrocchie, le diocesi e le strutture, quasi un ostacolo alle riforme. Egli descrive i parroci come «piccoli mostri» che «lanciano pietre» contro i poveri peccatori. Ai funzionari della Curia ha assegnato una diagnosi di «morbo di Alzheimer spirituale». Ha rimproverato gli attivisti pro-life per la loro «ossessione» sull’aborto, ha definito «pelagiani» quanti credono, ereticamente, che possano essere salvati dalle loro stesse opere.

Tutte queste denunce finiscono per demoralizzare fedeli cattolici senza fornire agli scontenti alcun motivo per tornare. Perché mai tornare a far parte di una Chiesa i cui preti sono dei mostri e ai cui membri piace a lanciare pietre? Quando il papa stesso sottolinea l’inutilità di un’osservanza rituale, non c’è motivo per andare a confessarsi o alzarsi per andare a messa.

«Anche i fan più accaniti di Francesco temono che la sua agenda sia in ritardo. Quando è stato eletto, aveva promesso una pulizia delle finanze corrotte del Vaticano, ma solo tre anni dopo, ha dovuto far marcia indietro di fronte alla opposizione. Ha evitato accuratamente grandi cambiamenti in materia dottrinale: invece di avallare esplicitamente la comunione per le coppie divorziate e risposate, ha concesso loro solo una strizzatina d’occhio e un cenno del capo».

«Francesco ha costruito la sua popolarità a spese della Chiesa che è chiamato a guidare», è la conclusione. Quanti si aspettavano una Chiesa più forte dovranno attendere un altro papa. Invece di cercare di ammorbidire l’insegnamento della Chiesa, un uomo al comando avrebbe bisogno di parlare del modo in cui una morale esigente possa condurre alla libertà. Affrontare un’epoca ostile come la nostra con le singolari affermazioni della fede cattolica potrebbe forse non essere popolare, ma alla lunga risultare più efficace. Anche Cristo è stato rifiutato dai fischi della folla».

La risposta dei gesuiti di America

In tempo reale è arrivata il 30 settembre la risposta dei gesuiti della rivista America, in un articolo a firma di Sam Sawyer, S.J. «Quello che i numeri possono e non possono raccontarci di papa Francesco e della Chiesa».

«È vero, i dati parlano chiaro, dal 2008, quando papa Benedetto XVI era salito al soglio di san Pietro, si è registrato un calo di 10 punti percentuali nel numero dei Millennials americani che ricevono le Ceneri ad inizio Quaresima e un simile calo di quanti rispettano l’astinenza dalla carne al venerdì e il digiuno del Venerdì Santo. Niente di positivo su queste tendenze, ma non è corretto affermare, come fa Schmitz, che ignorare la parte più fisica di culto ci renda più deboli. E neppure che dati statistici come questi siano la prova della debolezza del papato di Francesco».

Il gesuita porta un esempio della parzialità di affidarsi ai soli dati di un sondaggio. Andiamo a vedere la partecipazione ai riti quaresimali, sempre da parte della stessa fascia di età, per quanto riguarda gli altri cristiani: è aumentata o diminuita?
«Non so la risposta, ma sarei sorpreso se il calo fosse solo appannaggio dei cattolici». I Millennials si sono secolarizzati molto rapidamente e dire che Francesco stia facendo meglio o peggio, rispetto a Benedetto, riguardo al calo della pratica religiosa non è significativo».
Occorre allora cercare una domanda più indicativa: «Quale potrebbe essere una misura migliore del successo di un pontificato?» si chiede Sawyer raccontando la scommessa di un suo amico ateo che tre anni fa pronosticava il papato di Bergoglio come «un male per la Chiesa americana».

«Non si giudica un pontificato con i numeri»

«La Chiesa cattolica romana non esiste per avere maggior successo rispetto alle altre fedi, ma per offrire a tutti la grazia di Dio nei sacramenti. I numeri che Schmitz cita non forniscono dati sull’operato di Francesco, ma sono sicuramente una notizia che fa riflettere la Chiesa».
E ancora: «È sufficiente un arco di tempo di tre anni per giudicare il pontificato di Francesco  e stabilire se il suo approccio sia o meno efficace?».

«Nel suo recente editoriale anche Schmitz riconosce che chiedersi se papa Francesco abbia sbagliato potrebbe essere prematuro, tuttavia, invece di immaginare ciò che significherebbe alla lunga dal punto di vista pastorale per la Chiesa intera, finisce per punire il papa su quello che lui legge come un disprezzo per la Chiesa istituzionale, fatto che attribuisce alla formazione gesuitica di Francesco e sulla sua enfasi sulla spiritualità interiore a scapito dell’osservanza delle regole formali».

Con tale approccio è quasi giocoforza concludere che Francesco abbia fallito perché si immagina la sua efficacia, e di conseguenza l’efficienza della Chiesa e del Vangelo, in maniera troppo restrittiva. Si presuppone – continua il gesuita – un modello di confronto tra i cattolici impegnati contro un mondo in rapida secolarizzazione e si immagina il successo in termini di vittoria su questo fronte. Sulla base di questo modello, ci si aspetta che quello che un papa dovrebbe fare sia convincere più persone che la Chiesa è nel giusto e che la laicità è sbagliata.

«Ma ci sono altri modi di impostare un confronto con il mondo laico, senza intraprendere una battaglia dove solo uno sia il vincitore finale». Fin dai primi giorni del suo pontificato Francesco ha avviato un percorso diverso, di cui non si possono ancora vederne i frutti. Pertanto, è del tutto legittimo mettere in discussione la saggezza del suo approccio, ma non è corretto decretarne il fallimento, semplicemente perché non ha inteso combattere su alcuni temi.

«La forza della debolezza e della misericordia»

I termini del suo impegno Francesco li aveva chiaramente descritti in occasione del suo discorso ai cardinali prima del Conclave dove è risultato eletto: una Chiesa che «evangelizza e guarda all’esterno» invece che essere ripiegata su se stessa e vivere per se stessa. «Al signor Schmitz che pensa che quanti volevano una Chiesa più forte si sarebbero aspettati un papa diverso chiediamo l’onestà di dare a questo papa tutto il tempo necessario per essere efficace. In effetti, è vero che i pontificati di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno rafforzato la Chiesa, e per questo dobbiamo essere loro profondamente grati. Eppure, anche nei 35 anni totali dei loro pontificati la pratica religiosa è diminuita più o meno allo stesso ritmo di quanto accaduto nei primi tre anni di quello di Francesco».

Non esiste solo un modo per rafforzare la Chiesa, e i comportamenti che portano a coinvolgere il mondo attraverso la compassione e la misericordia, non sono meno impegnativi di quelli volti ad combatterlo e raddrizzarlo. «Invece di sognare un papa diverso, forse sarebbe meglio provare a cercare un diverso tipo di forza: iscritta in quella “debolezza di Dio”, ma che è “più forte degli uomini”» (1Cor 1,25).

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Un commento

  1. Franco Guidi 4 febbraio 2020

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