1917. In Russia è rivoluzione

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L'arcivescovo Antonio Mennini è nunzio apostolico in Gran Bretagna. Dal 2002 al 2010 è stato rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa.

L’arcivescovo Antonio Mennini è nunzio apostolico in Gran Bretagna. Dal 2002 al 2010 è stato rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa.

Insieme alle due guerre mondiali e al fenomeno del totalitarismo hitleriano, la rivoluzione russa del 1917 è stata certamente uno degli elementi che maggiormente hanno contribuito a determinare il volto dell’Europa e del mondo nel XX secolo.

A un secolo dall’incendio che divampò in Russia e si propagò successivamente in molti paesi del mondo, non hanno perso attualità varie domande legate ad essa: da che cosa nacque la rivoluzione, quali ne furono le cause e perché scoppiò proprio in un Paese che fino a poco tempo prima sembrava immerso in un immobilismo atavico? Ma soprattutto, che cosa la rivoluzione russa ha ingenerato come mentalità, presente ancor oggi e non solo all’interno della Russia ma ormai anche nei nostri cromosomi? E, per venire a un problema apparentemente più specifico ma in realtà determinante, che cosa rappresentò per la Chiesa, innanzitutto all’interno del Paese ma anche nei paesi occidentali?

Su questi e molti altri problemi sollevati dalla rivoluzione russa sono state scritte migliaia di pubblicazioni, e il dibattito storiografico è ancora aperto. Evidentemente, in questa sede non si può pretendere né di fornire una panoramica degli studi esistenti né, tanto meno, di fornire delle conclusioni; mi limiterò semplicemente a offrire qualche pista di ripensamento delle motivazioni culturali e spirituali di un fenomeno a parer mio irriducibile – come sovente si fa – a cause geopolitiche ed economiche.

Febbraio

Intanto, non sarà inutile ricordare che le rivoluzioni nel 1917 furono due: la prima, a febbraio, che coincise con l’abdicazione dello zar e l’instaurarsi di un governo democratico (il governo provvisorio), suscitò gli entusiasmi del ceto medio, di giovani e intellettuali, e il consenso della maggior parte delle potenze internazionali. «Insieme agli uomini concionavano e manifestavano in piazza anche gli alberi e le stelle», così avrebbe descritto l’ebbrezza dei mesi estivi il giovane poeta Boris Pasternak.

In quel breve lasso di tempo divennero possibili cose che per decenni erano state impossibili, anche dal punto di vista della Chiesa: in giugno si svolse il sinodo della Chiesa greco-cattolica, che strutturò la vita della comunità cattolica russa creando l’esarcato ed eleggendone una guida nella persona di padre Leonid Fedorov (beatificato da Giovanni Paolo II nel 2001); in agosto si aprì il Concilio locale della Chiesa ortodossa russa, atteso e preparato da oltre un decennio, che per ampiezza dei temi trattati e maturità di coscienza potrebbe essere paragonato al Vaticano II.

Dopo secoli di acquiescenza alla monarchia, imprigionata in una gabbia dorata in cui godeva di ampi benefici ma di nessuna autonomia (all’inizio del XVIII secolo il patriarcato era stato esautorato e il governo ecclesiastico affidato a un Sinodo presieduto da un funzionario imperiale), la Chiesa ebbe finalmente la possibilità di indire un Concilio, dove la gerarchia venne affiancata da numerosi rappresentanti del basso clero, del monachesimo e da laici, e nel corso del quale si progettava di prendere in considerazione una coraggiosa, radicale riforma che investiva gli ambiti amministrativi, giuridici, liturgici, educativi e pastorali.

Ottobre

Purtroppo, già nell’ottobre 1917 la seconda rivoluzione, il colpo di stato bolscevico, pose fine alla fragile costruzione del governo provvisorio e ai sogni e alle speranze accesi nei mesi precedenti. La guerra mondiale, la guerra civile, la carestia, tutta una serie di fattori concomitanti avrebbero dato forma e consistenza a un progetto che inizialmente sembrava folle e irrealizzabile agli stessi uomini che lo calvalcarono in quei primi mesi, Lenin in testa.

Come si vede bene leggendo le fonti del tempo, pressoché nessuno – in Russia come all’estero, nella società civile come negli ambienti ecclesiastici – poteva immaginarsi che il neonato regime sovietico avrebbe avuto così lunga vita e incidenza nella storia del XX secolo, e che ciò che stava nascendo non sarebbe stato semplicemente uno dei tanti regimi tirannici, ma un fenomeno ideologico nuovo, caratterizzato dall’interiorizzazione dell’asservimento di individui e popoli: il totalitarismo.

La rivoluzione d’ottobre significò dunque lo svanire, l’infrangersi delle speranze in un rinnovamento morale, culturale, ancor prima che economico e politico della Russia? Certamente, le proporzioni del disastro causato dalla rivoluzione sono immani: i costi in termini di vite umane li conosciamo. D’altra parte, restano alcuni punti luminosi che consentirono non semplicemente una resistenza interna ma una sofferta maturazione culturale e spirituale: ad esempio, l’elezione nel novembre 1917 del Patriarca Tichon (canonizzato nel 1989 dal Patriarcato di Mosca), che rappresentò una preziosa guida la Chiesa nei primi anni delle persecuzioni; oppure, l’impetuoso incremento di associazioni, gruppi e fraternità clandestine e semiclandestine, diffusesi nel 1917-1919 soprattutto tra studenti universitari e personalità del mondo della cultura fino a poco tempo prima indifferenti alla problematica religiosa o addirittura diffidenti e ostili alla Chiesa.

Conversione della Chiesa

In quei mesi la Chiesa, che aveva giocoforza perso la propria facciata di “ideologia dei benpensanti”, ritrovò agli occhi di molti il proprio volto evangelico, e quindi tornò a esercitare un grande fascino. Sintomatico che risalga a quegli anni la conversione, e addirittura per alcuni la scelta del sacerdozio, di alcuni dei migliori pensatori del tempo, da Bulgakov a Florenskij e Berdjaev, di grandi personalità dell’arte e della cultura (Michail Bachtin, Marija Judina ecc.).

In due antologie pubblicate a ridosso di quegli anni, Pietre miliari e De profundis, gli stessi pensatori esprimono la condanna dell’ideologia rivoluzionaria ma soprattutto individuano forse per la prima volta nel cristianesimo un’alternativa reale, che può essere vissuta anche nelle condizioni di repressione che da subito si instaurano nella società. Un cristianesimo che non si propone semplicemente come spiritualità o pratica di pietà individuale, ma assurge a dignità di “umanesimo”, e nei decenni successivi animerà tanto il rinnovamento portato all’Occidente dall’emigrazione russa, quanto la rinascita religiosa che in patria si farà strada attraverso il samizdat (editoria clandestina). Quest’ultimo costituirà un vero e proprio fiume carsico che donerà nello scorcio del XX secolo vere e proprie perle letterarie ma anche straordinarie documentazioni nel quotidiano di resistenza spirituale, testimonianza di fede, difesa dei diritti umani.

Il vuoto

Una rivoluzione nata per rispondere a un vuoto ideale – inizialmente acclamata, nella sua ipostasi di febbraio, e ben presto tradita, mistificata nel rivolgimento di ottobre. Suo esito nella società sovietica sarebbe stato un nuovo e tragico vuoto, il vuoto di Dio e quindi dell’uomo. Come scrisse negli anni rivoluzionari Berdjaev, anticipando di vent’anni Eliot: «È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità o l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?». Ma anche una rivoluzione che contribuisce, senza certo volerlo né sospettarlo, a far riscoprire all’umanità la sua vera, ultima urgenza, quella di ritrovare il “volto umano”, e quindi a riscoprire il “volto di Dio”.

Oggi, davanti ai nuovi volti assunti dal totalitarismo e dal fondamentalismo, la lezione di chi ha saputo custodire e incrementare il desiderio di restare una persona umana può costituire una salutare lezione e una preziosa indicazione di cammino anche per noi.

rivoluzione russa

Boris Kustodiev (1878-1927), Bolscevico

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