Berlino, trent’anni dopo il muro

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Il prossimo 9 novembre ricorrono 30 anni dal crollo del muro di Berlino. È una data che ha segnato una svolta decisiva nella storia non solo europea ma del mondo intero. È istruttivo ripercorrere in questo anniversario il cammino storico compiuto che ha portato alla fine della cosiddetta “guerra fredda” e le tappe che l’hanno caratterizzata. E per non dimenticare il pericolo che ha corso non solo l’Europa, ma il mondo intero di una guerra nucleare. Fu definita “guerra fredda” perché non ci fu mai un confronto diretto tra USA e URSS. Ci furono invece molte guerre combattute per procura in tutto il mondo, sostenute ora dall’una ora dall’altra parte, ma tra i due colossi, in Europa, non fu mai combattuta una vera guerra.

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Le origini della guerra fredda in Europa

Gli esiti della seconda guerra mondiale fecero sì che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica diventassero le due potenze militari dominanti nel mondo. Esse, in realtà, avevano due forme molto diverse di governo e di economia: la prima era una democrazia capitalista; la seconda una dittatura comunista. Erano due nazioni rivali, tra di loro ideologicamente opposte, che si temevano reciprocamente. La guerra aveva lasciato all’URSS il controllo di vaste aree dell’Europa orientale, mentre gli Alleati dell’occidente erano rimasti sotto il controllo degli Stati Uniti.

Nel frattempo, mentre in Europa occidentale si ripristinava la democrazia, l’URSS cominciò a creare una rete di stati satelliti nelle cosiddette zone “liberate”. La divisione tra le due parti fu chiamata “Cortina di ferro”. In realtà, non ci fu alcuna “liberazione”, bensì una nuova conquista da parte dell’URSS.

L’Occidente temeva un’invasione comunista fisica e ideologica, che li avrebbe trasformati in stati comunisti con un leader stile Stalin – la peggiore opzione possibile –. e ciò era per molti motivo di paura anche per il rischio del socialismo dominante.

Gli Stati Uniti si opposero con la Dottrina Truman e la sua politica di contenimento per fermare la diffusione del comunismo; trasformò il mondo in una gigantesca mappa di alleati e di nemici, con gli Stati Uniti impegnati a impedire ai comunisti di estendere il loro potere, un processo che indusse l’Occidente a sostenere alcuni terribili regimi.

Gli Stati Uniti proposero anche il Piano Marshall, un vasto programmai di aiuti intesi a sostenere le economie collassate che facevano guadagnare potere ai simpatizzanti comunisti. Si formarono le alleanze militari: in Occidente, riunite nella NATO e, in Oriente, nel Patto di Varsavia. Nel 1951 l’Europa fu divisa in due grandi blocchi di potere, a guida americana e sovietica, ciascuno dotato di armi atomiche. Seguì una guerra fredda che si diffuse a livello globale e che portò a una situazione di stallo nucleare.

Il blocco di Berlino

La prima volta che degli ex alleati agirono come veri nemici fu il blocco di Berlino. La Germania del dopoguerra fu divisa in quattro parti e occupata dagli ex alleati. Fu divisa anche Berlino, situata nella zona sovietica.

Nel giugno del 1948, Stalin impose il blocco di Berlino allo scopo di trarre in inganno gli Alleati inducendoli a rinegoziare la divisione della Germania a suo favore, anziché invaderla. I rifornimenti non potevano arrivare in una città che contava su di essi, e l’inverno costituiva un serio problema.

Gli Alleati non risposero con nessuna delle opzioni che Stalin pensava di offrire loro, e avviarono un ponte aereo: per 11 mesi, i rifornimenti furono portati via aerea tramite gli aerei alleati, beffando Stalin che, se li avesse abbattuti, avrebbe provocato una guerra “calda”. Infatti non lo fece. Il blocco terminò nel maggio del 1949 quando Stalin vi rinunciò.

L’insurrezione di Budapest

Stalin morì nel 1953 e si accesero le speranze di un disgelo allorché il nuovo capo del Cremlino, Nikita Kruscev avviò un processo di de-stalinizzazione. Nel maggio 1955, Kruscev oltre a formare il Patto di Varsavia, firmò un accordo con gli Alleati per ritirarsi dall’Austria e renderla neutrale.

Il disgelo durò solo fino all’insurrezione di Budapest nel 1956: il governo comunista dell’Ungheria, di fronte alla richiesta di riforme interne crollò, e la rivolta costrinse l’esercito a lasciare Budapest. La risposta della Russia fu di permettere all’Armata Rossa di occupare la città e di costituire un nuovo governo. L’Occidente fu duramente critico ma, in parte distratto dalla crisi di Suez, non fece nulla per accorrere in aiuto, diventando però più gelido verso i sovietici.

La crisi di Berlino e l’incidente U-2

Temendo la rinascita di una Germania alleata con gli Stati Uniti, Kruscev nel 1958 offrì delle concessioni in cambio di una Germania unita e neutrale. Un vertice di colloqui a Parigi fallì quando la Russia abbatté un aereo spia U-2 degli Stati Uniti che volava sul suo territorio. Kruscev si ritirò dal vertice e dai colloqui sul disarmo. L’incidente risultò utile a Kruscev che era sotto pressione da parte dei sostenitori della linea dura all’interno della Russia per le troppe concessioni. Sotto la pressione del leader della Germania dell’Est per fermare le fughe dei rifugiati verso l’Occidente e senza riuscire a rendere neutrale la Germania, fu costruito il Muro di Berlino, una barriera di cemento tre la zona Est e la zona Ovest della città che divenne il simbolo tangibile della guerra fredda.

La guerra fredda in Europa negli anni ‘60-70

Nonostante le tensioni e la paura di una guerra nucleare, la divisione operata dalla guerra fredda tra Est e Ovest si dimostrò sorprendentemente stabile dopo il 1961, malgrado l’antiamericanismo francese e la repressione russa della Primavera di Praga.

Ci fu invece un conflitto sulla scena globale con la crisi dei missili a Cuba e il Vietnam.

Per gran parte degli anni ’60 e ’70 seguì un programma di distensione: una lunga serie di colloqui che ebbe un certo successo nello stabilizzare la guerra e nel realizzare un equilibrio degli armamenti. La Germania negoziò con l’Est una politica di Ostpolitik. La paura di una sicura distruzione reciproca cooperò a prevenire i conflitti diretti: se voi lanciate i vostri missili, sarete distrutti dai vostri nemici; è meglio perciò non lanciare missile piuttosto che distruggere tutto.

Gli anni ’80 e la nuova guerra fredda

Negli anni ’80 la Russia sembrava vincente, con un’economia più prospera, migliori missili e una marina in crescita, anche se il sistema era corrotto e basato sulla propaganda.

L’America, ancora una volta, temendo il dominio russo, riprese a riarmarsi e ad aumentare le proprie forze, compreso il piazzamento di molti nuovi missili in Europa (non senza un’opposizione locale). Il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, aumentò notevolmente le spese militari, avviando la Strategic Defense Initiative (SDI) per difendersi dagli attacchi nucleari, arginando una sicura reciproca distruzione. Nello stesso tempo, le forze russe entrarono in Afghanistan, una guerra che, alla fine, avrebbero perso.

Fine della guerra fredda in Europa

Il leader sovietico Leonid Breznev morì nel 1982. Il suo successore, Yuri Andropov, rendendosi conto che era necessario un cambiamento in una URSS al collasso all’interno e per la tensione nei suoi satelliti all’esterno, vedendosi perdente una nuova corsa agli armamenti, promosse vari politici riformisti. Uno, Michail Gorbacev, salì al potere nel 1985 con le politiche della Glasnost (trasparenza) e della Perestroika (ristrutturazione) decidendo di mettere fine alla guerra fredda e di “rinunciare” all’impero sugli stati satelliti per salvare la Russia stessa. Dopo aver concordato con gli Stati Uniti la riduzione degli armamenti nucleari, nel 1988 Gorbacev parlò alle Nazioni Unite per annunciare la fine della guerra fredda rinunciando alla Dottrina di Breznev, consentendo scelte politiche autonome negli stati satelliti dell’Europa orientale e sganciando la Russia dalla corsa agli armamenti.

La rapidità dell’iniziava di Gorbacev colse di sorpresa l’Occidente. Si temevano violenze specialmente nella Germania dell’Est dove i leader parlavano di rivolte in casa loro, tipo Piazza Tienanmen. Invece, la Polonia negoziò libere elezioni, l’Ungheria aprì i suoi confini e il leader della Germania dell’Est, Erich Honecker, si dimise quando apparve chiaro che i sovietici non l’avrebbero sostenuto. La leadership della Germania dell’Est si estinse e il muro di Berlino cadde dieci giorni dopo. La Romania rovesciò il suo dittatore e, al di là della Cortina di ferro, presero vigore gli stati che costituivano l’Unione Sovietica.

La stessa Unione Sovietica fu prossima a cadere. Nel 1991 i fautori della linea dura tentarono un colpo di stato contro Gorbacev, ma furono sconfitti, e Boris Yeltsin prese il potere. Egli dichiarò sciolta l’URSS, creando, al suo posto, la Federazione russa. L’era comunista, iniziata nel 1917, era ormai finita, così come la guerra fredda.

Alcuni libri, pur sottolineando che il confronto nucleare era giunto pericolosamente vicino alla distruzione di vaste aree del mondo, fanno notare che la minaccia nucleare riguardava più da vicino aree esterne all’Europa e che il continente godette di 50 anni di pace e di stabilità, cosa che era dolorosamente mancata nella prima metà del secolo XX. Questa opinione risulta plausibile anche perché gran parte dell’Europa dell’Est fu, di fatto, soggetta per tutto questo tempo all’Unione Sovietica.

Gli sbarchi del D-Day – anche se la loro importanza fu spesso enfatizzata in riferimento alla caduta della Germania nazista – costituirono per molti versi la battaglia chiave della guerra fredda in Europa, permettendo alle forze alleate di liberare una buona parte dell’Europa occidentale prima che arrivassero le forze sovietiche.

Il conflitto fu spesso descritto come il surrogato di un trattato di pace finale postbellico della seconda guerra mondiale che non ebbe mai luogo e la guerra fredda pervase profondamente la vita dell’Est e dell’Ovest, influenzando profondamente la cultura e la società oltre alla politica e all’ambito militare.

La guerra fredda fu spesso descritta anche come una competizione tra democrazia e comunismo, mentre, in realtà, la situazione era molto più complessa, con lo schieramento “democratico” guidato degli Stati Uniti, che sosteneva regimi non democratici autoritari chiaramente brutali per impedire che cadessero sotto l’influsso della sfera sovietica.

Dichiarazione dei vescovi della Commissione degli episcopati dell’Unione Europea (COMECE) in occasione del 30° anniversario della caduta del muro di Berlino.

La caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989 è stato uno degli eventi più importanti della storia europea degli ultimi decenni. Fu un momento pieno di emozioni. Dopo essere stati separati da un muro di cemento per più di ventotto anni, gli abitanti di Berlino – parenti, amici e vicini di casa – che vivevano nella stessa città, poterono incontrarsi, festeggiare ed esprimere la loro gioia e le loro speranze. Da questo momento in poi il mondo è cambiato.

Il muro era il simbolo della divisione ideologica dell’Europa e del mondo intero. I cambiamenti avvenuti in Ungheria all’inizio del 1989, il crollo della cortina di ferro ad aprile, e le prime libere elezioni in Polonia a giugno, culminarono con la caduta del muro di Berlino, un evento che aprì la strada per riottenere la libertà, dopo più di 40 anni di regimi oppressivi nei Paesi dell’Europa centrale e orientale. Questi sforzi devono il loro successo all’impegno di un grande numero di europei, che avevano costantemente e pacificamente espresso il loro profondo desiderio di un cambiamento politico.

È vero che non tutte le aspettative suscitate dalla caduta del muro siano state soddisfatte. È inoltre innegabile che le ideologie, un tempo alla base della costruzione del muro, non sono del tutto scomparse in Europa e sono ancora oggi presenti, seppur in forme diverse.

Riconosciamo, in quanto cristiani, che è Cristo «nostra pace, colui che ha fatto dei due popoli uno e ha demolito il muro di separazione» (Efesini 2 14). La caduta del muro di Berlino non è solo un evento del passato da celebrare, ma contiene anche una dimensione profetica. Ci ha insegnato che costruire muri tra i popoli non è mai la soluzione, ed è un appello a lavorare per un’Europa migliore e più integrata.

Dobbiamo ricordare l’importante ruolo svolto da san Giovanni Paolo II e il suo incoraggiamento: L’Europa ha bisogno di respirare con due polmoni!.

Riconosciamo che il processo di guarigione e riconciliazione è delicato e difficile. Ancora oggi, per alcune delle vittime dei regimi oppressivi del passato, questo processo è tutt’altro che concluso; la loro determinazione, il loro impegno e la loro sofferenza sono stati decisivi per la libertà di cui l’Europa gode oggi.

Vogliamo tuttavia rilanciare e promuovere proprio quei segni di speranza e quelle aspettative per un futuro migliore in Europa e per gli europei che hanno guidato quel momento storico del novembre 1989.

Per queste ragioni, in quanto cristiani e cittadini europei, invitiamo tutti gli europei a lavorare insieme per un’Europa libera e unita, tramite un rinnovato processo di dialogo che trascenda mentalità e culture, rispettando le nostre diverse esperienze storiche e condividendo le nostre speranze e aspettative per un futuro comune di pace. Per riuscirci, dobbiamo ricordare che una cultura dell’incontro presuppone una sincera capacità di ascoltare. Come cristiani siamo chiamati a predicare ed essere testimoni del Vangelo, coscienti che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et spes, 22).

Invitiamo tutti a pregare Dio, il Signore della Storia, perché ci aiuti a dedicarci ad un’Europa guidata dallo Spirito Santo, che è l’origine e il fondamento della speranza, fonte e forza di un nuovo impegno per i valori su cui si fonda l’Europa: giustizia, libertà e pace.

Approvato da:

Jean-Claude Hollerich S.J., Cardinale Arcivescovo di Lussemburgo, Presidente

Mariano Crociata, Vescovo di Latina (Italia), Primo Vicepresidente

Franz-Josef Overbeck, Vescovo di Essen (Germania), Vicepresidente

Noël Treanor, Vescovo di Down & Connor (Irlanda), Vicepresidente

Jan Vokál, Vescovo di Hradec Králové (Repubblica ceca), Vicepresidente

Virgil Bercea, Vescovo di Oradea Mare (Romania)

Ferenc Cserháti, Vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest (Ungheria)

Jorge Ferreira da Costa Ortiga, Arcivescovo di Braga (Portogallo)

Hugh Gilbert, Vescovo di Aberdeen (Scozia)

Adolfo González Montes, Vescovo di Almería (Spagna)

Joseph Galea-Curmi, Vescovo ausiliare di Malta

Jozef Hal’ko, Vescovo ausiliare di Bratislava (Slovacchia)

Antoine Hérouard, Vescovo ausiliare di Lille (Francia)

Theodorus C.M. Hoogenboom, Vescovo ausiliare di Utrecht (Paesi Bassi)

Nicholas Hudson, Vescovo ausiliare di Westminster (Inghilterra e Galles)

Vjekoslav Huzjak, Vescovo di Bjelovar-Križevci (Croazia)

Philippe Jourdan, Amministratore Apostolico dell’Estonia

Jean Kockerols, Vescovo ausiliare di Malines-Bruxelles (Belgio)

Czeslaw Kozon, Vescovo di Copenaghen (Scandinavia)

Manuel Nin i Güell O.S.S.B., Esarca Apostolico della Grecia

Rimantas Norvila, Vescovo di Vilkaviškis (Lituania)

Christo Proykov, Vescovo di San Giovanni XXIII di Sofia (Bulgaria)

Youssef Soueif, Arcivescovo maronita di Cipro

Zbignev Stankevics, Arcivescovo di Riga (Lettonia)

Janusz Bogusław Stepnowski, Vescovo di Łomża (Polonia)

Franc Šustar, Vescovo ausiliare di Lubiana (Slovenia)

Ägidius J. Zsifkovics, Vescovo di Eisenstadt (Austria)

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