Il Camerun sull’orlo della guerra civile

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Il Camerun ha circa 25 milioni di abitanti: L’80% usa come lingua ufficiale il francese e il 20% quella inglese. La divisione risale all’ordinamento dei distretti amministrativi dopo le guerre mondiali. Attualmente il paese è sull’orlo della guerra civile. La Chiesa cerca di mediare, per il momento senza risultati. Intanto proseguono gli scontri tra le truppe governative e i ribelli delle due regioni del nord-ovest e sud-ovest, di lingua inglese, che combattono per fondare una repubblica indipendente. Il reportage è stato pubblicato in katholisch.de, il 5 dicembre scorso.

In Camerun si continua a combattere. Senza che l’opinione pubblica mondiale se ne accorga, il paese sta piombando in una guerra civile. Quasi ogni giorno ci sono morti e rapimenti. Ampie zone dell’ovest sono fuori controllo. Le scuole sono chiuse, la situazione umanitaria si aggrava. Il retroterra è il conflitto nelle due regioni anglofone del nord-ovest e del sud-ovest dove un gran numero di milizie combatte per una secessione dal Camerun in gran parte francofono. L’intento è di fondare la repubblica indipendente dell’ «Ambazonia».

La popolazione di lingua inglese da lungo tempo si sente oppressa dal governo francofono e teme per la conservazione della propria lingua e cultura. Inizialmente, nel novembre del 2016, le proteste erano pacifiche, ma la violenta repressione dell’esercito chiamò in causa nuovamente i separatisti. Finora negli scontri ci sono stati 400 morti. Circa 30.000 persone sono fuggite in Nigeria, mentre all’interno del Camerun, stando ai dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, sarebbero in fuga circa 230.000 persone.

Le scuole chiuse da quasi tre anni

I ribelli vogliono impedire che aumenti l’influsso del governo sui loro figli, per questo, da circa tre anni, le scuole sono chiuse su una vasta zona del Camerun dell’ovest. Una volta fuori dal sistema scolastico, i bambini corrono il pericolo di essere presto reclutati dai ribelli. Anche le gravidanze stanno diventando sempre più un problema. Nella capitale del nord-ovest, Bamenda, i bambini, per non attirare l’attenzione, vanno a scuola in abito civile in quelle scuole che ancora funzionano. Le uniformi scolastiche vengono indossate solamente una volta dentro l’edificio.

La Chiesa si trova qui letteralmente tra due fronti. La mediazione tra i militari e i ribelli si presenta estremamente difficile, per il fatto che tra le due parti regna una profonda sfiducia. I ribelli non vogliono farsi frenare dalla Chiesa nel raggiungimento del loro scopo che è quello di raggiungere in breve tempo l’indipendenza. Il governo, a sua volta, considera la Chiesa una minaccia – dopo il memorandum dei vescovi anglofoni al presidente Paul Biya, nel dicembre 2016.

In quel documento i vescovi hanno analizzato le cause dei conflitti che da lungo covano sotto la cenere e avevano indicato delle soluzioni. Tra i punti da essi segnalati figuravano il ritiro delle forze governative dalle regioni e dalle città anglofone, l’astensione dalla violenza arbitraria e dalle detenzioni arbitrarie e la disponibilità di tutte le parti di impegnarsi in un dialogo costruttivo.

La Chiesa invita alla ponderazione

Una voce forte è l’arcivescovo emerito di Douala, Christian Tumi. L’88enne cardinale è originario del nord-ovest anglofono, ma a Douala è stato alla guida di un’arcidiocesi francofona. È ritenuto un buon conoscitore del conflitto e una persona molto indicata per una mediazione. Tuttavia, una “Conferenza generale anglofona” da lui convocata e che doveva tenersi nel mese di novembre e a cui avrebbero dovuto partecipare anche i responsabili della società civile è stata proibita dal governo.

Il successore di Tumi, il card. Samuel Kleda, di lingua francese, ha seguito una linea simile. Insieme ai rappresentanti delle Chiese evangeliche e ai musulmani della regione, lo scorso mese di agosto, aveva invitato alla ponderazione e a porre fine alla violenza. Tuttavia, in qualità di presidente della Conferenza nazionale del Camerun, non è ancora riuscito a giungere a una dichiarazione congiunta con i cinque arcivescovi e le loro diocesi – cinque delle quali di lingua francese e una inglese. Secondo l’International Crisis Group di Bruxelles, la Chiesa cattolica è una delle poche istituzioni in Camerun che, nel conflitto, può contribuire alla pace e alla riconciliazione. Per una mediazione tuttavia è decisivo che i vescovi si presentino uniti.

Il presidente Paul Biya, eletto nell’ottobre scorso, all’età di 85 anni, per un altro mandato di sette anni, finora ha rifiutato di negoziare con i separatisti e anzi li combatte militarmente con mano pesante. È al potere ormai da 36 anni, ma l’insoddisfazione nel paese sta crescendo. Oltre la metà dei camerunesi è sotto i 20 anni e un quarto della popolazione totale di circa 25 milioni di abitanti vive al di sotto della soglia della povertà. Biya si reca all’estero molti mesi all’anno a Ginevra o a Baden-Baden per cure mediche.

Continue vittime tra gli ecclesiastici

Intanto nel suo paese i combattimenti si stanno intensificando – e tra le vittime ci sono sempre più anche degli ecclesiastici. Alla fine di novembre, per esempio, i soldati nella diocesi di Memfe, nel sudovest, hanno sparato a casaccio da un auto in corsa, uccidendo un missionario di origine keniana che stava alla porta della sua chiesa. Il vescovo ha così reagito: «Imploriamo di mettere fine agli assassini nella nostra diocesi e nelle regioni anglofone del Camerun. La vita umana vale sempre di meno e viene gettata via con leggerezza – si tratta di un vero e proprio sport».

L’esercito ha perso la fiducia dei camerunesi anglofoni. Di continuo compie delle violazione dei diritti umani. Villaggi vengono bruciati e saccheggiati. Nello stesso tempo i ribelli continuano a rapire dei civili: nel nord-ovest, all’inizio di novembre, sono stati 80 gli studenti rapiti, e nel sud-ovest tre padri claretiani, che volevano portare dei viveri nella regione in crisi. Ambedue i gruppi sono stati nel frattempo liberati. L’autista dei padri tuttavia si trova ancora nelle mani dei rapitori.

Nella diocesi di Kumbo, nel nord-ovest, i ribelli hanno istituito dei posti di blocco. Chi vuol passare deve pagare e mostrare il suo passaporto. Lo stemma araldico del Camerun è stato eliminato. «Il governo non ha più il controllo di questa regione», ha dichiarato Volker Riehl, coordinatore della Misereor, a Berlino, alla fine di novembre, di ritorno da un viaggio in Camerun. Mentre la capitale del nord-ovest, Bamenda, è pesantemente presidiata dai militari, pochi chilometri fuori della città non c’è più sicurezza. Ogni mattina si sentono spari di mitragliatrici.

Minaccia di morte per fame

A causa dei combattimenti e dei blocchi stradali, la gente non può più recarsi nei propri campi, nei mercati e le merci si stanno esaurendo. Si teme che presto ci saranno anche i primi morti di fame. La gente deve arrangiarsi da sola. Molti operatori delle agenzie per lo sviluppo sono stati ritirati per motivi di sicurezza, le organizzazioni internazionali di soccorso faticano ad arrivare nelle zone interessate.

L’organizzazione delle Nazioni Unite per il soccorso di urgenza, OCHA, dalla sede principale di Buea capitale del sud-ovest, vuole allargare la sua azione anche al nord ovest. La Misereor supporta sette progetti nelle diocesi di Bamenda, Buea e Kumbo per un ammontare di 1,6 milioni di euro. Gli aiuti vengono devoluti anche alle persone colpite dall’attuale crisi. La diocesi tedesca di Limburg intrattiene inoltre da oltre 30 anni un partenariato con la diocesi di Kumbo. La Caritas internazionale sostiene i profughi della regione e fornirà presto anche ulteriori aiuti d’urgenza a due diocesi anglofone.

Nuova fondazione Caritas

La Chiesa del Camerun ha costituito nel frattempo, alla fine di novembre, una nuova fondazione Caritas. «Quest’anno viviamo una grave crisi umanitaria», ha affermato l’arcivescovo della capitale Yaoundé, Jean Mbarga, alla cerimonia di apertura dell’organizzazione: 58 sono le scuole distrutte e sono circa 3,3 milioni le persone che dipendono dagli aiuti umanitari. L’arcivescovo si chiede: «Come possiamo noi come cristiani partecipare alla ricostruzione, aiutare le famiglie colpite, che hanno perso i loro cari? Come aiutare a ricostruire le scuole e gli ospedali che sono stati incendiati?». Tutto ciò richiede «il nostro generoso aiuto».

Sul piano internazionale finora il conflitto ha suscitato poca attenzione. I promotori dei diritti umani rimproverano alle ex potenze coloniali di Germania, Francia e Inghilterra di essere rimaste inattive a guardare come il Camerun stia piombando nell’abisso. Tutti e tre gli stati hanno ancora un grande influsso sul paese africano, ha sottolineato la Society for Threatened Peoples (Società per i popoli minacciati). Nei giorni scorsi, una delegazione della sottocommissione per la prevenzione della crisi civile del Bundestag (Parlamento tedesco) si è recata in Camerun per farsi un’idea della situazione. I deputati chiedono di trovare persone della politica, della Chiesa e della società civile che siano in grado di svolgere un’opera di mediazione e di accompagnamento per la promozione di un processo di pace.

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