Cattolici, Chiesa e referendum

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Sul referendum del 4 dicembre 2016 si è scritto molto e da qui alla data del voto si scriverà ancora di più. Di qui ad allora anche noi avremmo l’ambizione di provare ad aggiungere qualche riflessione – come si suol dire – sia nel merito che nel metodo.

Del merito, ora dicono di occuparsi in tanti, ma, nonostante le dichiarazioni di principio, di fatto si sta continuando nel “Renzi sì / Renzi no” che malauguratamente, per ammissione anche dello stesso premier, ha scatenato Renzi stesso senza riuscire per ora a frenare questa deriva.

Del merito, come è giusto che sia per un quesito referendario una volta tanto chiaro e leggibile, desidereremmo però occuparci un po’ più avanti.

In questa fase vorremmo tentare di parlare di metodo e in questo caso non sottendiamo le normative o procedure che hanno portato a questo referendum, la cui matrice costituzionale rende tutto molto evidente sotto questo profilo, ma di come metodologicamente il mondo cattolico si stia ponendo di fronte ad alcuni cambiamenti posti alla nostra Costituzione dalla recente approvazione da parte della maggioranza (non numericamente qualificata però per approvare questo tipo di riforme) del Parlamento.

Equidistanza

Come in ogni referendum nel quale non erano in gioco “valori non negoziabili”, la Chiesa italiana (in questo caso l’ha fatto il card. Bagnasco in una nota del 26 settembre u.s.) ha ribadito un principio di “equidistanza”, un geometrico agnosticismo su questioni che, in quanto probabilmente ritenute prettamente istituzionali e attinenti alle regole (e non ai “valori”), non meritava e non merita sbilanciamenti e, tantomeno, impegni.

Questa equidistanza della Chiesa, forse, oltre a non scontentare nessuno a livello politico, di fatto finirebbe anche per non scontentare nessuno in un mondo cattolico ancora una volta pronto a dividersi tra un SÌ e un NO che travalica il quesito tecnico per sfociare nel pro o contro il Presidente del Consiglio.

Quale scelta migliore quindi se non l’equidistanza? Apparentemente, il posizionamento potrebbe sembrare corretto come non mai, soprattutto se fosse stato sempre e per decenni lo stesso anche in passato, ma in passato non è stato sempre così e questa volta, a maggiore ragione, può darsi che non sia così.

Innanzitutto ritenere non “valorialmente” rilevante un referendum solo perché parla di regole è un errore, peraltro in buona parte già avvenuto con i referendum “Segni” del 1991 sulla riforma elettorale, abbastanza grossolano. Una Chiesa che ritiene la legalità equivalente alla sola lotta alla mafia o alla corruzione vede bene ma non vedo il tutto. Nelle regole, specie quelle della Carta Costituzionale, che è la regola delle regole, risiede un valore etico intrinseco che non può sfuggire, pena la (in)sufficienza nel discernimento.

Sono in gioco dei valori

Ma ancora di più lo diventa in un referendum come questo che, di fatto, costituisce il definitivo spartiacque tra un tentativo (vedremo in altra prossima occasione dove – nel merito – più centrato o meno centrato) di ineludibile cambiamento del Paese e la conservazione dello status quo.

Non dare un minimo di orientamento prospettico in questa fase cruciale già di per sé, più che all’equidistanza, fa pensare alla volontà di non cambiamento, e questo non è positivo per una Chiesa che, sarà per via del pontificato di Francesco, sarà per il riconoscimento di essere comunque effettivamente accanto agli ultimi, è tornata ad essere probabilmente anche in Italia meno rilevante dal punto di vista numerico, ma molto più rilevante dal punto di vista morale.

È quindi per questo che, mentre anche realtà vicine al mondo cattolico ma spesso politicamente non simpatizzanti per la stessa fazione partitica come Coldiretti, da un lato, e il sindacato dei metalmeccanici della (FIM) della Cisl, dall’altro, si stanno polarizzando sul SÌ e altri esponenti di un mondo cattolico un tempo molto dialettico come l’ex direttore di Avvenire e parlamentare Raniero La Valle si rilancia in una battaglia del NO, qualche spunto di riflessione, non fosse altro su temi più generali, come la sobrietà istituzionale e il contenimento dei costi della politica, così male in questa fase non farebbero.

Un dovere verso le nuove generazioni

Questo anche perché un minimo di orientamento anche nei confronti delle nuove generazioni di questa galassia cattolica non guasterebbe. C’è anche un po’ il rischio, almeno in questo passaggio referendario, che si consumino, anche all’interno del mondo cattolico, altre cesure generazionali con orientamenti diversi al momento del voto: una generazione che ha visto nascere la Costituzione e che ora, a distanza di 70 anni, ne teme qualsiasi mutazione attraverso l’equazione (tutta da dimostrare) cambiamento uguale deriva; una generazione formatasi negli anni 80 e 90 che ha vissuto il passaggio alla Seconda Repubblica attraverso il grimaldello referendario del cambiamento delle regole a cominciare da quelle elettorali e crede in un riformismo perseverante che porti però ad effettivi cambiamenti del Paese; una generazione, infine, nata negli anni 90 e oltre, totalmente agnostica su questi temi in quanto in quel periodo la Chiesa italiana ha volutamente e colpevolmente trascurato l’educazione alla politica intesa come cittadinanza del credente non solo nel creato ma anche nella polis.

Questa cesura è abbastanza evidente e rischia un importante scollamento su valori essenziali quali la civile convivenza tra i cittadini e le regole che la devono sottendere. E non è un tema da poco. Forse basterebbe anche qualche piccolo richiamo di metodo, di discernimento. Come, ad esempio, la modalità con cui affrontare un referendum, andando nel merito dei quesiti, rispondendo col il voto a ciò che ci è chiesto dalla scheda, non dalla pancia. Ma forse anche questo, perlomeno in questa fase, pare essere – per quanto necessario – ecclesialmente eccessivo.

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