I cattolici e la politica /7

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Su Domani del 4 luglio Marco Damilano ha presentato una ricostruzione di alcuni passaggi della storia dell’impegno politico dei cattolici italiani che, a suo avviso, sarebbe da riprendere in questo momento critico come contributo del cattolicesimo odierno al paese. Dopo l’editoriale della redazione, gli articoli di Franco Monaco, Giuseppe Boschini, Giuseppe Savagnone, Stefano Zamagni, Giulia Iotti e Roberto Ruini, interviene nel dibattito Nino Labate con una lettera aperta a Marco Damilano.

Caro Marco, ti leggo sempre con piacere sin dai tempi di Segno 7. Grazie per il buon articolo pubblicato sul Domani. E grazie anche a Lucio D’Ubaldo che lo ha commentato e riproposto sul (suo) Il Domani d’Italia.

Ecco, si batte il chiodo su questo domani sconosciuto con le sue sfide già iniziate. Su questo domani, con le “grandi metamorfosi” che ci attendono, come Bergoglio definisce i cambiamenti epocali in atto. Sono sfide e cambiamenti rivolti anche a quel che rimane del cattolicesimo democratico e popolare su cui ti soffermi nell’articolo. Indirizzati anche a quella élite di ultrasessantenni, se non settantenni, che sanno di cosa parli e conoscono questo particolare pensiero politico con i suoi principi e valori.

Superare le antiche categorie politiche

Andiamo a noi. Perché chi ti scrive, caro Marco, ha da tempo maturato la bizzarra idea che le categorie politiche della tradizione storica e democratica (sinistra, centro e destra), nella prospettiva di quel futuro dietro l’angolo e in larga parte già alle nostre spalle, devono essere messe da parte. O, se proprio uno ci tiene, devono essere usate con molta cautela. Indicano divisioni e differenze frutto della storia passata, e non esprimono bene tutta la complessità della società dei nostri giorni. E, sulla storia futura, tacciono.

Ciò porta a trascurare il suggerimento di essere più uniti possibile, e di salire bergoglianamente “…tutti sulla stessa e unica barca”, per uscire dalla tempesta storica in corso che tutti coinvolge, senza distinzioni.

Una mezza utopia, capisco. Specie con il ritorno della guerra legata a tragici segnali imperialisti e con il ritorno della diade amico/nemico.

Una mezza utopia che tuttavia si sostiene sull’altra diade più ragionevole e umana di Norberto Bobbio uguaglianza/diseguaglianza; e che non dimentica i radicali e rivoluzionari cambiamenti che dovremmo tutti insieme affrontare, senza essere diversi e distanti per comodità elettorali. Il pluralismo vero non è mai infatti fotocopia fra simili.

La convinzione che il futuro ci deve trovare più uniti e vicini, mi lascia dunque critico sulla necessità di distinguerci, e sull’opportunità di ricomporre necessariamente un’area politica cattolica – specie se “di centro”, come ripetutamente si auspica – scommettendo solo su una legge proporzionale e sui non votanti; insistendo banalmente sulla china trasformistica e populistica dell’attuale momento politico; e mettendo il tutto nelle mani dell’offerta che rimuove completamente la domanda assieme alla qualità della base sociale dei nostri giorni, in realtà fortemente secolarizzata.

E mi lascia molto più scettico sul fatto che al suo interno si possa riaggregare quel cattolicesimo democratico e popolare che giustamente citi nell’articolo, appoggiandoti a quel fior fiore di protagonisti e personaggi, oramai consegnati ai libri di storia politica… antica!

Un male che viene da lontano

Il cigno cantava da moltissimi anni, caro Marco. E il progressivo e lento declino del cattolicesimo democratico era ben visibile, senza che nessuna anima viva abbia avuto la forza e il coraggio di sottoporlo a una terapia intensiva. Oggi siamo solo di fronte a una – benemerita intendiamoci – testimonianza frammentata che stenta a riconoscersi unita e unica.

E per quanto riguarda il suo “specifico progressista” non basta difendere la Legge 194. Così come non bastano Mattarella – quel Mattarella che chiede di «…non respingere gli emigranti quando sono sulle barche» – Zuppi, Letta, Castagnetti, e, da ultimissimo Tommasi, per illudersi che la specificità di questo virtuoso pensiero politico sia ancora vivo e vegeto. Rimane invece il fatto che tutte le proposte di riaggregazione e di incontri dei tanti spezzoni isolati e dispersi che si riconoscono in questa nobile tradizione, sono in questi lunghi anni miseramente falliti.

Era il 2002, a ridosso della nascita della Margherita. Un partito, per inciso, che il mio caro amico Pio Cerocchi non ha mai digerito sostenendo – forse, ammetto ora, con qualche buona ragione – che il Partito Popolare non doveva essere sciolto perché serviva se non altro ad alimentare e a individuare un punto e un luogo della cultura cattolico democratica e popolare. Quella cultura che ai nostri giorni non sappiamo dove abita di casa. O forse sappiamo che è dispersa in tanti monolocali.

In quello stesso anno, uno storico e sociologo del calibro di Giorgio Campanini – anche lui emiliano, pensa un po’ – nel corso di un convegno dell’associazione “Agire Politicamente” di Lino Prenna, avendo fiutato l’aria di un inglorioso tramonto, lancia l’idea sulla urgente necessità di un Forum dei cattolici democratici italiani, in grado di riunire periodicamente e far incontrare e dialogare quanti tra associazioni, movimenti, gruppi e persone singole, si riconoscevano in questo pensiero e in questa tradizione politica, avendo alle spalle i valori del Concilio e della Costituzione italiana.

Quel giorno, alla Domus Mariae, ero presente anch’io in veste di segretario e rappresentante della mia associazione romana “Polis Duemila”, in quegli anni attiva.

Era un’idea, quella di Campanini, rivolta ad alimentare la ricerca del bene comune, come dici tu. Non tanto per sostenere o rifare una realtà partitica, ma per aggregare i tanti pezzettini culturali sulla via di frantumarsi e disperdersi in singole e solitarie realtà di testimonianza.

Non se ne fece mai nulla, nemmeno dal punto di vista della formazione permanente a causa della demonizzazione dei percorsi formativi prepolitici destinati a giovani disposti e sensibili ad impegnarsi.

Accade così che oggi ci parliamo tra ultrasessantenni, se non oltre o molto oltre. I giovani, infatti, non sanno chi è stato Sturzo, Dossetti, La Pira, e ignorano completamente il Vaticano II. E forse la stessa Costituzione. Nel mentre accanto alle Chiese vuote, ai parroci con due o tre chiese da gestire, ai Seminari senza studenti, e all’eclissi dei matrimoni religiosi, la Fuci, l’AC, il Meic…, sino alle stesse e benemerite Scuole Diocesane di Formazione all’impegno sociale e politico, nate sulla scia di quella voluta a Palermo da padre Sorge sotto le sferzate mai viste della secolarizzazione galoppante, sono in profonda crisi di presenze.

Se tu a questo punto mi chiedi se la proposta di Giorgio Campanini è ancora valida, io ti rispondo subito di sì. Anche se pieno di dubbi sulle tante realtà oggi disperse e “sovrane”, chiuse nei propri recinti associativi parrocchiali e cittadini, che dicono di riconoscersi in questo pensiero e magari si dichiarano pronte a cedere parte della loro gelosa autonomia, per un percorso da fare una volta riunite e vicine. Una volta un poco più solide, insomma, come si ripete ormai spesso di fronte a una società liquida, al voto fluido gassoso e umorale, e ai partiti personali.

Perché non uniamo le forze?

È dunque da anni che si avverte un forte silenzio sull’esigenza dell’incontro. E Zuppi, da solo, sul futuro del cattolicesimo democratico può fare ben poco. Ha altro da pensare. Con un Sinodo già avviato che richiede molta sapienza e pazienza, e col suo delicato ruolo di fronte a un clero in larga parte ancora ruiniano.

Ma, partito o non partito, coalizzati a sinistra o a destra, centro o non centro – un centro ormai ingolfato di liste, partitini, sigle e quant’altro in attesa di semafori rossi e solennemente preteso anche da Berlusconi che, con l’ultima sua uscita mediatica, fa sapere, bontà sua, che il suo è un centro anche… cristiano – di incontri e dialoghi fra cattolici con posizioni diverse non ne vuole sapere!

E viene da pensare che la distinzione fra cattolicesimo tradizionale e cattolicesimo progressista, fra passato e futuro, fra identità rocciose e conservatrici e identità in ascolto dei segni dei tempi, rappresenti qualcosa di veramente insanabile.

Ora, se la situazione storica «…è grave», come dice Castagnetti, non basta allora ricordare l’indimenticabile Sassoli e lanciare Zuppi nell’agone del cattolicesimo democratico. Perché, come tu giustamente affermi, il cattolicesimo democratico non è mai stato «…un apparato» bensì, certamente e prioritariamente, un pensatoio che nutre e assorbe incontri e dialoghi fra persone col Vangelo in tasca e le dinamiche sociali di fronte agli occhi. E con pensatori che hanno in testa – l’esperienza di un tempo ci deve ammaestrare – il bene comune prima del bene individuale.

Per “ricostruire questa cultura”, come tu dici, non basta allora Zuppi, da solo. Anzi ti dirò che col ruolo che ricopre e con gli assalti quotidiani a Bergoglio di un “clero veronese” teocon, don Matteo deve essere molto cauto. La «…deriva illiberale» c’è, su questo hai ragione. E non solo in USA, con le scelte trumpiane sull’aborto e il possesso delle armi buttate nel dibattito per distogliere l’attenzione dai problemi più seri e più gravi: il clima, il digitale, la disoccupazione e le nuove e inedite povertà, come quelle che incombono su milioni di subsahariani con la valigia in mano e pronti ad emigrare.

Concludo. Per «ricostruire questa cultura»non solo politica, caro Marco – occorre che si renda attuale l’idea di Giorgio Campanini. Perché questa cultura non va dispersa, ma va «…ricostruita (assieme) alla politica» nel suo insieme, come tu sottolinei. Per ritornare ad una «…presenza nella società» occorre che Ac, Msac, Fuci, Meic, Acli, Scout, nonché Parrocchie, Diocesi e Istituti scolastici, approfittando del Sinodo si risveglino dal torpore in cui si sono rifugiati e si misurino con i cambiamenti antropologici, culturali e sociali. Occorre ricomporre la dispersione.

Occorre riunirsi e incontrarsi con le metodologie di un Sinodo laico che guardi al futuro. E occorre dialogare per leggere uniti i segni dei tempi. A riguardo, anche D’Ubaldo è stato chiaro nello scambio avuto con te: «(…) Il vero problema è capire come si ricompone questo mosaico di esperienze nuove – ognuna però con antecedenze e collegamenti esplicativi di una tradizione ancora viva – che oggi lo spontaneismo della testimonianza può anche isterilire…».

È bene che ne discutiamo ancora, intensamente, per immaginare che valga per il futuro del cattolicesimo democratico più l’atmosfera dei Maneskin al Circo Massimo, con tanta passione di massa, che non l’aria viziata degli atelier d’improbabili centrismi.

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