I cattolici e le elezioni americane

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Andreas G. Weiß, autore di questo articolo, è teologo e studioso della religione. Ha compiuto delle ricerche in USA, è referente della “Katholiches Bilduilngswerk” di Salisburgo e membro dell’“American Academy of Religion”. In questo articolo, in data 21 giugno 2019, pubblicato in katholisch.de, analizza, attraverso un excursus storico, l’attuale posizione dei cattolici statunitensi in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno. Oggi – scrive – i tempi sono molto cambiati rispetto al passato. I cattolici rappresentano il 21% della popolazione globale degli USA. Politicamente però non costituiscono più un gruppo omogeneo come un tempo. Una cosa tuttavia è certa: i due grandi partiti americani, per vincere le elezioni, non possono più prescindere da loro.

Se Donald Trump lancia ora la sua campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno, ciò avverrà in circostanze diverse rispetto al 2016. Gli manca non solo il cattolico Steve Bannon, suo maggiore cavallo mediale. Anche gran parte della sua équipe elettorale ha lasciato volontariamente la sua cabina di regia, sostituita da lui stesso, e diversi sono sotto procedura penale nel paese o all’estero.

Pur essendo, coloro che appartengono alla sua cerchia, abituati agli scambi di pedine, tuttavia molti suoi capi strateghi sono preoccupati della stabilità interna. Nel corso degli ultimi anni si sono creati, durante il mandato di Trump, dei profondi fossati in molte alleanze di lunga data che, in vista della consultazione elettorale del prossimo anno potrebbero riproporsi.

Oltre agli attacchi alla presidenza, si sono verificate anche alcune contese interreligiose che hanno reso la politica religiosa degli Stati Uniti in gran parte imprevedibile. In tempi in cui si poteva essere sicuri dei gruppi elettorali di carattere religioso – quelli del “God’s Own Country” – sono ormai lontani. Per poter raccogliere voti bisogna lottare e i diversi gruppi religiosi vogliono tenere alto il loro peso politico.

Se la politica degli Stati Uniti è ancora percepita come una realtà impregnata di protestantesimo, non si deve in alcun modo ignorare che gli USA stanno attraversando un cambiamento sociologico: le grandi Chiese protestanti, salvo poche eccezioni, stanno perdendo rapidamente membri, e i cosiddetti “Nones” (persone non religiose) aumentano di anno in anno.

I cattolici hanno una maggiore unità interna

Un gruppo tuttavia che, nel corso del XX secolo, è diventato sempre più un destinatario centrale della politica USA è rappresentato dalla Chiesa cattolica. Attualmente, anche a causa degli alti livelli di immigrazione, è una delle poche comunità che, nonostante un alto numero di abbandoni, può mantenere la sua percentuale relativamente stabile. Benché i protestanti siano ancora la maggioranza negli Stati Uniti, i cattolici costituiscono la maggior comunità di fedeli con il 21% circa della popolazione totale.

Cattolicesimo americano

Le moltissime chiese evangeliche e le congregazioni protestanti fortemente diversificate e tra loro frammentate sono ancora numericamente maggioranza, tuttavia la Chiesa cattolica, a parte tutte le turbolenze intraecclesiali, possiede una maggiore coesione interna, più di tutte le numerose Chiese libere.

Si tratta di una forza politica che non può essere sottovalutata. Nessuno dei due grandi partiti può permettersi di perdere di vista il più grande raggruppamento religioso degli Stati Uniti. Perciò, è anche comprensibile che, sia i rappresentanti repubblicani sia quelli democratici, cerchino un sostegno tra i cittadini cattolici del Paese. Proprio questi credenti costituiscono una parte non indifferente del “cambiamento degli elettori”, cioè quel gruppo di persone che non sono più adepti indiscussi di un determinato partito.

La forza politica della Chiesa cattolica era già stata riconosciuta negli anni ’50 dal pastore evangelico repubblicano Billy Graham, il quale aveva invitato a coinvolgere i cattolici nell’Alleanza conservatrice del “Grand Old Party”. In questo modo, però, si era messo in contrasto con la pregiudiziale anticattolica esistente tra le sue file. Ma il successo gli diede ragione. Le sue strategie elettorali gettarono nuovi ponti verso il gruppo di popolazione statunitense fedele a Roma, per lungo tempo escluso e stigmatizzato.

Il clima anticattolico nel partito si attenuò tuttavia solo lentamente, ma in maniera costante. Troppo profondi erano i fossati che si erano scavati negli ultimi secoli. I cattolici, per tanto tempo demonizzati, trattati come persone di seconda classe ed esclusi da molte attività pubbliche, avrebbero dovuto adesso improvvisamente fare causa comune con loro? Ciò si mostrò più difficile di quanto molti immaginassero.

Lo stato d’animo scettico e non raramente violento nei confronti dei cattolici aveva ragioni storiche ed era di gran lunga comprensibile, se si consideravano seriamente le passate esperienze storiche europee. I cattolici furono sempre identificati in base all’obbedienza alle loro autorità religiose.

Questa fu anche l’esperienza storica di numerosi emigrati protestanti: molti colonizzatori riformati delle prime due generazioni nel Nuovo Mondo erano membri di quei gruppi religiosi che, nei paesi europei, impregnati di cattolicesimo e di anglicanesimo, non potevano vivere liberamente la loro fede. Il viaggio verso il nuovo continente costituiva per loro la nuova “uscita dalla schiavitù”, un Exodus rischioso con cui volevano garantirsi una certa libertà religiosa e di fede. L’emigrazione costituiva per essi sostanzialmente una fuga dal potere papale presente nelle monarchie europee. Il loro progetto di una «città sul monte» (Mt 5,14) fu inteso come una scelta contro la coercizione religiosa cattolica.

Non solo critico verso il papa ma anche razzista

Cattolicesimo americanoL’ultima cosa che si poteva desiderare nella nuova Repubblica appena fondata erano naturalmente quei credenti che non volevano lasciarsi alle spalle la vecchia Europa. Lo shock è comprensibile anche oggi perché, verso la metà del secolo 19°, milioni di migranti cattolici (soprattutto dall’Irlanda) giunsero negli Stati Uniti.

L’umore anticattolico prese così il sopravvento: conseguenza di questa situazione furono gli scontri violenti e la pubblica esecrazione.

I bambini delle famiglia cattoliche non poterono più frequentare le scuole pubbliche; gli uomini, a causa della loro fede, persero il lavoro e in numerosi giornali furono pubblicate caricature anticattoliche, che non solo esprimevano sentimenti antipapisti, ma proponevano alcuni stereotipi contro la cultura irlandese. Risalgono a quest’epoca le immagini ancor oggi familiari degli attaccabrighe irlandesi, ubriaconi e facinorosi, che mettevano a soqquadro la vita pubblica americana e venivano raffigurati con tratti di gnomi o di scimmie.

I cattolici, in molte regioni della nuova nazione appena fondata, erano considerati dei corpi estranei. Erano ritenuti la ragione per cui molti erano andati a cercare fortuna al di là dell’Atlantico. I nuovi arrivati, con una esagerata fedeltà al papa, potevano costituire un pericolo per la nuova conquistata libertà di religione, di parola e di pensiero. Non era immaginabile perciò che i cattolici potessero rivestire improvvisamente incarichi politici. Con un colpo di mano – così si pensava – la libertà appena conquistata sarebbe andata nuovamente perduta e si sarebbe costituita una nuova nazione fedele al papa.

Le cicatrici di questo atteggiamento assai radicato si rivelarono molto profonde. Ancora nel secolo 20° i candidati cattolici nella politica degli Stati Uniti dovettero confrontarsi con queste accuse anticattoliche. Per esempio, Al Smith che, nel 1928, fu il primo cattolico a candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti (con i democratici), in numerose interviste e conferenze stampa dovette continuamente far fronte all’obiezione secondo cui egli avrebbe dovuto prestare più obbedienza al papa che alla Costituzione degli Stati Uniti. Lo stesso avvenne anche con John F. Kennedy.

Solo che Al Smith, nel 1928, affrontò quella obiezione con il piede sbagliato, mentre Kennedy poté abilmente rintuzzare le illazioni con una risposta rimasta famosa: “Io sono prima di tutto americano, soltanto dopo cattolico”. Kennedy è stato, fino ad oggi, l’ultimo cattolico alla Casa Bianca, tuttavia il suo mandato ha notevolmente contribuito a liberare i politici cattolici da questo stigma.

Con il nuovo orientamento conservatore del partito repubblicano, negli anni ’50 e ’60 lo strato cattolico della popolazione entrò nel campo di interesse del grande partito conservatore: infatti, gli atteggiamenti riguardanti l’aborto e l’omosessualità coincidevano. Era perciò logico integrare anche il loro orientamento politico e accogliere nella loro barca i gruppi cattolici.

Queste alleanze furono coltivate per decenni e i responsabili cattolici si orientarono verso un atteggiamento amichevole con i repubblicani. E questa alleanza conservatrice socio-politica sembrò sostenibile ad entrambe le parti.

Ma i tempi sono cambiati. Già nelle elezioni presidenziali degli ultimi tre decenni si è visto che la Chiesa cattolica anche negli Stati Uniti non costituisce più semplicemente un blocco omogeneo di elettori. Anch’essa è sempre più frammentata. Attualmente, sia le tendenze sociali-liberali all’interno della Chiesa giocano un ruolo, sia anche l’alto numero di immigrati dalle regioni latine e sudamericane, che votano preferibilmente democratico.

Il fatto che la Chiesa riceva proprio da questo strato di popolazione il suo maggior incremento di fedeli, violentemente attaccati dal presidente Trump con la sua politica migratoria, rende il problema ancora più complicato. La Chiesa cattolica negli Stati Uniti, oltre agli orribili scandali degli abusi e alle continue contese interne di potere, è anche politicamente segnata da profonde lacerazioni. Tuttavia rimane una realtà politica di primo piano.

Cattoolicesimo americano

Trump ha dimostrato tatto politico religioso

Anche se Donald Trump si è alienato numerosi gruppi cattolici per le sue decisioni, in particolare contro gli immigrati latino-americani, si è dimostrato tuttavia un campione del simbolismo conservatore soprattutto nella giurisprudenza conservatrice e nella restrittiva politica del personale nell’assegnazione alla Corte suprema.

Sia che si tratti dello spostamento dell’ambasciata USA in Israele a Gerusalemme o della designazione di “testualisti” (interpreti testuali della Costituzione), Trump si è dimostrato un abile interprete del diritto: ha mostrato un tatto politico-religioso maggiore di quanto si pensasse. Se ciò sia da attribuire a lui o al rigido conservatore evangelico Mike Pence che è al suo fianco, è una questione aperta.

Anche senza un intransigente conservatore cattolico come Steve Bannon, Trump è riuscito a calmare i circoli particolarmente conservatori dei suoi elettori. Molti cattolici stanno dalla sua parte, mentre i vescovi hanno preso progressivamente le distanze.

La prossima campagna elettorale rappresenta non solo un importante barometro degli umori del partito repubblicano, ma anche del comportamento elettorale della popolazione cattolica. In questo momento è ancora difficile capire quali saranno gli orientamenti e anche quale sarà la strategia di Donald Trump.

Una cosa tuttavia è chiara: Trump, da una parte, non può rinunciare ai voti cattolici del partito repubblicano, dall’altra, non rinuncerà alla sua linea riguardante la politica migratoria, che costituisce la sua principale promessa nelle elezioni del 2016, cioè il muro di confine col Messico. Per la Chiesa cattolica ciò significa nuovamente che la prova di forza che si gioca al suo interno non ha ancora raggiunto il suo culmine, ma che la politicizzazione dei gruppi anche nell’area cattolica è ormai iniziata.

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