Cattolici: maggioranza per Trump

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I numeri lo confermano: la maggioranza dell’elettorato cattolico degli Stati Uniti (il 52 per cento) ha sostenuto Donald Trump alle recenti elezioni presidenziali (9 novembre; cf. qui il commento). Sul settimanale dei gesuiti statunitensi, America, nella sezione online, sono state pubblicate in questi giorni sia reazioni sia articoli di analisi del voto piuttosto interessanti. Uno in particolare, a firma di Michael O’Loughlin, datato 11 novembre (qui il testo), riporta una serie di testimonianze dalle quali emerge come – nei giorni precedenti le elezioni – esponenti del clero e responsabili parrocchiali (parish leaders) hanno offerto un supporto più o meno diretto al candidato repubblicano.

La politica sul pulpito

Il caso più eclatante è stato quello registrato a metà ottobre a Warwick (cittadina del cattolicissimo Rhode Island), dove padre Robert Marciano ha affermato durante un’omelia che «Hillary Clinton e i leader democratici “odiano i cattolici”» (qui la notizia). Affermazioni che hanno suscitato non poco scalpore in uno stato prevalentemente democratico. I democratici «odiano tutto ciò che noi rappresentiamo e le virtù e i valori che reputiamo sacri», ha aggiunto Marciano, per il quale «il voto per la signora Clinton avrebbe messo l’anima in pericolo in quanto “collaborazione alla distruzione della vita umana innocente”» (chiaro riferimento al sostegno espresso da Hillary Clinton per il diritto di aborto).

Il caso di padre Marciano, si legge ancora nel lungo articolo, non è stato l’unico in cui la politica è «salita sul pulpito». Nella diocesi di Orange (California), una delle testimonianze raccolte da America parla di alcune omelie ascoltate prima dell’8 novembre orientate chiaramente in favore di Trump. «Il sacerdote ci ha detto che “la questione dell’aborto era più importante di altre, ad esempio dei diritti degli immigrati”, e che i cattolici “non avrebbero mai dovuto votare per un candidato pro-choice (favorevole alla libertà di scelta, ovviamente in tema di aborto – ndr)”».

Un’altra testimonianza (firmata, come quasi tutte quelle riportate da O’Loughlin), racconta di un diacono dell’arcidiocesi di Detroit che – sempre durante la predicazione – ha esposto i «cinque temi» dei quali i cattolici dovevano occuparsi in vista del voto. Tutti temi «legati alla vita e al matrimonio». E solo un candidato – a giudizio del predicatore – era «allineato con le posizioni della Chiesa su tali questioni, tanto che molti sacerdoti avrebbero detto di votare per lui». Lo stesso è accaduto nella diocesi di Trenton (New Jersey), dove – secondo un’altra email ricevuta dal settimanale cattolico – in un’omelia contro l’aborto, il matrimonio omosessuale e la pornografia il predicatore (un diacono) ha affermato la necessità per i cattolici «di votare per i candidati pro-life». E così di seguito, diverse altre testimonianze.

Bollettini e guide per il voto

O’Loughlin informa che il sostegno a Trump ha avuto anche la forma di lettere e di «guide per il voto» (voting guides, di per sé ammesse solo se non esplicitamente schierate per un candidato), pubblicate su bollettini distribuiti o letti durante le messe. È stato il caso, ad esempio, di mons. William Murphy, vescovo di Rockville Centre (nello stato di New York), che senza nominarli ha colpito la Clinton, ma soprattutto il suo vice, Tim Kaine, cattolico praticante (qui il testo). «Sostenere l’aborto da parte di candidati a pubblici uffici, alcuni dei quali sono cattolici, perfino se essi mantengono la fallace e profondamente offensiva posizione: “personalmente mi oppongo, ma …”, è per noi ragione sufficiente per squalificare qualsiasi candidato dal ricevere il nostro voto», scrive mons. Murphy nella sua lettera, pubblicamente letta durante le messe. Nella diocesi di Trenton la «guida per il voto» distribuita elencava in un paragrafo le «cinque questioni non negoziabili» (aborto, eutanasia, staminali embrionali, clonazione e matrimonio omosessuale).

La sorpresa (e la delusione) di coloro che hanno scritto, è stata ritrovarsi ancora davanti a una presa di posizione, talora molto dura, motivata quasi esclusivamente sui temi bioetici, quello dell’aborto in particolare. Nonostante il papa, un anno fa nella sua visita agli Stati Uniti, avesse invitato (in particolare le gerarchie cattoliche) a mettere da parte «il linguaggio aspro e bellicoso della divisione (…) per offrire l’umile e potente lievito della comunione» (qui il testo). «Sono rimasta sorpresa perché c’erano davvero tante questioni in gioco in queste elezioni, e non solo quelle pro-life. E, inoltre, per il fatto che nessuno dei due candidati era perfettamente conforme alla dottrina della Chiesa su tutte le questioni», si legge in un’altra testimonianza giunta alla redazione dei gesuiti.

Molti bianchi, pochi ispanici

Il corrispondente di America rileva correttamente come questo genere di sostegno non sia stato unilateralmente in favore di Trump (e cita alcuni casi). La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB), da parte sua, ha regolarmente invitato le diocesi, le parrocchie e le associazioni cattoliche non-profit a non sostenere candidati e a non impegnarsi direttamente nell’attività politica. Lo aveva fatto anche di recente, pubblicando il documento «Political Activity and Lobbing Guidelines for Catholic Organizations» (qui il testo, datato 1 luglio 2016).

Alla fine, scrive O’Loughlin, queste forme di sostegno a Trump (o, piuttosto, di «scomunica» della Clinton) «potrebbero aver funzionato». Trump ha ottenuto il 52 per cento dell’elettorato cattolico complessivo, più o meno la stessa percentuale che Barack Obama aveva avuto nel 2008 e nel 2012. «Tra gli elettori bianchi, il sostegno per il presidente eletto è stato ancora maggiore. Sei su dieci cattolici bianchi lo hanno scelto, mentre solo il 26 per cento dei cattolici ispanici ha votato per lui».

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