Covid: un virus della democrazia?

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Il virus non colpisce solo i corpi. Sappiamo quanto stia travolgendo altre realtà: imprese, lavoro, scuola, sistemi sociali. È lecito chiedersi se, tra le vittime più illustri della pandemia globale, non ci siano anche i sistemi politici e, in primis, i sistemi democratici.

“Democrazia” è un termine complesso, che sottende – nell’età contemporanea “occidentale” – molti principi e sottosistemi: Stato di diritto, libertà civili, welfare o parità di opportunità per tutti, rappresentanza, se possibile partecipazione popolare diretta. E, naturalmente, elettività dei poteri.

La pandemia sembra avere “morso” ciascuna di queste componenti della democrazia. Non ha impedito – anche se sicuramente ha ostacolato – lo svolgimento di elezioni. Sta però sacrificando ogni forma di partecipazione popolare. La vita democratica interna ai partiti – già larvale in molte realtà – in Italia è del tutto scomparsa. Colpiti tanti luoghi della vita associativa. I tribunali, erogatori dello Stato di diritto, sono stati a lungo fermi.

Alcuni pilastri democratici, come i sistemi di welfare universalistico, sono fortemente impattati e messi in crisi: pensiamo, ad esempio, a scuola, sanità, servizi per gli anziani. Per molti cittadini, portatori di patologie diverse dal Covid, la sanità universalistica è di fatto sospesa, o fortemente ridimensionata. Tuttavia, in generale, non si può dire che questi pilastri delle democrazie occidentali siano saltati. Sono sotto stress, ma ci sono ancora.

Le libertà civili

Più controverso il discorso per le libertà civili. L’emergenza pandemica le ha compresse e in parte sacrificate a fronte di un bene “superiore”, l’incolumità fisica. Solo fasce limitate di popolazione hanno ritenuto e manifestato pubblicamente di aver visto compromesse le loro libertà democratiche fondamentali a causa delle misure anti-Covid.

In effetti, in ballo ci sono diritti di non poco conto, spesso ottenuti a seguito di lunghi percorsi storici, come la libertà di riunione e manifestazione pubblica, la libertà di spostamento o di iniziativa economica. Si tratta di pilastri costituzionali, da non sacrificare a cuor leggero. E con decreti emergenziali.

È evidente che la parte preponderante dell’opinione pubblica democratica ha accettato queste limitazioni alle libertà, in quanto ritenute transitorie e necessarie. Una sorta di parziale “sospensione” democratica condivisa. Questo significa, però, che il ripetersi e protrarsi delle ondate pandemiche può mettere alla prova questa “sospensione condivisa”: non solo se la protrae nel tempo, ma anche se si fa strada il dubbio che essa non sia così “necessaria”. Ossia, che con adeguate misure e interventi, avrebbe potuto essere evitata.

Ecco allora nascere l’impressione che il virus abbia sfidato e colpito le democrazie occidentali in alcune delle loro fondamenta. In primis, nel loro meccanismo più profondo e implicito: la delega di rappresentanza a qualcuno capace di progettare e guidare la società.

Proviamo a chiarire il concetto. Non da oggi si parla di crisi della rappresentanza. Da alcuni anni, in Italia e non solo, si alzano persino voci che criticano il meccanismo elettivo-rappresentativo, in nome della presunta “democrazia diretta”. In generale, la capacità delle élites democratiche di rappresentare il corpo elettorale si sta assottigliando: calano le percentuali di voto (notevole eccezione la recente elezione di Biden), le maggioranze sono sempre meno nette, spesso mancano del tutto.

In questo quadro, l’efficacia dell’azione di governo sta prendendo il posto dell’identificazione ideologica. Ci sentiamo rappresentati se riconosciamo che il governo sta facendo cose buone, per noi stessi e per la società in cui viviamo. Il “colore” politico interessa sempre meno. Questo meccanismo è probabilmente alla base della crescita di consenso della figura di Conte registrata a marzo, come dell’attuale calo. Ha probabilmente giocato un ruolo nella mancata rielezione di Trump, che ha troppo sottovalutato il tema pandemico.

Perciò, nella misura in cui il Covid non è affrontato efficacemente, non si riesce debellare per lungo tempo, non si riescono a potenziare i servizi, a mantenerli aperti, non è solo la vita quotidiana dei cittadini ad essere impattata: rischia di esserlo anche la fiducia nella capacità di governo dei loro leader democratici.

La fiducia nei leader democratici non è per forza equivalente alla fiducia nel sistema che li ha eletti. E tuttavia il rischio transitivo, in parte, esiste. Ecco allora che, se ampie fasce della popolazione si convincono che la crisi pandemica non è stata affrontata in modo efficace, il concetto di rappresentanza – già debole in sé da tempo – rischia una nuova crepa. Si rischia una ulteriore crepa nell’identificazione e nella credibilità verso le istituzioni democratiche, per la loro capacità di intervento e di risposta quando in ballo non c’è solo l’ordinaria amministrazione, ma una sfida essenziale per la vita e il futuro di tanti cittadini, di tante imprese e di tante realtà sociali.

Nessuno pensa alla Cina come modello politico, solo perché ha debellato efficacemente la pandemia e ne sta impedendo, almeno per ora, il ritorno. Anche tanti regimi autoritari, del resto, hanno fallito nel gestire il Covid. Nessun cittadino occidentale – ci auguriamo – baratterebbe oggi la democrazia, ossia la condivisione e il policentrismo decisionale, in cambio di mera efficacia sanitaria. E di libertà politica. Il rischio oggi non è questo.

Impreparazione progettuale

Il tema critico potrebbe essere un altro. Ossia, che le nostre democrazie non riescano nella pandemia a dimostrare una reale capacità progettuale e di governo complessivo della società. Che dimostrino un deficit di anticipazione, e ancor più di coordinamento della complessità policentrica e poliarchica tipica delle nostre democrazie.

È indubbio che capacità progettuali e di governo della complessità siano mancate, per stessa ammissione degli attori democratici in campo. In Italia – ma in molti altri paesi europei e nordamericani – i piani antipandemici erano puramente sulla carta, se c’erano. Nessuna scorta di presidi medici-sanitari, nessun piano di emergenza sanitaria attivabile a breve. Peggio, ora che non c’è più il fattore sorpresa, gioca l’incapacità di aver saputo gestire e anticipare il ritorno dell’emergenza sul piano dei trasporti pubblici, della sanità, della non interruzione del fondamentale servizio scolastico.

Alcuni commentatori hanno sottolineato come l’impreparazione progettuale stia diventando per le democrazie un fattore costitutivo, probabilmente come conseguenza dei meccanismi stessi del consenso democratico. Le democrazie sono più esposte di un tempo alla ricerca del consenso fine a se stessa. In altri termini: se la principale preoccupazione dei leader democratici è la reazione dell’opinione pubblica, è difficile prendere decisioni giuste ma impopolari.

E, ancora di più, giocare di anticipo. La democrazia moderna insegue i sondaggi. E quindi arriva sempre dopo la realtà, fatica sempre di più ad anticiparla. Ragiona col ciclo di 24 ore del meccanismo “annuncio politico-reazione dei media-risposta di consenso”. La pianificazione anticipatoria, in gran parte invisibile per i media, viene consumata da questo meccanismo. Non fa audience e quindi scompare dalle agende stesse dei leader.

Ma c’è dell’altro. In Italia, ad esempio, è grave e da non sottovalutare, per il fondamentale valore democratico del policentrismo, che la dialettica Stato-Regioni-Comuni degeneri in rissa, senza alcun coordinamento istituzionale efficace, proprio in queste ore drammatiche. La poliarchia, costitutivo essenziale della democrazia, sembra diventare nell’emergenza pandemica uno dei suoi peggiori mali e dei suoi limiti. Ecco un altro effetto “eversivo” del Covid – se mal gestito – verso l’ordine democratico.

Ricostruiamo il filo del discorso, in sintesi estrema: la rappresentanza democratica era già fragile prima. La fiducia nelle sue istituzioni limitata. L’efficacia di governo è ormai la prima costituente di questa fiducia, assai più delle ideologie. Se il Covid attacca alcune componenti democratiche – come libertà e servizi universali – e in più non viene affrontato in modo efficace, incisivo, progettuale, il rischio che la fiducia dei cittadini verso la politica democratica si riduca, ulteriormente, è molto serio. Da non sottovalutare, quanto meno.

Una prova di democrazia matura

Non era facile – va detto – agire efficacemente, per chiunque governasse. E infatti governi di ogni colore hanno faticato, se non fallito. Poco tempo per agire, risorse incerte, amministrazioni pubbliche impoverite e smagrite da dieci anni di patto di stabilità, e per di più spesso costrette a lavorare da casa, in telelavoro. Tuttavia, la mancanza dello scatto tra risposta emergenziale e risposta progettuale rischia di essere il punto.

Finché la pandemia era un’emergenza inattesa, a marzo, l’unità ha prevalso, la fiducia è stata concessa, il consenso dei governi è cresciuto. Ora che il Covid torna – non imprevedibilmente – ci sarà ancora questa unità, questa delega di fiducia istituzionale? Viceversa, in assenza di fiducia nelle istituzioni che ci guidano, a che fenomeni inattesi potremmo assistere? O la responsabilità continuerà a prevalere nei cittadini, come avvenuto finora?

La speranza è che si tratti solo di un fenomeno passeggero, di qualche mese ancora, e che poi le nostre democrazie possano tornare in salute – più o meno – come prima. Meglio sarebbe se la crisi fosse superata non per sopravvivenza, ma grazie a una reazione “da cavalli di razza”: saltando l’ostacolo Covid ampiamente, con una progettualità forte, una capacità di governo organica, la dimostrazione che si è in grado, da Roma, di coordinare in uno sforzo comune Regioni, aziende di trasporto pubblico, autonomie scolastiche e le mille altre autonomie costitutive della nostra Repubblica. Di costruire una strategia comune.

L’impressione di tanti è che da luglio ad ottobre questo scatto da gestione emergenziale a progettualità sociale sia mancato. Il Recovery Plan, i 200 miliardi da programmare per il rilancio del Paese, sono sotto questo punto di vista una sorta di ultima chiamata per continuare ad avere fiducia nella capacità delle nostre istituzioni di andare oltre la pura gestione ordinaria, e di essere ancora in grado di guidare il Paese quando è chiamato a tempi eccezionali e a sforzi organici.

Questa pandemia, sotto questo aspetto, è una enorme opportunità per lo Stato democratico, per dimostrare che eleggere popolarmente e decidere insieme è da sempre e ancora il modo migliore per governare una società, per renderla efficace e prospera, oltre che pacifica. Altrimenti, non resta che attendere che un vaccino salvi, oltre a tante vite umane, anche l’integrità della forza e credibilità delle nostre istituzioni, messa duramente alla prova da questa pandemia, nell’opinione di tanti cittadini.

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