Due governi, nessun governo

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Monaco1

Le cronache politiche e, segnatamente, lo spettacolo offerto dai due partiti al governo – fratelli coltelli, li avevamo definiti –; è francamente desolante. Risse quotidiane che farebbero presagire insanabili rotture cui invece corrisponde un patto di potere irriducibile. Motivato da un crudo calcolo di convenienza che fa premio su principi e programmi proclamati come non negoziabili.

Niente di nuovo, in verità. Alla radice del governo Frankenstein sta un vizio d’origine esso sì insanabile: un contratto di governo tra forze dichiaratamente alternative, anziché una visione comune (o comunque compatibile) della società e della direzione da imprimere al conclamato “cambiamento”.

Uniche urgenze: i sondaggi

Solo un cenno all’ultimo braccio di ferro, il caso Siri, sottosegretario leghista dimissionato dal premier. Indagato per corruzione e accusato di conflitto di interesse, del quale i 5 stelle hanno preteso la revoca per “opportunità politica”. Si è detto: per marcare una discontinuità, per testimoniare l’impegno a elevare, a monte, la soglia della vigilanza della politica senza attendere l’intervento, a valle, della magistratura, per non compromettere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Preoccupazioni apprezzabili. Alte, persino troppo alte. Se non fosse manifesta una cospicua dose di strumentalità. Sotto due profili. Primo: il carattere tardivo della levata di scudi pentastellata. Siri entrò al governo con già alle spalle una condanna definitiva per bancarotta fraudolenta. Era cosa nota, ma nessuno proferì parola.

Monaco4Dunque, una indignazione a comando. Secondo: è di palmare evidenza che l’enfasi assegnata alla cacciata di Siri risponde all’esigenza dei 5 stelle di recuperare una credibilità appannata e un consenso calante nel mentre il partner leghista invertiva i rapporti di forza con loro e affermava la propria egemonia sul governo.

Dunque, una molla chiaramente propagandistica ed elettorale che getta ombre sull’asserita motivazione alta della trasparenza e della legalità.

A sua volta, la Lega, dopo avere difeso l’indifendibile, ma da ultimo capitolando pur di non recidere il patto di potere che sembra elettoralmente premiarla, ha reagito con la pretesa di mettere subito in agenda questioni programmatiche, dal proprio punto di vista, non negoziabili: flat tax, autonomie differenziate, lotta alla droga. Come non avvertire, specularmente, lo stridore della strumentalità?

Un’agenda politica e le sue priorità ridisegnate… per rappresaglia. Di nuovo con un manifesto obiettivo elettorale. A ridosso di consultazioni europee ancora, sempre, ma oggi più di sempre, concepite come un sondaggio tutto ad uso interno per misurare i rapporti di forza tra i partiti nostrani.

Non una parola sull’Europa

Doppia contraddizione se si considera che, a detta di tutti gli osservatori, le imminenti elezioni europee si configurano come le più importanti, le più politiche in senso alto, della storia della Ue.

Elezioni che decideranno del suo futuro mai come oggi incerto e contrastato. Per le dinamiche interne alla UE, agli Stati membri e alle famiglie politiche vecchie e nuove.

E per ragioni esterne: con Trump e Putin palesemente orientati a depotenziarne la soggettività politica nel governo del mondo; con la Cina che non nasconde le sue mire egemoniche; con il nord Africa e il Medio Oriente in ebollizione; con movimenti migratori potenzialmente destabilizzanti che investono appunto l’Europa.

Qualcuno ha notizia dell’opinione dei nostri governanti sull’Europa e sul mondo? Su come ripensare le sue istituzioni e le sue politiche. Su tutto si discute e si litiga, meno che sulla questione che dovrebbe occupare il centro della scena elettorale: l’Europa nel mondo in disordine.

Del resto, si spiega questo assordate silenzio di Lega e 5 stelle al riguardo. La Lega ha difficoltà a dare conto di due vistose contraddizioni: il suo feeling ideologico con il Trump del “first America” ma anche con gli interessi palesi e occulti dello zar Putin; la sua liason con i sovranisti del “gruppo di Visegrad” (a cominciare da Polonia e Ungheria), cioè con i nostri più strenui avversari in tema di ripartizione dei migranti su scala europea e di parametri economici comunitari.

A loro volta i 5 stelle brillano per una politica estera dilettantesca, indecifrabile, schizofrenica (clamorosa la gaffe con l’ala estremista dei gilet gialli francesi) e per lo zero di relazioni politiche europee. Senza le quali nelle istituzioni comunitarie, a cominciare dal parlamento, non si conta nulla.

5 Stelle Gilet Gialli

Lo si è visto nella loro affannosa ricerca di partiti partner in Europa, che ha sortito l’incontro con formazioni microscopiche e, insieme, tra loro politicamente agli antipodi. Dall’estrema destra all’estrema sinistra. Una ricerca comprensibilmente vana di relazioni per un movimento privo di una identità/cultura politica. Uno smacco che Di Maio ha cercato maldestramente di occultare sostenendo che i 5 stelle in Europa saranno “decisivo ago della bilancia” (sic).

Il sospetto sull’Italia

Dunque, due partiti privi di una decifrabile bussola in politica estera (quella che, secondo i nostri statisti – penso a De Gasperi –, consideravano prioritaria e dirimente per la stessa politica interna) e che, non a caso, si sono puntualmente divisi nel giudizio sui recenti dossier, dalla Cina al Venezuela.

Su queste basi, si spiega la circostanza che l’Italia rappresenti in Europa un’osservata speciale, che essa sia circondata da diffidenza, che quindi sconti un mortificante isolamento.

Proprio in un tempo che esigerebbe la cura di stringere alleanze. Osservata speciale, l’Italia, sotto due aspetti: quello dell’economia e, segnatamente, di una finanza pubblica fuori controllo e quello politico, a motivo del confuso mix di nazionalismo e di populismo del quale siamo considerati un avamposto.

 

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Un commento

  1. MariaTeresaPontara Pederiva 10 maggio 2019

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