Nato il “Conte bis”: opportunità e insidie

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governo conte

Dunque, il nuovo governo è venuto alla luce. Un parto difficile, una scommessa impegnativa. Il futuro ci dirà se audace o azzardata. Si può abbozzare un promemoria delle opportunità e delle insidie dischiuse dalla sua nascita.

Opportunità

Dapprima le opportunità.

Facendo un passo indietro: ad aprirgli la strada è stata la parlamentarizzazione/drammatizzazione della crisi giustamente voluta dal premier Conte. Il quale, ancorché tardivamente, in uscita, nel metodo e nel merito, con la sua requisitoria al Senato all’indirizzo di Salvini, ha impartito una lezione di democrazia costituzionale e di etica delle istituzioni. L’opposto del populismo che, in verità, aveva segnato l’intera esperienza di governo di entrambi i partner, con l’avallo attivo e passivo dello stesso Conte.

Secondo: avere scongiurato lo scioglimento anticipato delle Camere giova a rimarcare il valore della continuità della legislatura intesa come regola contemplata dalla Costituzione. Contro la tendenza a immaginare che lo scioglimento delle Camere possa essere dettato da test elettorali altri (nel caso il voto europeo) o addirittura dal consenso virtuale e mobile dei sondaggi.

Terzo: fuor di ipocrisia, decisiva è stata la preoccupazione, maggioritaria in parlamento, di non consegnare il paese a una destra dai tratti illiberali e sovranisti. Non è argomento minore. A seguire e di conseguenza: un passaggio che giova a preservare e a migliorare i nostri rapporti con la UE (si è parlato di “maggioranza Ursula”, formata da due partiti che hanno votato la neopresidente della Commissione) e a confermare il nostro storico posizionamento geopolitico, contro il rischio di isolamento e/o di deragliamento. Si spiega così l’avallo dato da Prodi alla svolta.

Ancora: la prospettazione di una politica economica e di bilancio responsabile. A fronte della minaccia di una nostra uscita dall’euro, da taluni uomini chiave della Lega persino teorizzata e comunque quale esito oggettivo, anche non voluto, di annunciate misure che avrebbero portato il debito alle stelle (si era parlato di una finanziaria di 50 miliardi in deficit). Di qui le molteplici aperture di credito delle cancellerie europee ancor prima del varo del nuovo esecutivo.

Infine, sul piano più genuinamente politico, si può sperare in una positiva evoluzione sistemica che, pur dentro una logica a dominanza proporzionale, propizi – se si consolidasse nel tempo l’asse PD–M5S – una competizione sull’asse destra–sinistra. Come nelle democrazie sane e mature. Ma, su questo, tornerò in conclusione.

Insidie

E veniamo ai problemi e alle insidie. Molti e non di poco momento.

In primo luogo, la circostanza – va notato con franchezza – che, a produrre questo esito, dopo anni di reciproci anatemi tra M5S e PD, abbiano concorso motivazioni non esattamente virtuose: l’istinto di sopravvivenza trasversale del ceto politico–parlamentare. Motivazioni fragili e conversioni politiche troppo estemporanee. Sarà agevole la campagna prevedibilmente feroce di Salvini nel rappresentare la cosa come una opaca manovra di palazzo mossa tutta e solo dall’obiettivo di negare caparbiamente ai cittadini–elettori il diritto di pronunciarsi. Tesi, ripeto, confutabile e tuttavia comunicativamente efficace.

Altra incognita: la divisione interna al PD, con rischi di scissione da più parti paventate e non risolutamente smentite. Del resto, è stato troppo brusco e clamoroso il rovesciamento delle parti circa il rapporto con i 5 stelle tra la maggioranza di Zingaretti e la minoranza renziana, che controlla i gruppi parlamentari PD. Un gioco delle parti dal sapore opportunistico/trasformistico – decisamente più scoperto e spregiudicato sul versante di Renzi, applicato sistematicamente a dividere il partito e a logorare Zingaretti – che, con il tempo, potrebbe minare la stabilità del nuovo governo.

Ancora: l’estemporaneità della conversione PD tutto all’alleanza con il M5s potrebbe avvalorare il rilievo di chi accusa la sinistra di “governismo”, e cioè della propensione a conquistare il governo grazie all’abilità manovriera nel palazzo piuttosto che attraverso un aperto confronto elettorale.

Sull’altro fronte, quello dei 5 stelle, fanno impressione tre elementi: la facilità con la quale essi sono passati da movimento anticasta a casta essi stessi, pronti a cambiare partner, pur di non lasciare parlamento e governo; l’enfasi sulla democrazia diretta (da ultimo con il ricorso alla oscura piattaforma Rousseau a consultazioni del Quirinale in corso), nel mentre si avvalgono della flessibilità della democrazia rappresentativa e parlamentare che sola può autorizzare cambi di maggioranza così “audaci”; nonché l’opacità delle loro dinamiche interne, la loro “stranezza” rispetto alla logica e alle consuetudini dei partiti democratici. Un solo esempio: un formale capo politico, Di Maio, che sopravvive al dimezzamento dei voti e che gestisce indifferentemente opposte politiche e alleanze. Un capo che anzi sembra avere subito il cambio delle alleanze. Anche a motivo di una leadership del movimento che non si capisce a chi effettivamente intestata: Conte, Di Maio, Grillo, Casaleggio?

Verso un nuovo bipolarismo?

E tuttavia – ecco il punto politico cruciale – se l’esperimento riuscisse (chi lo può prevedere con sicurezza?), se cioè, con il giusto rifiuto della genetica ambiguità dello strumento improprio del “contratto di governo”, l’alleanza evolvesse davvero – come auspicato da Zingaretti – verso una coalizione politica sostenuta da una visione comune di lunga lena grazie alla maturazione progressiva di reali affinità culturali prima che politiche (quelle di una sinistra plurale), come si è accennato, si porrebbero le premesse per una positiva evoluzione del sistema politico italiano nella direzione di una democrazia competitiva.

A ben guardare, il background potenziale vi sarebbe: penso all’originario radicalismo democratico e ambientalista del M5S e al PD come partito di una sinistra riformista e di governo nitidamente alternativa alla destra. Nel segno di una positiva evoluzione di entrambi: i 5 stelle depurati della loro vena protestataria e antipolitica (il “vaffa”) e finalmente spinti a declinare la propria irrisolta identità politica, con l’abbandono dell’opportunistica teoria secondo la quale destra e sinistra pari sono; il PD restituito al suo statuto ideale dopo la torsione operata da Renzi verso un velleitario partito della nazione presuntuosamente autosufficiente e incline a una liaison con settori della destra.

Questa la scommessa più alta che già si proietta sulle prossime elezioni regionali. Ma è inutile nasconderlo: questa anche l’impresa più difficile, tutta ancora davanti a noi, come dimostrano le misere schermaglie e la reciproca sfiducia che hanno accompagnato la nascita del nuovo governo.

Che l’operazione politica possa avere l’auspicato respiro strategico e che, prima ancora e più semplicemente, il governo Conte 2 possa reggere per l’intera legislatura così da rappresentare il laboratorio di un nuovo centrosinistra nel quadro di un sano bipolarismo, al momento, è solo una speranza, non una certezza.

 

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2 Commenti

  1. Claudio Bargna 5 settembre 2019
  2. Giampaolo Centofanti 5 settembre 2019

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